venerdì 10 agosto 2012

Inceneritore Brescia, una tossica fumata nera


Qui Brescia
http://www.quibrescia.it/cms/2012/08/10/inceneritore-fumata-nera-lunga-60-minuti/

Paura, preoccupazione ed allarme ha suscitato una densa nube nera che si è sollevata giovedì mattina dal camino dell’inceneritore di A2A a Brescia.
Alle 10,30 il termovalorizzatore, a seguito della fumata scura, è andato in black out e una delle tre linee dell’impianto ha prodotto, per circa un’ora, picchi di emissioni finché la temperatura di combustione non è stata ripristinata a valori nella norma.
Cosa è accaduto? Secondo quanto riportato nella relazione di Aprica inviata a Regione, Arpa e Comune, il blocco sarebbe avvenuto sulla “linea di trasmissione elettrica da 130kV, causata da un evento sulla rete esterna all’impianto”. A seguito della “mancanza improvvisa del carico elettrico in erogazione” si è verificato “il blocco immediato della turbina e conseguentemente delle caldaie”.



Il forno si è quindi spento e questo ha fatto sì che venisse a mancare l’alimentazione dei cosiddetti “ausiliari generali di impianto, mettendo in funzione automaticamente il gruppo diesel di emergenza”, da cui è scaturita la fumata scura.
Nel momento dello stop al forno di combustione i picchi di emissioni si sono alzati: le emissioni di monossido di carbonio sono passate da un valore di 32,74 a 1219,33; quelle di ossido di azoto da 9,21 a 332,74); impennata anche per quelle di acido cloridrico, passate da 10,23 a 72,87; stesso discorso per le concentrazioni di ammoniaca, aumentate da 1,11 a 20,76).

Sul posto i tecnici dell’Arpa di Brescia per il monitoraggio. Il direttore dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, Giulio Sesana, ha comunque rassicurato sui livelli di inquinanti emessi nell’aria durante l’ora di black out, affermando che la media delle emissioni non dovrebbe essere stata superata, ma che comunque si deve lavorare ulteriormente affinchè tali emergenze non si verifichino più.
Sessanta minuti sono un tempo lungo per intervenire sul problema, ma Aprica ha spiegato che “il collegamento di emergenza era indisponibile per lavori di manutenzione della Società di distribuzione di elettricità”. In questo modo, i rifiuti, che si trovavano già all’interno della linea a che erano pronti per essere combusti hanno bruciato ad una temperatura inferiore causando così l’innalzamento delle emissioni.

La calda estate bresciana.
Chissà che stonatura tutto quel nero con il camino azzurro cielo.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 10 agosto 2012

Sono passati
802 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
96 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
81 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

Verona, un altro record negativo


Tempo di Olimpiadi, tempo di record battuti.
Anche Verona batte un altro record, ma non è un record sportivo di cui andare fieri.
Dopo il quarto posto come città più inquinata d’Italia (medaglia di legno per dirla con il gergo olimpico), Verona si è vista respinta dall’Unione Europea la richiesta di proroga per rientrare nei limiti di emissione del biossido di azoto entro il 2015.
Ma cosa è il biossido di azoto?



Il NO2 è un gas di odore pungente e altamente tossico, sottoposto a precisi limiti imposti dall’Unione Europea, sulla base delle valutazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Le fonti principali di NO2 nelle città sono le centrali termoelettriche, il riscaldamento e il traffico e il valore limite orario imposto dall’Unione Europea è di 200 microgrammi per metro cubo da non superare per più di 18 volte l’anno.
Sull’uomo il biossido di azoto è irritante per gli occhi e soprattutto per l’apparato respiratorio, ed è causa di bronchiti andando a provocare edemi polmonari e decesso in quanto è in grado di combinarsi con l'emoglobina, che ne modifica le proprietà chimiche e fisiologiche.
La direttiva 2008/50/CE prevedeva che gli Stati membri dell’Unione Europea raggiungessero questi limiti entro il 2010, con possibilità di proroga di massimo di cinque anni; la proroga sarebbe stata concessa a condizione che lo Stato in questione fosse stato in grado di dimostrare l’impossibilità di adeguarsi nei tempi previsti e soprattutto che fornisse un adeguato piano di risanamento della qualità dell’aria, sufficiente a raggiungere valori conformi entro il 1° gennaio 2015.
A 23 città italiane è stata concessa la proroga perché la Comunità Europea ha ritenuto che i provvedimenti intrapresi dalle amministrazioni locali fossero nella direzione corretta: a Verona e ad altre 24 città non è stata concessa questa possibilità perché i piani presentati non sono stati ritenuti congrui alle esigenze.
Per l’ennesima volta, quindi, i contribuenti veronesi dovranno sobbarcarsi un'altra sanzione a causa della pochezza dei provvedimenti presi per ridurre l’inquinamento.

