giovedì 2 agosto 2012

сжиганию


In cirillico inceneritore si dovrebbe scrivere più o meno così.
In realtà non sappiamo ancora quale sarà la lingua con cui interloquire con i nuovi padroni dell'inceneritore. Russo? Cinese?
Certo è che la multiutility Iren sta concretamente valutando la possibilità di completare l'inceneritore, accenderlo, e poi venderlo a privati per recuperare parte del grande debito sotto il quale giace, una montagna che supera i 3 miliardi di euro.



L'ipotesi non è peregrina.
Iren si trova in aperta ostilità con l'ente locale, il comune di Parma, che non vuole mandare al rogo i suoi rifiuti, e il comune porta il 40% circa dei rifiuti urbani gestiti dal forno, pi una serie di altri materiali come i fanghi da depurazione.
La prospettiva quindi sarebbe quella di trovarsi in uno scenario di scontro aperto, con un contratto di gestione in scadenza (2014), che peraltro l'Antitrust ha già fatto morire lo scorso dicembre 2011, ma su cui nessuno ancora si pronuncia.

Si dirà, ma l'autorizzazione legata all'impianto consente di gestire solo rifiuti di Parma, come si può pensare, come indicano le agenzie di stampa, che l'inceneritore diventi un gestore di rifiuti industriali provenienti da ogni dove?
Niente di pi facile.
L'autonomia territoriale, ogni provincia deve gestire i propri rifiuti, non esiste più, dopo che la regione ha riformato gli ambiti territoriali ottimali, facendo diventare la regione Emilia Romagna un unico vasto territorio in cui definire le politiche di gestione degli scarti.
Un altro lampante esempio lo viviamo già da anni a Rubbiano, dove il co inceneritore di Laterlite brucia oli esausti e rifiuti industriali pericolosi dal 2001, con tanto di autorizzazione ambientale firmata dalla Provincia di Parma, nonostante lo stabilimento non sia in teoria un inceneritore ma produca palline di argilla.
Figuriamoci un inceneritore vero e proprio.
Una società privata, a cui Iren pensa di vendere l'impianto, agirebbe in totale autonomia rispetto agli enti locali e una volta acceso l'impianto avrebbe mano libera su che cosa fare entrare nella fornace.
Con tanti saluti alla salute, all'ambiente, ai cittadini.
In bocca al lupo Parma.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 2 agosto 2012

Sono passati
794 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
88 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
73 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

Neviano, la grande stufa buona


E' solo una caldaia, ha sottolineato Dall'Olio, nient'altro che una grossa stufa, che inquinerà molto meno di sette vecchie stufe di potenza equivalente.
Il leit motiv della serata a Neviano è stato questo, tranquillizzare, sminuire, presentare la centrale a cippato come una favola a lieto fine, da replicare ovunque nelle terre alte.
Un'assemblea a senso unico, senza alcun contraddittorio, dove a parlare erano gli stessi progettisti dell'impianto, quasi fosse una serata di promozione aziendale.



La grande stufa buona. Dall'Olio, capogruppo Pd a Parma, dovrebbe sapere che la grande maggioranza dei cittadini della montagna si è già dotata di moderne stufe a pellet o miste legna-pellet, impianti automatizzati che hanno emissioni dieci volte inferiori della centrale a cippato che verrà costruita.
Un articolo sul "Sole 24 ore" conferma il boom di vendita di stufe a pellet nel nostro paese nel 2011, 200 mila unità.
Abbiamo chiesto al sindaco Garbasi perché non incentivare la sostituzione completa delle vecchie stufe, invece di impegnare mezzo milione di euro tra centrale e teleriscaldamento.
Abbiamo chiesto perché non impiegare quei finanziamenti europei per il risparmio energetico, a partire dagli edifici pubblici.
Non sarebbe meglio pensare prima a come ridurre i consumi?
Di risposte nemmeno una.

