venerdì 20 maggio 2011

La nostra montagna, le rinnovabili, le centrali a biomassa

“Benchè per la legislazione italiana ed europea la biomassa venga assimilata alle altre rinnovabili, non può essere considerata una fonte a basso impatto ambientale, come il solare e l'eolico, in quanto produce emissioni inquinanti a seguito della combustione”. (Ines Palena - WWF)
“L'uso delle biomasse per alimentare un biodigestore anaerobico-aerobico e produrre metano sarebbe funzionale all'allevamento dei bovini e alla produzione agricola di qualità e a carattere biologico. Vantaggi che verrebbero meno con l'introduzione di una centrale termica a biomasse
del tutto avulsa dalla vocazione agroalimentare del territorio che dovrebbe ospitarla”. ( Federico Valerio – chimico ambientale, istituto tumori genova)
Le biomasse sono un combustibile povero, economicamente ed energeticamente conveniente solo in quei paesi dove l'industria del legno produce grandi quantità di scarti e dove la morfologia del
territorio permette la facilità dei tagli.



Il continuo prelievo di biomasse destabilizza l'equilibrio nutrizionale dei suoli nei terreni agricoli e forestali. La quantità di ceneri da incenerimento di cippato di legna è circa lo 0,8% in peso della biomassa bruciata. Il contenuto in cromo, cadmio, mercurio, piombo e rame delle ceneri volanti derivate dalla combustione di quercia e faggio è superiore al contenuto di quelle da combustione di carbone.
La pericolosità di tali composti di metalli pesanti non è dovuta tanto alla loro concentrazione nell'aria inalata, quanto alla concentrazione, destinata ad aumentare nel tempo, nelle diverse matrici ambientali presenti nella zona di deposizione, comprese le falde acquifere.