Gianni Giuliari

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 10 agosto 2012

Sono passati
802 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati 
96 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
81 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

giovedì 9 agosto 2012

Un'allarmante denuncia da Neviano


Taglio dei boschi senza tregua e nessuno controlla

L'assemblea di Neviano del 30 luglio doveva fugare ogni dubbio dei cittadini sulla sostenibilità dei progetti e delle iniziative delle amministrazioni in merito alla centrale a cippato e sui tagli dei boschi.
Almeno di tale tenore erano le affermazioni del sindaco Garbasi e del capo del Pd Dall'Olio che accusavano Reteambiente di fare del terrorismo ambientale.
Ecco invece una prima crepa alla sicumera della loro narrazione.
Da Neviano una residente, preoccupatissima, ci scrive per avere voce e sostegno contro lo scempio perpetuato dall'amministrazione direttamente sopra casa sua.
Queste le sue parole.
“Sono residente a Neviano e sto vivendo con angoscia la devastazione in atto sul territorio. Non ho mai visto una tale rapidità negli interventi del passato: qui procedono a tamburo battente.
Abito in una casa sotto il cimitero, dove il terreno è in forte pendenza; per evitare il rischio di smottamenti più di quarant'anni fa la Forestale aveva aggiunto alle querce originarie dei pini neri, poco adatti al clima e quindi bisognosi di manutenzione, che peraltro da vent'anni il Comune si è ben guardato di fare.



Ora, nel giro di pochi giorni hanno raso al suolo tutto il bosco e non mi risulta nessuna perizia geologica. E' altamente probabile che, con l'arrivo delle piogge autunnali, particolarmente violente in queste ultimi anni a causa del riscaldamento globale, riprendano i movimenti franosi che caratterizzano la zona. Il cimitero che mi sovrasta arriverà qui, a casa mia.
Vi scrivo per chiedere aiuto affinché si tenti di arrestare lo scempio in atto e si proceda al rimboschimento dei terreni messi a nudo.
Ho seguito con interesse gli interventi di Rete Ambiente sulla caldaia a cippato: quello che sta accadendo è tutto collegato.
In giro c'è rassegnazione”.

E' in atto un taglio forsennato dei boschi prodotto da una domanda speculativa del mercato della legna da ardere.
Certi amministratori non si rendono conto che non si può tornare indietro, ma che soprattutto non si deve farlo per non innescare di nuovo il degrado idrogeologico imperante in quei tempi.
Non si può creare lavoro saccheggiando le risorse naturali, mettendo a rischio frane i versanti e in forse la sicurezza della gente e delle loro case.
Il lavoro lo si deve creare avviando il risparmio energetico. Concentrando tutti i finanziamenti su di esso in modo da farlo diventare il volano della ristrutturazione dei borghi, a sua volta strumento efficace di una ricezione turistica accogliente e diffusa.

Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma

9 agosto 2012

www.reteambienteparma.org  -  info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - circolo valbaganza - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave all’amianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorse – no cava le predelle –
associazione per l'informazione ambientale a san secondo parmense


5 tesi fra montagna e città


Due forme di cultura opposte
La città e la montagna rappresentano due forme di cultura molto diverse tra loro, quasi opposte.
Nella prima elaborazioni concettuali astratte possono costituire la verità.
Nella seconda, al contrario, verità sono solo i dati di fatto e le astrazioni diventano chiacchiere inutili. Qualsiasi opinione può farsi teoria e far parte del sapere; di contro il sapere è tramandato solo oralmente ed è costituito dalle esperienze che si sono affermate con successo e quindi, per questo, divenute vere.
L'uomo di città è portato ad esprimere le proprie opinioni; il montanaro, come il servo della gleba dell'antichità, si trattiene dall'esporre ciò che pensa aspettando il momento giusto per farlo valere.
Il coraggio delle proprie opinioni da una parte, la propria ragione da imporre coi fatti, dall'altra.
Le due mentalità  sembrano inconciliabili.
La città padroneggia la tecnologia che ha soppiantato i mestieri e i saperi della montagna.
Dalla città arriva la speculazione che può decidere dei destini della montagna.