E' chiaro che la decisione è calata dall'alto e non la si discute.
Regione e Provincia hanno deliberato di sviluppare queste centrali e le finanziano.
Dall'Olio ha fatto notare l'esiguità dei consumi, solo 4 mila tonnellate di cippato.
Tra quelle già funzionanti e quelle in cantiere rispetto alla quantità di legna tagliata nel 2009, 150 mila tonnellate.
Ha anche dichiarato che nel progetto complessivo si conta di arrivare a 24 centrali.
Un consumo crescente, e se tutte seguiranno l'esempio di Monchio che vuole fare anche
cogenerazione, cioè produrre energia elettrica, ancora di più, visto che gli impianto rimarrebbero accesi anche d'estate.
Il rendimento di una centrale a cippato per produrre elettricità è molto basso, tra il 12 a il 15%, per cui quelle tonnellate di cippato delle 24 centrali dovranno essere moltiplicate per 6, che vuol dire arrivare a 70, 80 mila tonnellate.
E in effetti una volta installate, gli amministratori si chiederanno per quale motivo non si dovrebbe sfruttarle appieno trasformandole in cogenerazione come Monchio.
In assemblea i tecnici chiamati dal comune, tra cui l'ingegner Francescato, direttore nazionale di AIEL (azienda italiana energia dal legno), hanno subissato la platea per due ore con relazioni e slides su come siano efficienti e non inquinanti le caldaie che le loro aziende costruiscono ed impiantano.
E' roba loro, devono venderle, cosa potevano dire di diverso?
Sulle polveri però hanno dovuto ammettere che le emissioni sono tra i 40 e i 70 mg/ Nm3, cioè da 6 a 10 volte più inquinanti delle moderne caldaie automatizzate familiari.
Certo quei valori rientrano nei 100 mg/Nm3 stabiliti dalla normativa italiana, ma l'Europa sta spingendo per portare quei limiti a 30 mg/Nm3, perché c'è grande preoccupazione per gli effetti nocivi delle polveri fini sulla salute.
Le polveri da camino, che il filtro meccanico a multiciclone non abbatte minimamente, confermato dallo stesso Francescato, contengono carboni organici volatili (COV), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), ossidi di metalli pesanti e diossine.
Queste sostanze sono velenose e mutagene e si attaccano alle particelle di polvere che poi noi respiriamo.
Questo non è terrorismo, è sapere scientifico comprovato.
Questo è il motivo per cui a Parma i cittadini hanno votato contro l'inceneritore.
Lungo le strade di montagna, tutti possono vedere le cataste che fanno ormai da contorno all'asfalto, dappertutto.
E' in atto un taglio forsennato dei boschi prodotto da una domanda speculativa del mercato della legna da ardere. Tali tagli hanno ormai superato la stessa domanda e il prezzo dei tronchetti accatastati è crollato dagli 8 euro al quintale di tre anni fa agli attuali 5,5 euro.
Tutti sono convinti che tale scempio non si fermerà.
Anzi, il crollo stesso del prezzo spingerà molti a tagliare di più per intascare almeno gli stessi soldi dell'anno prima.
Non ci stiamo riferendo ai boscaioli, che fanno correttamente il loro lavoro di sempre, ma a tutti coloro che assoldano immigrati in nero per farli lavorare al posto loro e per il proprio profitto.
Abbiamo sentito amministratori e tecnici affermare che oggi c'è il doppio di legna rispetto a quarant'anni fa e che non sarebbe un male se la si tagliasse, recuperando i prati di una volta e la biodiversità che questi rappresentavano.
Qualcuno, Bricoli, si è permesso di usare la biodiversità contro l'ambiente nel suo complesso.
Veramente il colmo.
Tecnici che non si rendono conto che non si può tornare indietro, ma che soprattutto non si deve farlo per non innescare di nuovo il degrado idrogeologico imperante in quei tempi.
Non si può creare lavoro saccheggiando le risorse naturali e mettendo in forse la salute della gente.

Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma
2 agosto 2012

www.reteambienteparma.org  -  info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - circolo valbaganza - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave all’amianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorse – no cava le predelle –
associazione per l'informazione ambientale a san secondo parmense

mercoledì 1 agosto 2012

Chiudete l'ILVA, riaprite Taranto


Francesco Peluso
Il Manifesto 30.07.2012
http://www.ilmanifesto.it/lettere/mricN/8172/

Da tarantino molto affezionato alla mia città, non ce la faccio a star fermo senza far nulla in questo momento in cui rischiamo di perdere l'ennesima occasione per cambiare la storia di questa disgraziata città e dei suoi abitanti.



Purtroppo so bene come andrà presto a finire: le pressioni della politica (sempre asservita al potere economico), dei lavoratori (in questo caso strumento dei padroni) e della loggia massonica-mafiosa che comanda in Italia porteranno a breve alla riapertura dello stabilimento, abbellita dal solito protocollo d'intesa (l'ennesimo) che nulla cambierà  e permetterà solo ai politicanti di turno di farsi pubblicità. Risultato: a Taranto si continuerà a morire di cancro, di leucemia e di linfoma.
Leggo che il ministro Clini si sta molto spendendo per far ripartire subito la produzione di acciaio. Per il bene dell'ambiente faccio un appello: sopprimiamo il ministero per l'ambiente! I ministri per l'ambiente sono quelli che più avorano per l'industria. Ricordo ancora il predecessore di Clini, la ministra Prestigiacomo, che andava in giro per l'Europa a chiedere deroghe in materia di rispetto delle normative sulle emissioni inquinanti. Se proprio la figura del ministro per l'ambiente deve continuare ad esistere, almeno chiamiamola col suo veronome e cioè ministro per gli abbienti.
Leggo anche che Vendola cerca di tenere insieme tutte le parti, con abile esercizio retorico a lui come sempre congeniale. I lavoratori, secondo il presidente della nostra regione, sono stretti tra la tenaglia della morte e della povertà perchè senza ILVA Taranto rischierebbe una spirale di povertà.
Presidente carissimo (mi riferisco al suo stipendio), in questo modo lei, consapevolmente, e, quindi, colpevolmente, alimenta le paure economiche che hanno reso noi tarantini un branco di pecore disposte a farsi guidare ovunque da voi politici e dai vostri referenti, cioè i padroni.