In sostanza è l'acqua piovana e quella di superficie il principale veicolo dei veleni emessi e le falde acquifere ne sono il principale ricettacolo e questo indipendentemente dal fatto, ad esempio, che le
diossine non siano solubili in acqua.
"L'inquinamento ambientale indotto dai tanti impianti a biomasse che si propongono in Italia, pur nel rispetto delle norme vigenti, peggiora la qualità dell'aria dei territori che dovrebbero ospitarle e peggiora anche la qualità del suolo e dei prodotti agricoli di questi stessi suoli con le ricadute e l'accumulo di diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti." (Federico Valerio)
C'è un ritornello falso e folle da parte delle amministrazioni che tende a presentare lo sfruttamento forestale come utile e necessario all'ambiente, considerando i boschi e il legname come una risorsa abbandonata ed estremamente abbondante.
Mentre il legno dei boschi è raro, necessario alla traspirazione ed alla produzione di ossigeno, indispensabile al terreno, anche dopo la morte delle piante, per la formazione dell'humus.
Altro ritornello fasullo è quello della pretesa disponibilità dovuta alla pulizia del bosco. Questa esisteva ed era una fonte importante di energia per le famiglie, ma con lo spopolamento della montagna è cessata. Ora per pulizia del bosco si intende solo il diradamento effettuato col taglio industriale, mirato principalmente ai boschi di castagni, come espressamente dichiarato nel documento dell'amministrazione.
Gli impianti termici a biomasse, se non collegati agli scarti dell'industria del legno, come nella fascia alpina, sono antieconomici. Il costo della centrale e l'installazione del
teleriscaldamento per una centrale appena al di sotto del Mw è elevato: intorno al milione di euro.
Il costo del cippato è di 6- 6,5 euro al quintale e perché sia efficiente dal punto di vista calorico non deve avere un tenore di umidità superiore al 20%.
Solo il taglio industriale del bosco, il cosiddetto esbosco a pianta intera, può garantire un rifornimento non occasionale di cippato pur a quel prezzo già di per sé elevato.
Ma per il taglio industriale del bosco occorrono macchinari costosi e finanziamenti elevati.
L'avvio del taglio industriale produrrà, poi, inevitabilmente una diminuzione dell'occupazione nel settore artigianale del taglio, tra i tagliaboschi.
Al di là dei lavori di scavo iniziali per il sito e le condotte del teleriscaldamento, la centrale non crea occupazione. La combustione industriale della legna, con il solo filtro a ciclone di abbattimento
della fuliggine, ha emissioni 10 volte superiori a quelle di una stufa a pellet ( pellet = 4/5 mg/m3; cippato = 50 mg/m3 sempre che non superi il 20% di umidità).
Quest'inverno a Berceto, in un appartamento di 140 m2, una stufa a pellet a condensazione da 12 Kw (costo 2250 euro, detraibili dalle tasse in tre anni al 55%), anche con punte di freddo fino a -8°, ha mantenuto una temperatura costante di 23° dalle 5 alle 22, consumando un sacco da 15 Kg al giorno (costo 3,50 euro), per un totale di spesa nei sette mesi di 700 euro.
Come poter, quindi, essere d'accordo con il piano di centrali a cippato della Provincia per il nostro Appennino?
Si tratta di un progetto costoso ed inquinante che non può che alimentare la già pericolosa speculazione sulla legna da ardere.
I tagli massicci e dissennati dei boschi hanno già sforato la sostenibilità e sono davanti a gli occhi di tutti, allarmando gli stessi amministratori.
Ci sono due esempi virtuosi da seguire sulle rinnovabili.
Il primo è quello del comune di Monchio.
Non certo per la centrale a cippato, ma per l'uso intelligente che intende fare dei soldi ricavati
dagli incentivi dell'impianto fotovoltaico di cui si è dotato in modo autonomo e di cui è proprietario. Con quelli intende finanziare ed incentivare la ristrutturazione delle case del paese per l'isolamento
termico e il risparmio energetico.
Ma a quel punto la consistente spesa per l'allacciamento del resto del paese al teleriscaldamento non sarebbe più necessaria, basterebbero delle piccole stufe a pellet!
Il secondo esempio di comune virtuoso è Fornovo che ha fondato una ESco (energy service company) per coinvolgere i cittadini, i loro tetti e gli artigiani della zona per dotarsi a sua volta di un impianto fotovoltaico. Così da dividere con la gente i proventi degli incentivi pubblici ( le nostre bollette ) e nello stesso tempo creare occupazione con l'installazione e la manutenzione dell'impianto.
La Provincia ha promosso "Fotovoltaico insieme" per dotare ogni comune di un campo fotovoltaico. Ma a quanto si evince dai casi di Roccabianca e Varsi, cui pare spettino rispettivamente solo 80.000 e 40.000 euro, non sembra proprio che gli incentivi pubblici vadano ai municipi e quindi ritornino a noi.
Pare che la gran massa dei soldi finisca ai privati, alle finanziarie, alle aziende costruttrici.
Certo, sappiamo che molti comuni sono indebitati e che potrebbero avere difficoltà con le banche ad ottenere dei mutui, anche se con la garanzia degli incentivi il mutuo si pagherebbe da solo. Proprio per questo, allora, perché non seguire l'esempio di Fornovo e aiutare ogni comune a dotarsi di una ESco?
Una volta costituita la società, ogni municipio potrebbe capitalizzarla intestandole immobili o aree di sua proprietà riuscendo in tal modo ad ottemperare alle condizioni per un mutuo bancario.
Le rinnovabili sono oggetto di una speculazione forsennata per accaparrarsi i soldi delle nostre bollette.
Sono, però, anche una straordinaria occasione per i piccoli centri e le aree marginali di dotarsi di un'autonomia energetica e finanziaria in grado di ridare sviluppo all'economia minuta, all'imprenditoria artigianale.
Attraverso il fotovoltaico, il solare termico, il microidrolelettrico della turbinazione degli acquedotti e i biodigestori anaerobici di piccoli comprensori la montagna può cominciare a riscattarsi ed attirare
investimenti e lavoro.
Oggi, invece, stiamo assistendo al saccheggio dei boschi, presto a quello dell'acqua con la turbinazione di interi tratti di torrenti ed in progetto c'è già quello delle cime, cementificate per l'installazione del cosiddetto minieolico, cioè torri alte 30 metri.
Le energie rinnovabili sono una grande opportunità.
Non devono essere la scusa per il saccheggio della montagna e delle sue risorse.

Giuliano Serioli

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