La montagna sta morendo
Tutti ne parlano, tutti temono che si avveri.
L'agricoltura e l'allevamento tradizionali sono spariti. L'agricoltura industriale ha sbaragliato il campo. L'artigianato è ormai del tutto soppiantato dall'industria manifatturiera.
I famosi saperi e mestieri, di cui i politici si riempiono la bocca, rischiano di finire dimenticati definitivamente in qualche museo polveroso.
La montagna è stata abbandonata da tempo, ma non si intravedono attività economiche che possano bloccare i giovani nelle terre alte, mentre la città appare loro con tutto il luccichio delle promesse  di soldi, sesso e socialità.
Qualcuno ha detto che "siamo seduti su un altro petrolio" e il mercato della legna da ardere ha risposto aumentando la domanda, complice la crisi economica e il prezzo dei carburanti.
In montagna, molti si sentono spinti a tagliare più legna possibile, come fossero consapevoli che si stanno dividendo le spoglie di qualcosa che presto non ci sarà più.
Nell'indifferenza delle amministrazioni. Anzi, con funzionari pronti a giustificare la cosa e a raccontare in giro che, essendoci il  doppio di boschi di quarant'anni fa, si può tagliare tutto ciò che è ricresciuto, recuperando la biodiversità dei prati di una volta.


Si fermeranno la speculazione sulla legna e i tagli?
Da soli no.
La green economy applicata alle biomasse si è sommata al mercato della legna da ardere, moltiplicando la domanda.  Legna portata via coi camion per essere cippata e bruciata chissà dove o trasformata in pellet. Nel 2011 sono state vendute in Italia 200 mila stufe a pellet.
I tagli si sono moltiplicati al punto che l'offerta ha superato di gran lunga la domanda, portando il prezzo di vendita dagli 8 euro al quintale iniziali, agli attuali 5,5 euro.
Pensate che si taglierà  di meno per riequilibrare il prezzo di mercato?
Semmai il contrario.
La gente che si è abituata a quella fonte di denaro non sarà disposta a rinunciarvi, men che meno con la crisi in atto. Anzi, taglierà di più per raggiungere lo stesso gruzzolo dell'anno precedente. D'altra parte il ribasso dei prezzi di mercato della legna non farà altro che renderla sempre più  conveniente rispetto a quello dei carburanti fossili e più appetibile per un  sempre più vasto bacino di utenti.
Una spirale senza fine che arriverà a consumare i nostri boschi.

Il riscaldamento globale colpirà duro in montagna
Molti montanari e gente di città appassionata di montagna cominciano ad intuire cosa succederà e a preoccuparsi seriamente.
Il cambiamento climatico arriverà  prima in montagna. Provocherà siccità nella fascia delle sorgenti, dove la neve per diversi mesi è necessaria alla loro ricarica.
La durata dell'innevamento si accorcia sempre più, è capricciosa: di giorno il calore del sole scioglie la neve, di notte l'altitudine la fa gelare, provocando vetroghiaccio, un fenomeno disastroso per le piante, spezzate dall'aumento di volume del ghiaccio riformato.
La fascia delle sorgenti è la zona delle faggete, bisognose di umidità e di acqua.
La loro traspirazione ributta fuori quella stessa umidità di cui hanno bisogno alimentando temporali, necessari a mantenere il microclima. Ma tali temporali estivi  in futuro, data la sempre maggior escursione termica, tenderanno a diventare burrasche, con enormi quantità d'acqua in poco tempo, come nelle Cinque Terre, o come in questi giorni in Alto Adige.
I versanti dei monti, denudati dal taglio spropositato, scenderanno a valle riempiendo i torrenti che, tracimando, travolgeranno ogni cosa. Le prime ad essere colpite saranno le strade.
L'acqua è ancora abbondante in montagna, ma viene rubata.
Enel, coi suoi bacini e condotte mai ristrutturati, perde il 50% dell'acqua captata e dà ai comuni montani solo elemosine.
Aziende di imbottigliamento come la Norda-Lynx, a Ponteceno, e tante altre, portano via l'acqua per pochi spiccioli.
La maggior parte dei comuni si vantano di aver dato in gestione i propri acquedotti ad Iren,
con la conseguenza che ora si trovano nell'impossibilità di turbinarli per ricavare elettricità
e rimpinguare le casse pubbliche.