L'ILVA ha portato ricchezza a Taranto? Perchè non calcoliamo le opportunità di lavoro perse per la devastazione ambientale in una città che dovrebbe essere la perla dello Jonio? Perchè nel computo non ci mettiamo anche i danni al settore agricolo? E che dire degli allevatori di bestiame e di mitili rovinati per sempre? La maggior parte delle cozze provenienti da Mar Piccolo vanno al macero perché piene di diossina! Ma questa, si sa, non è l'economia che conta per i politici, perchè è l'economia dei piccoli, mentre di fronte ci sono i poteri forti economici.
Soprattutto mi farebbe piacere se il carissimo presidente Vendola e l'ancora più caro ministro Clini venissero a vivere a Taranto per qualche settimana. Se riuscissero a mantenere la lucidità nei giorni in cui spira la tramontana e ci porta i regali velenosi dell'ILVA, si accorgerebbero che intorno a loro mancano intere generazioni di giovani. Dove sono finiti i trentenni e i quarantenni? Semplice, sono andati via perchè non c'è lavoro, altro che ricchezza derivante dalla presenza dell'industria pesante! E ad andare sistematicamente via sono soprattutto quelli che nella vostra logica gerarchica dovrebbero essere futura classe dirigente, cioè quelli che hanno studiato, che si sono presi la laurea ed effettivamente potrebbero contribuire moltissimo alla crescita della città.
La causa di questo spopolamento è evidente: è stata sacrificata un'area industriale grande più del doppio della superficie abitata di Taranto ad un unico tipo di produzione, oltretutto ad altissimo impatto ambientale. A Taranto non c'è l'"area industriale", qui c'è praticamente solo l'ILVA, una fabbrica che assume, quando le cose vanno bene, qualche migliaio di diplomati (che non definirei fortunati). Tutto qui, questa è la nostra economia. Ma dinanzi a questo sfacelo nessuno è capace di parlare un linguaggio nuovo, nessuno dice qualcosa che rappresenti una vera alternativa.
Questa occasione storica, capitata per il lodevole buon operato della magistratura, dovrebbe essere sfruttata per dire a quei lavoratori dell'ILVA che non dovrebbero lottare per difendere il loro attuale posto di lavoro, fonte di veleni (tra l'altro non solo per loro ma anche per chi con l'ILVA non vorrebbe avere nulla a che fare!), ma dovrebbero battersi per difendere il loro stipendio, due concetti per nulla necessariamente legati.
In un mondo dove il lavoro è alienato e asservito al profitto della proprietà, l'uomo non deve vivere per lavorare. Anzi, meno si lavora (per un padrone), meglio è. Bisogna puntare ad altro: alla qualità della vita, ad esempio, e al tempo libero da passare in un ambiente salubre!
Se il problema è dare uno stipendio a quelle persone, le soluzioni alternative si possono trovare, a cominciare dal progetto di bonifica che si stima dovrebbe durare almeno 30 anni. E poi quante opportunità nuove di lavoro potrebbero sorgere in un'area industriale così grande, se fosse finalmente libera dal monopolio dell'acciaio che ci sta soffocando! Si potrebbe pensare ad un piano per favorire investimenti nell'area industriale di Taranto liberata. Senza contare, ovviamente, la rinascita dell'agricoltura, dell'economia basata sulle risorse del mare (la città dei due mari!) e del turismo!
Perché a sinistra non sento parlare di questo, carissimo presidente Vendola? Perchè fate gli stessi discorsi della destra, nel suo caso con qualche distinguo radical-chic, usando parole d'ordine come produzione, PIL, posto di lavoro? Siete culturalmente sterili e moralmente colpevoli: non rappresentate alcuna alternativa!
Tralasciando questi aspetti filosofici, pragmaticamente lei si difenderà dicendo che ha fatto tanto per l'ambiente a Taranto: la legge anti-diossina. Tralasciando tutte le altre sostanze inquinanti che ci appestano, quella legge, il suo vanto, è stata subito depotenziata con delle abili deroghe e di fatto resterà inapplicata fin quando non saranno obbligatori i famosi monitoraggi in continuo, che anche lei ha permesso di evitare. Fatta la legge, trovato l'inganno (o forse programmato fin dall'inizio). A che serve una legge che resta lettera morta?
E a che serve, ministro per gli abbienti Clini, un piano di bonifica da attuare con lo stabilimento attivo che continuerà ad inquinare?
Lei ha scritto che non ha senso chiudere l'ILVA oggi perchè si starebbe mettendo in regola con le normative ambientali. Io le ribalto la questione: semmai proprio mettersi in regola avrebbe avuto senso trent'anni fa, ma oggi, in un ambiente devastato come il nostro, nessuna produzione inquinante può essere più tollerata e la bonifica deve cominciare quando le emissioni si saranno fermate. Se non sarà così si tratterà di altre centinaia di milioni di euro che andranno ad ingrassare le tasche di qualcuno e non serviranno assolutamente a nulla, se non a far crescere il vostro amato PIL. Oltretutto vorrei farvi i complimenti per aver deciso di stanziare questi soldi solo sotto la pressione delle azioni della magistratura.
A Taranto serve una nuova economia, che parta da parole d'ordine come ambiente, salute e qualità della vita.
Chiudete l'ILVA e riaprite Taranto.