Cosa può salvare la montagna?
La montagna, lasciata a se stessa e alla miopia dello sfruttamento delle sue risorse, diventerà terra di conquista. Non resterà a lungo disabitata, sarà ripopolata da gente dell'est, mercenari pagati in nero al soldo della speculazione.
L'ambientalismo ideologico, quello che dice sempre no a tutto, non ci interessa. Non è credibile e non ha un progetto per la montagna.
Ma l'uso sostenibile delle energie rinnovabili non è la stessa cosa della green economy. Con lo sviluppo delle centrali termiche a cippato, della cogenerazione per produrre energia elettrica e delle aziende di taglio industriale della legna, le amministrazioni sembrano accettare il suo dettato: soldi in cambio di risorse.
Ma l'uso delle rinnovabili senza intaccare le risorse può far rinascere i borghi.
Le innovazioni tecnologiche della città possono legarsi agli antichi mestieri, farli rivivere.
Il solare fotovoltaico e il solare termico uniti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico possono essere il volano di nuova occupazione e di autonomia energetica.
Possono costruire la base ricettiva adeguata per un turismo diverso da quello di massa.
Un turismo capace di far nascere la domanda di produzioni alimentari biologiche e artigianali di pregio. L'Alto Adige e il Trentino insegnano.
Il principio deve essere quello che il lavoro non deve consumare le risorse.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
9 agosto 2012

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L'inceneritore di Verona e i silenzi della Chiesa


Dopo una gestazione durata più di nove mesi, il Comune di Verona ha deciso di dare alla luce la relazione introduttiva dell’Istituto Superiore di Sanità sulla valutazione della situazione ambientale dell’area attorno al costruendo impianto di incenerimento di Ca’ del Bue. In data 1° agosto 2012 il Comune di Verona ha finalmente reso pubblico la relazione sul suo sito Internet nove
mesi, ripeto, dalla consegna ufficiale del documento da parte di I.S.S. in seguito alla convenzione fra i due enti che, ricordo agli smemorati, è costato alle magre casse comunali, cioè a tutti i veronesi, ben 120 mila euro.



Come tempismo e voglia di trasparenza da parte dell’amministrazione comunale non c’è che dire.
Dire che è inquietante la sensazione che si ha nella lettura del documento è usare un puro eufemismo. Per esempio, a pag. 5 sta scritto che “la combustione di un chilogrammo di rifiuto in un siffatto impianto produrrà un grammo di elementi inquinanti di interesse igienico-sanitario, fra i quali ossidi di azoto, ammoniaca, diossine, arsenico, mercurio, cadmio, etc.”.
Se solamente un chilo di rifiuto bruciato produrrà un grammo di inquinante, figuriamoci cosa produrranno le 572 tonnellate di rifiuti che si prevede di bruciare ogni giorno nell’inceneritore: e tutto questo per 25 anni.

“Nell’intera area di raggio 5000 m. dall’impianto sono presenti insediamenti urbani con densità abitativa che li rende sensibili ai contaminanti aerodispersi” (pag.6). Che tradotto sarebbe come dire: in questa area ci sono uomini, donne, bambini che saranno contaminati dalle emissioni dell’inceneritore. E più avanti a pag. 8: “le industrie alimentari, gli allevamenti e i terreni coltivati sono le attività con più alta vulnerabilità ai microinquinanti emessi dall’impianto di incenerimento”.
E via inquietando.
Oramai il re è nudo. Dopo che per mesi il sindaco Tosi si era stracciato le vesti giurando e spergiurando che l’inceneritore di Ca’ del Bue sarebbe stato praticamente innocuo, ora anche l’Istituto Superiore di Sanità lo smentisce, e, per colmo d’ironia, in un documento che il sindaco stesso aveva commissionato al centro di ricerca allo scopo di tranquillizzare i veronesi a riguardo.
A questo punto è lecito domandarsi: davanti alle fosche previsioni di impatto sul nostro territorio e sulla vita della popolazione che simile progetto avrà, come possiamo noi, cittadini e cristiani, rimanere inermi, e come fa, mi domando, la Chiesa a non schierarsi?
Fino ad adesso i rappresentanti più autorevoli della Chiesa locale, interpellati a proposito, si sono sempre scherniti trincerandosi dietro al fatto che non era loro competenza entrare in merito a un discorso prettamente tecnico. Il progetto dell’inceneritore, come si evince invece dalla lettura del documento dell’Istituto Superiore di Sanità, è un progetto che avrà pesanti ricadute sulla salute e sul futuro di intere generazioni di veronesi.
E qui, a mio avviso, la Chiesa veronese non può più barcamenarsi con mezze misure: deve essere chiara nell’esprimere il proprio no al progetto insensato che stanno architettando sulla nostra pelle anche se questa presa di posizione dovesse disturbare il Grande Manovratore perché se.
Qualcuno un tempo ha detto “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”(Gv 10,10), spero vivamente che questo messaggio di vita e di speranza riguardi anche la comunità veronese.

Gianni Giuliari

p.s. Anche a Parma la Chiesa tace. O meglio parla a vanvera, fornendo ai sostenitori dell'inceneritore alibi preziosi. E' il caso del Centro di Etica Ambientale dove convivono Iren, il Comune di Parma, La Diocesi. Un gioioso gingillo di distrazione di massa.

Lo studio: http://portale.comune.verona.it/nqcontent.cfm?a_id=30495

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 8 agosto 2012

Sono passati
800 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
94 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
79 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

Finto Zero


L'Istituto Superiore di Sanità, responsabile scientifico Giovanni Marsili (ricordate l'audizione a Parma?), firma una convenzione da 120 mila euro con il comune di Verona, per studiare l'impatto del costruendo inceneritore di Cà del Bue.
Con grande ritardo e fatica finalmente il sindaco Tosi pubblica i primi riscontri.
Netti, allarmanti.



L'Iss non va tanto per il sottile e per una volta non si nasconde dietro virtuosismi terminologici.
Nero su bianco elenca quanto inquinerà l'inceneritore, e quanti sono i cittadini che saranno esposti all'impatto del forno.
Una relazione devastante che taglia di netto ogni speculazione sull'impatto zero.
Perché l'impatto zero non esiste.
E' un favola per cittadini incolpevoli, che non possono essere tutti esperti e informati, per cui giustamente si fidano delle maestranze, degli amministratori, dei politici che hanno delegato al governo delle loro comunità.
Il finto zero.
Lo zero che in questi anni assurdi di costruzione della grande bugia ci hanno propinato in tutte le salse, coscienti di mentire, ma talmente concentrati sulla meta da calpestare senza vergogna il diritto dei cittadini a conoscere la verità, a sapere a che cosa andavano incontro.
L'elenco dei nomi sarebbe lungo.
Oggi ci raccontano che è troppo tardi.
Quando la nostra associazione mise in guardia sui rischi ci dissero che era troppo presto.
Quando conteremo i morti sarà di nuovo tardi.
Lo slalom delle bugie è sceso rapido verso il traguardo, senza quasi inforcare bandierine.
La squadra era compatta e concorde, nessuna sbavatura e nessun dissenso ufficiale.
L'inceneritore di Parma, meraviglia della tecnica, non avrebbe avuto alcun impatto sull'ambiente, anzi.
Quando finalmente sarà acceso, migliorerà l'aria dell'autostrada.
Quando finalmente sarà in attività, le quotazioni dell'area di Ugozzolo saliranno.
E tutti faremo la fila per quell'angolo salubre della nostra città, all'ombra del camino.
Il ministro Clini non farebbe vivere il nipote all'ombra dell'Ilva.
Noi invece dovremmo essere fieri di Ugozzolo, esibirne al mondo le mostrine luccicanti.
Un grande operazione di distrazione di massa, che nascondeva, ed ancora lo fa oggi, solo e soltanto il solito e sporco motivo, che supera ogni altro ostacolo, il goloso business.
Soldi, interessi, azioni di Borsa, management, poltrone, stipendi.
I cittadini subiscono, come sempre.
Siamo stupiti dal silenzio, ancora oggi asfissiante, di tanti.
Il silenzio della Chiesa, quella che dovrebbe salvaguardare il suo e nostro Creato, ma prima pensa ad altro.
Il silenzio di partiti che si dichiarano dalla parte dei cittadini e dell'ambiente, ma che traducono queste parole in azioni opposte, quasi con un atteggiamento di scherno.
Il silenzio dei media, che altro non fanno che cronaca, quasi mai si ricordano che sono lì anche per fare inchieste, approfondimenti, ricerca della verità.
Oggi passa sotto silenzio perfino lo studio dell'Istituto di Sanità.
Perfino gli impianti taroccati da software amici non portano a riflettere, a rendersi conto, a far capire alla gente con che cosa abbiamo a che fare.
Si accetta perfino che una delibera di un consiglio comunale sia disattesa nel suo principio fondamentale, la trasparenza sugli atti che ancora oggi latita, 800 giorno dopo.
Stupisce il silenzio della Procura, schiacciata da un mole di esposti, segnalazioni, indagini, eppure ancora invisibile difesa della legalità e del corretto agire.
Considerazioni amare, possibile che nessuno si ribelli?
Dov'è l'Italia? Davanti agli schermi per assistere a un record taroccato?
Unita solo per cantare un inno calpestato ogni giorno dall'illegalità?