Rete Ambiente sul Sole 24 Ore


Energia 24 è la rivista sull'energia allegata al Sole24Ore, quotidiano di Confindustria.
Nel numero di luglio/agosto l'articolo di copertina è dedicato alle biomasse ed alla corsa alle centrali, vero e proprio affare in tutta la Penisola.
Ma dietro ogni corsa si nasconde sempre un certo grado di affanno.
Oggi le centrali a biomassa stanno invadendo l'Italia a caccia degli incentivi statali legati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sostenute con generosità dallo Stato.



Lo fanno indossando la maschera dell'ecologia, presentandosi come soluzione verde, anche quando magari non lo sono.
Oggi in tanti cominciano a dubitare.
Nell'articolo del Sole viene citata in un box la situazione dell'Emilia Romagna, regione critica dove i comparti del Parmigiano Reggiano hanno sollevato i timori per la contaminazione della filiera che potrebbe causare il digestato distribuito sui campi.

La Regione ha così introdotto regole più severe e stringenti per le emissioni.
Nell'approfondimento sull'Emilia Romagna viene citata Rete Ambiente Parma, che “ha criticato il binomio agricoltura fonti-rinnovabili, in particolare nella Food Valley del distretto agro alimentare”.
Il servizio del Sole si basa sullo studio del Politecnico di Milano “Energy and Strategy Group”.
L'analisi ha messo in evidenza il boom del 2011 con 200 mila caldaie a pellets installate in Italia, 200 MW di potenza installate nel biogas agricolo, il doppio dell'anno precedente.
Non decollano invece il teleriscaldamento (250 reti attive) e le centrali a biomassa agro-forestale, alimentate da scarti, che si sono incrementate del 4-5% e hanno raggiunto una potenza complessiva di 600 MW con circa 100 impianti nella Penisola.
Calo drastico per gli impianti che bruciano oli vegetali (-75%).
Il rapporto ha evidenziato l'incremento zero degli inceneritori di rifiuti, fermi a 800MW.
Ma hanno un senso queste centrali?
Solo se chiudono virtuosamente un ciclo, come nel caso di una centrale a biogas che permetta ad una azienda di trattare gli scarti che altrimenti rischierebbero di inquinare la falda.
Piccoli impianti che servano a eliminare lo scarto di una produzione: un allevamento, una segheria.
Non crediamo abbia senso invece coltivare appositamente per alimentare centrali, che comunque hanno un impatto non indifferente sull'ambiente.

Rete Ambiente Parma
1 agosto 2012

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martedì 31 luglio 2012

Acqua, il no di Parma a Iren


Nei giorni scorsi la notizia che Iren fosse in procinto di vendere al fondo F21, guidato da Guido Gamberale, la rete idrica del comune di Parma, in modo da togliersi dal groppone un po' di debiti.
L'annuncio è ancora presente sull'autorevole sito di Milano Finanza,



( http://preview.tinyurl.com/iren-acqua ), e riporta come Iren abbia già messo sul mercato la rete idrica di Parma e la fibra ottica di Genova, con l'intenzione di ricavarne, assieme ad un piano di dismissione di immobili, 300 milioni di euro di cui 30 derivanti dalla rete idrica parmigiana.
Addirittura per la rete idrica il giornale da la notizia come cosa già fatta.
Peccato che Iren non sia la proprietaria della rete idrica e che quindi si stia parlando di mettere in vendita un oggetto che non si possiede.
Oggi è arrivata finalmente la precisazione del comune di Parma, con un comunicato firmato dal primo cittadino.

La rete idrica del comune di Parma è di proprietà di Parma Infrastrutture che ha dato in concessione a Iren la gestione del comparto, senza nemmeno la possibilità di dare in sub concessione la rete.
Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti chiarisce anche le intenzioni dell'amministrazione per il futuro dell'acqua pubblica, un bene comune che il referendum del giugno 2011 aveva chiaramente messo in evidenza la scelta dei cittadini.
“Non è intenzione del Comune di Parma privarsi di un'infrastruttura ritenuta strategica per la gestione di un bene che è e deve restare sotto il controllo del pubblico anche per ottemperare al voto espresso da oltre 25 milioni di italiani in occasione del referendum sull’Acqua Pubblica del 16 giugno 2011”.
La domanda che sorge spontanea è la solita.
Chi ha in mano le redini del Paese? La politica o l'economia?
Iren è già compagna di viaggio del fondo F21 in Mediterranea delle Acque, di cui la multiutility torinese possiede il 60% delle quote e il fondo il 40 e pare anche che i rapporti d'affari debbano intensificarsi per l'interesse del fondo ad occuparsi anche del comparto rifiuti.
L'impressione che ricavano i cittadini da queste fibrillazioni è che grandi società quotate in Borsa e fondi come F21, siano in grado di orientare le scelte strategiche di un Paese.
Scelte che a volte toccano anche beni comuni che andrebbero preservati da manovre strettamente legate al business, proprio perché legati strettamente al benessere dei cittadini e ai diritti fondamentali degli individui. Borsa o non Borsa.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 31 luglio 2012

Sono passati
792 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
86 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
71 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

Chiediamo la carta di identità al cemento


Uno dei problemi più spinosi riguardanti il futuro inceneritore di Parma sarà il destino delle ceneri derivanti dalla combustione dei rifiuti.
Ceneri pesanti, quelle che finiranno sotto la griglia mobile, ceneri leggere, quelle che verranno trattenute dai filtri, prima che l’aria fuoriesca in atmosfera.



Già sappiamo che si tratta di sostanze tossiche, perché, specie quelle trattenute nei filtri e considerate rifiuto pericoloso, contengono diossine, metalli pesanti, PCB, IPA e via dicendo.
Sappiamo anche come sia difficile sbarazzarsene, tant’è che da anni sul piazzale dell’ex inceneritore del Cornocchio, a fianco della tangenziale Nord, giacciono circa 100 mila tonnellate di ceneri del vecchio impianto inceneritore.
Quello che ancora non sappiamo è il destino delle nuove ceneri prodotte a Ugozzolo.
In discarica? In quale?
Non è specificato nell’autorizzazione approvata dalla Provincia di Parma.
Nei cementifici? In quali?
Sono già stati fatti accordi? Possiamo sapere?

Ad oggi si reputa che la quota di scorie pesanti che si producono nel nostro paese si può stimare intorno a 930 mila tonnellate annue, la maggior parte delle quali viene smaltita tal quale in discarica, senza andare a recupero.
La difficoltà sta anche nell'ulteriore e costoso trattamento che le ceneri dovrebbero subire per poter essere utilizzate nei cementifici, il processo di inertizzazione, che in pochi vogliono applicare.
Ma anche la soluzione della discarica è solo apparentemente  tale.
Il mescolamento delle ceneri con i rifiuti urbani può facilitare la mobilità di PCDD/F adsorbiti alle ceneri ed è così altamente raccomandabile che l’impermeabilizzazione di queste discariche e la composizione dei loro eluati sia costantemente sotto controllo.
Anche la durata di questi controlli merita una attenzione particolare, poco o nulla si sa sull’andamento nel tempo delle concentrazioni di composti organici persistenti, quali PCDD/F e PAH, in un ambiente particolare quale quello del corpo di una discarica.
Le problematiche di natura tecnica sul recupero in cementificio delle ceneri pesanti dipende soprattutto dalla natura del materiale in uscita dall'inceneritore, che presenta una notevole quantità di materiali ferrosi, materiali non ferrosi, inerti e acqua, che mischiate alle ceneri non ne consentono la lavorazione immediata in cementificio.
Basterebbe già questo per capire come sia dispendioso, quindi non conveniente, l’utilizzo delle ceneri al posto della sabbia nel cemento. A ciò va aggiunto il fatto che la qualità del cemento ne possa venire inficiata, come dimostrato anche recentemente dal riscontro di cementi di qualità talmente scarsa da mettere in crisi la stabilità degli edifici costruiti con tali miscela.
E a Treviso una palazzina è stata per questi motivi abbattuta.
Aggiungiamoci anche la crisi del settore edilizio, che sta colpendo in questo periodo e il gioco a nascondino delle ceneri diventa davvero difficile.
Negli ultimi due decenni, le "fly ash" (ceneri volatili) sono diventate uno dei prodotti più utilizzati nell'edilizia sostenibile in USA, ma questo ora potrebbe cambiare. Infatti, già dall'autunno del 2009, l'EPA (Environmental Protection Agency) sta pensando di emanare alcune regole restrittive in seguito ad incidenti avvenuti in passato con sversamento di ceneri su ampie aree di terreno.
Tant’è che al momento la legislazione USA obbliga i cementieri ad indicare sul contenitore se il cemento, in esso contenuto, deriva o no dallo smaltimento di rifiuti.
Sarebbe una precisazione importante anche per il nostro Paese.
Ognuno di noi, dovendo costruire o ristrutturare una casa, vorrebbe sapere se il suo cemento, e quindi le sue future pareti, contengano o meno materiali tossici come quelli derivati dalle ceneri pesanti.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 31 luglio 2012