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 9 agosto 2012

Sono passati
801 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati 
95 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
80 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

mercoledì 8 agosto 2012

Vale la pena investire in biomasse?


Uno studio tedesco mette in crisi il modello emiliano sostenuto dal Pd

Giulio Meneghello

http://qualenergia.it/articoli/20120805-vale-la-pena-scommettere-sulle-energia-da-biomasse

Un report pubblicato dall'Accademia nazionale delle scienze tedesche Leopoldina indaga a 360 gradi su vantaggi e svantaggi di biomasse e biocarburanti. Le controindicazioni di queste fonti energetiche finora sono state sottovalutate. Converrebbero a livello energetico-ambientale solo con certe filiere e a determinate condizioni.



Le biomasse, in generale, e i biocarburanti di prima generazione, più in particolare, non sono il modo migliore per ridurre le emissioni di gas serra. L'accusa ai limiti dei biofuel non è una novità, ma il nuovo report pubblicato dall'Accademia nazionale delle scienze tedesche Leopoldina è interessante perché tenta una valutazione a 360 gradi della sostenibilità delle varie forme di bioenergia. Le principali controindicazioni sono note: per alcune colture e filiere il bilancio in termini di gas serra può essere controproducente e spesso rubano spazio alle colture alimentari con la conseguenza di far salire il prezzo dei cereali e di causare deforestazione.