Sono passati
792 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
86 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
71 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

lunedì 30 luglio 2012

Neviano, il sindaco, la centrale


Il sindaco di Neviano è rammaricato e dispiaciuto per la preoccupazione di qualcuno per gli effetti
della centrale a cippato che vuol costruire in paese.
Anzi, è anche un po' arrabbiato che “si debbano esprimere opinioni senza conoscere ciò di cui si parla”.
In sostanza, le competenze le ha solo lui. Infatti dimostra subito quali siano le sue.



Dice che “una caldaia a cippato non è altro che una stufa, come quelle di una volta nelle scuole”.
Ma una volta si bruciava legna stagionata, mentre oggi un inceneritore a biomassa, per essere economico, deve bruciare cippato di ramaglie.
Il cippato fresco ha un'umidità del 50%, ha una cattiva combustione, ha un basso rendimento, quindi occorre bruciarne di più, ha notevoli emissioni da camino e produce dal 3 al 5% di ceneri dalla massa bruciata.
Del resto basta chiedere al sindaco di Monchio, la cui centrale brucia già da tempo, o a quello di Palanzano che ha pensato bene di smettere di bruciare cippato a causa dei fumi e delle ceneri e di passare al pellet, anche se più costoso.
Lo sa il sindaco di Neviano che la depurazione dei fumi di queste centrali è solo meccanica?
Che il multiciclone serve ad abbattere solo la fuliggine?
Non certo le polveri volanti, che contengono le sostanze nocive.
Forse non sa che è molto meno efficiente rispetto all'abbattimento dei fumi di una moderna
caldaia a pellet o legna di cui i suoi compaesani si sono già dotati (emissioni di 50 mg/Nm3 per la centrale, contro i 5mg/Nm3 della stufa a pellet).

Il sindaco poi insiste: “questi sistemi sono ampiamente utilizzati nei territori alpini”.
Ma sicuramente non sa che le grandi centrali termiche a cippato dell'Alto Adige non solo bruciano segatura e scarti di segheria senza intaccare i loro boschi, ma possono permettersi una depurazione molto maggiore dei fumi  attraverso filtri a maniche, filtri elettrostatici, filtri a carboni attivi, perché l'economia di scala della loro mole e potenza installata glielo consente.
Altro mantra: “la legna utilizzata sarà esclusivamente locale, dei nostri boschi e il quantitativo necessario solo marginale”.
Lo vada a raccontare alla gente di Sasso e Scurano, preoccupata già per i tagli di inizio luglio: 13 cataste per complessive 1100 tonnellate, impilate lungo 6 km di strada.
Forse non si rende conto che la speculazione sulla legna da ardere ha innescato da ormai 3 anni un taglio selvaggio dei nostri boschi i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Una speculazione ed un taglio che le autorità non controllano più e che nemmeno multe da migliaia di euro riescono a fermare.
Altra convinzione sindacale: “il  taglio sarà fatto in boschi cedui trasformandoli in boschi ad alto fusto”.
La trasformazione del bosco ceduo in alto fusto consiste nel taglio a diradamento.
Si tratta di un taglio industriale del bosco, con nuove carraie di servizio e piazzole per l'accumulo di legna. Di norma il diradamento per essere economico deve essere almeno del 50%, cioè deve produrre almeno 500 quintali di legna per ettaro.
Cose note, il Consorzio volontario del monte Fuso ha già ricevuto finanziamenti regionali per dotarsi di macchinari per il taglio industriale (Misura 41).
Quelli del  mestiere, i boscaioli,  hanno sempre effettuato il taglio raso matricinato, sono contrari al
diradamento, a trasformare il bosco in alto fusto.
Sono contrari per due motivi.
Il  diradamento nei faggi, notoriamente con radici superficiali, mette a rischio di bufere di vento e di vetroghiaccio le piante stesse, non più protette dal fitto del bosco.
Il diradamento, in ogni tipo di bosco, impedisce la crescita del sottobosco. Sotto, il terreno rimane spoglio di ogni vegetazione arbustiva, nudo ed esposto così al dilavamento da piogge ed all'erosione.
La conclusione del primo cittadino è questa: “si riprende così un'antica pratica di cura del bosco”.
Il diradamento sarebbe la stessa cosa della pulizia del bosco che si faceva una volta e che ora non si fa più?
E' una falsità. I montanari lo sanno bene. Sanno che si faceva quando in montagna c'era tanta gente e poca legna.
Il suo progetto è chiaro: tagliare i boschi per produrre legna da vendere e cippato per alimentare le centrali termiche. Non l'ha deciso lui, lo hanno fatto la Regione e la Provincia.

Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma
30 luglio 2012

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Pef, un mistero tutto parmigiano


Sono passati 790 giorni dalla richiesta fatta ad Iren di ottenere il documento economico finanziario sul Paip di Parma, il piano industriale dell'inceneritore di Ugozzolo.
Il diniego di Iren ha fatto diventare quasi mitico il Pef, come se fosse un documento super segreto, da celare nelle segrete sotterranee di strada Santa Margherita, per nascondere chissà quali cifre da non rivelare neppure alla propria ombra.



Il Pef doveva far parte della trasparenza di Iren, declinata ufficialmente il 31 marzo del 2006 con la delibera 45 del consiglio comunale di Parma. La delibera scriveva ufficialmente: “Enìa Spa si
obbliga a riconoscere ai cittadini, alle associazioni ambientaliste e a ogni altro soggetto il diritto di accesso secondo le norme della Legge n. 241 del 7/8/1990 relativamente a tutti gli atti riguardanti il termovalorizzatore.”.
Abbiamo sempre sostenuto che non rispettare integralmente i dettami di una delibera la rende di fatto nulla, rendendo nullo l'accordo che ne seguì.

Il grande mistero sul Pef, il documento che spiega come Iren intenda rientrare dall'investimento sull'inceneritore, è un mistero solo parmigiano.
L'esempio lampante viene da Torino, dove è in fase di costruzione un altro inceneritore targato Pd, nello stesso territorio dove opera Iren, sede della multiutility che ha assorbito Enia.
La Trm è la sigla che sta per Trattamento Rifiuti Metropolitani, la società che in questi giorni il comune di Torino ha deliberato di vendere per l'80% delle quote, al fine di rimpolpare le casse dell'ente locale.
Sul sito dedicato al progetto è a disposizione del pubblico il piano economico finanziario, con messi in bella evidenza costi e ricavi del progetto, sia nella fase realizzativa che in quella di esercizio.
http://www.trm.to.it/index.php?option=com_content&view=article&id=91&Itemid=121&lang=it
Possiamo così leggere la carta di identità dell'inceneritore del Gerbido, un mostro grande tre volte quello di Ugozzolo, in grado di bruciare ogni anno 420 mila tonnellate di rifiuti.
Quello che salta all'occhio immediatamente è la tariffa prevista per bruciare una tonnellata di rifiuti, che ammonta a 97,50 euro.
Come al solito ci troviamo di fronte a tariffe lontanissime da quelle previste per Parma, 166 euro, un divario che non può che porre seri interrogativi sulla convenienza del progetto per il nostro territorio.
Ma c'è un alto dato interessante che dovrebbe essere analizzato seriamente dagli esperti del settore. L'inceneritore di Torino dichiara di poter servire con la rete di teleriscaldamento 17 mila utenze medie, con unità abitative medie di 100 metri quadri.
Il progetto del Paip di Parma ha messo in progetto la capacità di andare a sostituire 20 mila caldaie, addirittura un numero di utenze superiori a quelle di Torino, con un impianto che è un terzo di quello della Trm.
Come possiamo spiegare questa disparità?
E veniamo ai costi di investimento, dichiarati a Torino, misteriosi a Parma.
Ammonta a 375 milioni (incluso un anno di esercizio provvisorio) l'investimento di Trm, mentre secondo le dichiarazioni di Viero, 200 milioni pare essere il costo di Parma, con un impianto come detto grande un terzo. Altro mistero tutto da spiegare.
Infine i costi operativi, che a Torino ammontano a 36 milioni all'anno, inclusi 13 milioni per smaltire le ceneri, che invece a Parma spariscono come d'incanto e non sembrano essere considerate un costo.
E i ricavi, stimati a Torino in 85 milioni annui, con il 50% derivati dal trattamento dei rifiuti, e per il restante 50% dalla vendita dell'energia e dai ricavi per i certificati verdi.
Il grande mistero di Parma rimane insoluto, contro la totale trasparenza di Torino.
Continuiamo a chiedere il Pef di Parma.
I cittadini di Parma ne hanno diritto.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 30 luglio 2012

Sono passati
791 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
85 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
70 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

domenica 29 luglio 2012

Quante ne conti?


Se oggi il sindaco di Parma fosse Bernazzoli, avremmo una domanda da porgli.
Come mai in campagna elettorale raccontava frottole ai suoi potenziali elettori?
Ma per sua fortuna, e nostra, non lo è.
Perché se c'era una cosa certa, anzi, certissima, era che l'inceneritore era un salvadanaio, e ci avrebbe fatto risparmiare tanti bei quattrini.
Senza inceneritore tariffe alle stelle, con l'inceneritore tariffe come Reggio e Piacenza.