Questi sono i motivi per cui dallo studio emerge l'ennesima bocciatura dell'obiettivo europeo 2020 di soddisfare entro quell'anno il 10% del fabbisogno energetico per i trasporti con le rinnovabili, che rischia di essere coperto quasi totalmente con i biofuel. Ma, secondo i 20 accademici che hanno contribuito al report il ricorso alle biomasse andrebbe limitato in generale: per ridurre le emissioni di CO2 queste fonti sono molto meno efficienti di altre come eolico e fotovoltaico, anche se ovviamente le biomasse hanno il vantaggio di poter essere trasformate agevolmente in combustibili liquidi o di poter produrre in modo altamente modulabile e in cogenerazione sia elettricità che calore.
Focalizzandosi sul caso tedesco, ma facendo un discorso valido a livello europeo e globale, infatti, il report bolla come troppo ottimistiche sia le valutazioni sugli impatti di biocarburanti e altre biomasse fatte dalla Comunità Europea, sia quelle dell'IPCC Special Report 2012 on Renewable Energy (SRREN) che quelle del BioÖkonomieRat del Governo tedesco. La conclusione è che, fatta eccezione per quelle derivate da prodotti di scarto e sottoprodotti, le biomasse non sono un'opzione praticabile su larga scala per ridurre le emissioni.
Ad esempio, censendo la filiera forestale tedesca si ritiene che aumentare o anche solo mantenere il livello di produzione energetica attuale da legna comporta c'è il rischio di compromettere il patrimonio boschivo nazionale senza contribuire alla riduzione delle emissioni. Solo foreste mantenute in equilibrio, cioè in cui si ripiantumi di pari passo con il taglio avvicinerebbero alla neutralità in termini di CO2. Ancora peggio va nella biomassa coltivata: qui, tenendo conto dell'uso di nitrati per i concimi, dell'energia spesa nella coltivazione e di tutto il resto le emissioni sono quasi sempre superiori alla quantità di CO2 immagazzinata dalla pianta. Per il biogas, si spiega, solo alcune filiere particolari sono sostenibili e per biodiesel e bioetanolo la sostenibilità è ancora più difficile da ottenere. A questo si aggiunge il fatto che la quantità di biomassa necessaria per soddisfare l'obiettivo europeo sui trasporti è incompatibile a livello di terreni disponibili con la produzione alimentare. E che gran parte viene dall'importazione da paesi nei quali è difficile controllare le filiere.
I biocarburanti di prima generazione, dunque, in questo report sono tutti bocciati. Perfino il bioetanolo da canna da zucchero -  che con un EROI (rapporto tra rendimento energetico ed energia  investita) che arriva fino ad 8 ed è tra i migliori -  secondo gli autori non è pienamente sostenibile: per avere quei rendimenti infatti bisogna usare per il processo di lavorazione il calore ottenuto bruciando i residui della canna, la cosiddetta bagassa, anziché reinterrarli nel campo e questo significa estrarre carbonio dal suolo. Meglio da questo punto di vista il biogas, i cui residui di lavorazione vengono resistuiti ai campi come fertilizzanti, permettendo, nelle filiere ben fatte, di avere bilanci negativi in termini di CO2.
Speranze restano in un rapido sviluppo dei biocarburanti di seconda generazione, specialmente quelli a base di materie lignocellulosiche, che eviterebbero parte degli impatti negativi degli attuali. Il report dell'Accademia nazionale è invece molto scettico sullo sviluppo dei biocarburanti dalle alghe: con le tecnologie attuali si scrive l'EROI dei biocarburanti da alghe è al di sotto di 1, si spende cioè più energia per produrli di quella che rendono. Un paragrafo è dedicato anche alla produzione di idrogeno da biomasse. Anche qui siamo lontani dalla competitività: con il metodo più diffuso, cioè ricavandolo dal metano, si ottiene idrogeno a 1 $ al chilogrammo, mediante elettrolisi (che può essere fatta anche con l'elettricità da rinnovabili) si sale a 3 $/kg, mentre ottenere l'idrogeno con la pirolisi da biomasse attualmente, si spiega, al momento costa circa 7 $/kg.
In conclusione vale la pena scommettere sulle biomasse?
Secondo gli autori per quanto possibile meglio concentrarsi su altri metodi per ridurre la CO2: efficienza energetica, eolico, fotovoltaico e solare termico.
Le biomasse dovrebbero essere promosse solo laddove non entrino in competizione con la filiera alimentare, abbiano un impatto ambientale sostenibile e un bilancio in termini di emissioni di gas serra almeno del 60-70% migliore dei vettori energetici che sostituiscono (tipicamente benzina, gasolio e gas). Promettente in tal senso è l'uso di scarti e sottoprodotti, ad esempio l'uso dei reflui degli allevamenti per ottenere biogas.

Lo studio
http://qualenergia.it/sites/default/files/articolo-doc/201207_Stellungnahme_Bioenergie_kurz_de_en_final.pdf


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martedì 7 agosto 2012

Pietre Verdi, cambio di passo


Dal 2008, anno di costituzione del comitato che si batte per la chiusura delle cave di “pietre verdi”, chiediamo invano alle amministrazioni pubbliche più direttamente interessate dalla presenza sul loro territorio di queste cave, di riconoscere l’esistenza di un problema a rilevanza sanitaria.
E di prendere le dovute misure.



Poche settimane sono trascorse dall’insediamento della nuova amministrazione di Parma ed ecco che il problema viene portato alla luce; la massa enorme di documentazione qualificata  disponibile a sostegno delle nostre tesi ha convinto l’Amministrazione di Parma ad adottare un provvedimento immediato di limitazione nell’uso di questa tipologia di ghiaie, in quanto la dispersione delle fibre di amianto non interessa solo i luoghi di estrazione, ma tutto il percorso.
Rete Ambiente Parma plaude a questa decisione come importante punto di svolta che merita di essere divulgato e apprezzato come salutare atto amministrativo a tutela di tutti i cittadini, non solo di Parma.

Noi siamo fermamente convinti che il Ministero della Salute sulla questione cave ofioliti  non potrà rinviare ancora a lungo la revisione della legge vigente in materia, ma intanto ci aspettiamo che Parma faccia seguire alla delibera di G.C.81/6 del 26/07 un provvedimento normativo che sancisca il divieto assoluto nell’utilizzo delle ”pietre verdi” provenienti da cave di cui è già stata accertata la presenza di amianto nella roccia madre, così come risulta dalla “Mappatura degli edifici pubblici o privati aperti al pubblico con presenza di amianto aggiornato al 30 settembre 2011”.
Un atto, quello che chiediamo, di coerenza e intelligenza che riconosciamo nelle corde dell’Amministrazione Pizzarotti.
La speranza infine è quella che altre amministrazioni della nostra provincia seguano l'esempio del capoluogo per creare un quanto mai opportuno territorio libero da fibre di amianto provenienti dalle cave ofiolitiche.