Questo cavallo di battaglia è stato utilizzato a piene mani dalla Provincia, dal presidente Bernazzoli all'assessore Castellani, per far tacere tutte le proteste.
In ogni incontro, serata, programma televisivo, intervista, l'opinione pubblica era folgorata con questo scenario idilliaco: tariffe dolci, che per una volta scendono e ci fanno sorridere.
Oggi conosciamo la verità, le crude cifre sono finalmente emerse.
Nel 2012 la tariffa rifiuti è di 169 euro a tonnellata, con l'inceneritore acceso si andrà a 166 euro.
Un obolo di 3 euro di sconto.
Folle festanti brindano all'1% di calo tariffa. Urrà!

Dicevano i sostenitori del forno: “Abbiamo tariffa anche del 50% più alte dei vicini di casa. Con l'inceneritore non avremo più questo divario”.
Oggi a Torino pagano 92 euro la tonnellata, a Bergamo 93 euro, a Reggio 121, a Reggio 117.
Scriveva, sempre in campagna elettorale, Bernazzoli: “Grazie al termovalorizzatore, i parmigiani pagheranno tariffe più basse, allineate a quelle delle città vicine”.
Che allegra compagnia.
Oggi Bernazzoli non è sindaco, le urne lo hanno bocciato e ricacciato in Provincia, dove aveva tenuto gonfia la ciambella di salvataggio.
Oggi Bernazzoli non deve rispondere alla domanda cattiva.
Me rimangono le sue parole balbettanti incise in rete, postate su You Tube.
Parole personificate, con tanto di orecchie e nasi lunghi.
http://www.youtube.com/watch?v=WdaDiSBPPYE

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 29 luglio 2012

Sono passati
790 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
84 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
69 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI

Il futuro che ci attende


http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/2012/07/28/750282-puzza-inceneritore-denuncia-quartiere-sacca.shtml

Prendere della gomma bruciata, mischiarla con dell’ammoniaca, aggiungere formaggio marcio e aroma di rifiuti. Si ottiene, più o meno, il tanfo irrespirabile che ieri ha soffocato letteralmente buona parte di Modena per quasi due ore.



Il Quartiere Sacca è stato quello colpito in particolare. Tante le segnalazioni che sono piovute a partire dalle 18 circa. Alla Sacca addirittura diversi residenti si sono chiusi in casa, sigillando le finestre e richiamando i bambini che si trovavano all’aperto.
In via Sant’Anna, poco dopo le 19, il lezzo era fortissimo.
“Ero nel mio studio a lavorare — ci racconta Ivan Pedretti, artista modenese —, stavo facendo degli anelli e mi sono dovuto fermare perché davvero con questo odore irrespirabile non ci riuscivo”.
Le lamentele dei cittadini, e diverse ne sono arrivate anche ai vigili del fuoco e al 118, puntano tutte in un’unica direzione: via Cavazza. Dove svetta l’inceneritore.

“Ma cosa ci stanno facendo respirare - si domanda a ripetizione Pedretti -, come è possibile una cosa del genere? Siamo a Seveso? Per farvi capire la situazione, nella stanza accanto stavano registrando un disco, c’era anche il contrabbassista di Vinicio Capossela che viene da fuori Modena. È scappato, non ce la faceva nemmeno lui a resistere. Non è la prima volta che succede. Periodicamente il tanfo torna, soprattutto nelle ore notturne. Con questo caldo è ancora più insopportabile. Stiamo pensando di fare denuncia. Vogliamo sapere che cosa bruciano”.
Come detto quella di Pedretti non è una lamentela isolata. Dal centro sono addirittura arrivati casi di bruciore agli occhi e mal di gola. “In altre città questa puzza non c’è - scrive Enrico Gradellini -, ho contattato telefonicamente vari amici... e allora cos’era questo odore nauseabondo? Poi mi si è accesa la lampadina, l’unica cosa che ha Modena e che non hanno Castelfranco e altri paesetti piccoli a cui ho telefonato è l’inceneritore. Non è che oggi hanno bruciato un po’ di rifiuti particolari?”, si chiede il cittadino. “Cari politici, soprattutto di maggioranza, perché sono loro che legittimamente comandano, già la città non è il massimo, già è calda e umida, ma che puzzi anche di sisso no”. Intere strade sono in attesa di avere al più presto una risposta. Ma al momento non è possibile parlare di cause certe. Arpa ieri a tarda sera era ancora al lavoro per capire l’origine.
La città è diversa, ma lo scenario potrebbe essere lo stesso a Parma, fra qualche anno, quando anche l'inceneritore di Ugozzolo sarà messo in funzione.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 29 luglio 2012

Sono passati
790 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma
Sono passati
84 giorni dal previsto avvio dell'inceneritore: avrebbe dovuto accendersi il 6 maggio 2012
Sono passati
69 giorni dal referendum sull'inceneritore: i cittadini hanno detto no al forno
Dal 1° maggio 2012 piatti e bicchieri di plastica potranno essere conferiti nella raccolta differenziata della plastica (bidone giallo) grazie a nuovi accordi ANCI-CONAI