Fabio Paterniti
Rete Ambiente Parma
7 agosto 2012

www.reteambienteparma.org  -  info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - circolo valbaganza - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave all’amianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorse – no cava le predelle –
associazione per l'informazione ambientale a san secondo parmense

lunedì 6 agosto 2012

Dove vanno a finire?


Un luogo comune della gestione domestica dei nostri rifiuti è il credere che gettare i rifiuti nei cassonetti dell'indifferenziato corrisponda ad una azione virtuosa, che se seguita da tutti risolverebbe il problema relativo agli scarti.
Purtroppo le verità è un'altra.
Certamente abbandonare rifiuti ai bordi delle strade, nelle scarpate, nei torrenti, è ancora peggio e rende indefinito e incerto il destino degli stessi.



Proviamo però anche ad osservare il supposto virtuoso cassonetto e capire quali strade i nostri scarti prendano se collocati in questi contenitori, di cui anche Parma è ancora disseminata.
Il destino dei rifiuti “indifferenziati”, così vengono definiti quelli che provengono dai cassonetti stradali, è a Parma il preselettore del Cornoccio, un impianto che consente un primo trattamento e permette di separare la parte umida da quella secca.
Il flusso secco in uscita dal selettore è indirizzato a due sistemi, la discarica oppure l'inceneritore.
Di recupero di materiali si può solo parlare della parte umida, che come frazione putrescibile viene poi portata a stabilizzazione e diventa materiale di copertura delle discariche, e un  recupero di metalli, attraverso un sistema di magneti.
La parte secca, come detto, va a discarica o a incenerimento, quella umida alla fine giunge anch'essa in discarica.

Il destino dei materiali stoccati in discarica è noto, un ammasso di materiali di difficile gestione, da controllare per decenni, sempre con il rischio di produzione di percolati e gas serra.
Il destino dei materiali che vanno ad incenerimento è anch'esso ormai conosciuto. Il materiale bruciato si trasforma in ceneri, pesanti quelle di fondo caldaia, leggere quelle contenute nei filtri.
Sono evidenti le scarse performance ambientali.
Ed è evidente che quell'oggetto che finisce nel cassonetto ha il destino segnato e non è recuperabile.
Ci sono però altri pericoli: gli oggetti che noi depositiamo come scarti (credendo di liberarcene per sempre ed in modo sicuro) possono invece tornare al mittente, per esempio sotto forma di gas che escono dal camino degli inceneritori.
Dovremmo avere maggiore consapevolezza quando facciamo il gesto del liberarci di oggetti nell'indifferenziato.
Partendo dal presupposto che non saranno recuperati come materia (un grande spreco energetico), e che dovremo anche valutare l'effetto che il fuoco avrà su quella materia.
Sentiamo parlare spesso di inquinamento da metalli pesanti e dai dati di progetto degli inceneritori ci accorgiamo che tantissime sono le sostanze emesse sotto forma di metalli, pericolosi per la salute.
I metalli pesanti degli inceneritori non si formano casualmente ma sono il frutto della combustione di materiali come l'alluminio che troviamo spesso negli scarti urbani.
O anche le famigerate diossine che si formano in presenza di materiali con presenza di cloro.
Quando gettiamo via rifiuti dovremmo chiederci molto seriamente se le cose che buttiamo non possano invece prendere la via del riciclo.
Se quei materiali bruciando non possano farci del male tornandoci in casa nell'aria che respiriamo.
Ogni volta che apriamo il bidone dell'indifferenziato ci dovremmo porre queste domande.
Pensate a quanti imballaggi ricchi di alluminio ci sono: tetrapack, marmellate monouso, coperchi degli yogurt, involucro del burro, lattine. Non parliamo poi delle bottiglie di plastica, dei contenitori alimentari di polistirolo, dei film da imballaggio, di posate plastiche.
Togliere i materiali riciclabili dall'indifferenziato è anche una scelta di salute.
Da non sottovalutare.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 6 agosto 2012

Sono passati
798 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
92 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
77 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI