Capodanno è un trampolino da cui si vede tutta la pista scorrere in basso, per un attimo si ha una visione di insieme, e puoi in quel frangente pensare a come sarà il percorso, come tu vorresti che si svolgesse, la corsa a perdifiato verso il traguardo.
E' un flash di desiderata, cui siamo abituati a confrontarci.
Quale sarà il 2011 per la nostra città?
Nella conferenza stampa di rito, il sindaco Vignali ha trattato anche il nostro argomento per eccellenza, dicendo in sostanza due cose.
Oggi non lo faremmo, io non sono competente a fermarlo.
Se non ci accuseranno di tirate di giacca, la prima affermazione ce la prendiamo come scelta di campo contro l'inceneritore in costruzione a Ugozzolo. Il presente, il tempo che stiamo vivendo, e il futuro, il tempo che sta per accadere, sono di fatto contrastanti con un impianto di combustione dei rifiuti, vuoi per la tecnologia galoppante, vuoi per i rischi sanitari connessi e ormai provati.
Sulla seconda affermazione, condita con la minaccia di Iren di presentare un conto da 80 milioni, ci ritroviamo, per la ennesima volta, al giochino più volte da noi segnalato, l'ennesimo colpo di racchetta per rimandare la pallina dell'altra parte.
Ieri ha parlato il sindaco della nostra città, la massima autorità sanitaria, il responsabile della nostra salute e, immaginiamo, anche della sua salvaguardia, prevenzione, miglioramento.
Perché la salute non ha bandiere, come andiamo ripetendo da un po', ne margini di trattativa, aggiungiamo ora. La salute c'è o manca, è preservata oppure presa a sberle, di salute possiamo parlare seriamente, prendendoci le responsabilità del caso, oppure possiamo scherzarci sopra svuotando le parole del loro significato, cercando di confondere i fatti, che mancano, con le dichiarazioni, che abbondano.
Ci rivolgiamo al massimo curatore del nostro benessere, e del nostro ben vivere, perché è da questa figura che ci si aspetta ad apertura del nuovo anno una parola chiara, fattiva, concreta e decisa, sul destino della città e del suo stato di salute.
Scegliere la parte del campo in cui si vuole giocare, smettendo di rimbalzare la pallina di qua e di là, senza costrutto ne efficacia.
Il primo cittadino si è espresso sulla bontà di un piano alternativo alla gestione dei rifiuti, ribadendo il concetto nella prima affermazione fatta alla stampa.
Ma torna sui suoi passi con la seconda, intimorito, apparentemente, dai rischi monetari dell'operazione tana-libera-tutti, mettendo sui piatti della bilancia da una parte i soldi da spendere e dall'altra la salute da preservare.
Pesi da valutare, per capire quale piatto prenderà il sopravvento.
Salute, Soldi.
Quale cittadino di Parma avrebbe dubbi sulla scelta?
Da un lato i supposti 80 milioni che il gestore mette in canna, pronti ad esplodere su chiunque azzardi colpi di testa fuori programma.
Dall'altro la qualità della vita dei cittadini di una Provincia, 430 mila abitanti irrorati da molecole chimiche che possono modificare il Dna, molecole geno tossiche, una brutta parola che evoca prospettive inquietanti.
Per valutare i due piatti dobbiamo portare entrambe la variabili a confrontarsi su valori omogenei.
Il minimo comune multiplo è facilmente un valore monetario.
Cosa ci costerà in salute l'inceneritore?
Questo valore è superiore o inferiore all'altro, i supposti 80 milioni di Iren?
Anche se tutto si risolvesse in questa semplice equazione, chi si sente di dire ai cittadini che la loro salute è stata messa in soffitta per 80 milioni?
Quanti milioni si spendono in opere sicuramente meno fondamentali che la difesa e la salvaguardia della salute di una città?
Siamo forse diventati ostaggio di una multi utility che non ha più nulla da spartire con i nostri territori?
Noi chiediamo che ci si esprima su un semplice tema, oggi particolarmente emblematico, quello della salute e della salvaguardia di un ambiente pulito. Non riusciamo a comprendere come lasciar perdere questo argomento si sposi con la proclamazione delle “green ways”, della “slow city”, della sostenibilità, dell'anno dello sport, degli asili a un passo dal forno.
Il sindaco sostiene l'incompetenza dell'amministrazione sul timer del progetto.
Ma quante cose si possono fare per essere certi che non ci siano dubbi sulla scelta verde di una amministrazione e sulle visioni del futuro da essa portate avanti.
Secondo noi tante, troppo poche quelle finora realizzate.
Il comune è competente in quanto socio di Iren: nell'azienda ha espresso la vicepresidenza, dalla quale non abbiamo fino ad oggi che il silenzio assoluto sul tema.
Il comune è competente in quanto parte del territorio: il piano provinciale per la gestione dei rifiuti, che nel 2005 disse sì all'inceneritore, oggi, passati 5 anni, è revisionabile e modificabile e può dire no all'inceneritore. Ma non ci risultano passi che ne richiedano la sua messa in discussione.
Il comune è competente in quanto produttore di metà dei rifiuti del territorio: cosa succederebbe se a scadenza del contratto con Iren, l'amministrazione decidesse di non rinnovare la convenzione? Cosa brucerebbero a Ugozzolo?
Il comune è competente in quanto comune capofila, con forte potere contrattuale sia nei confronti di Iren, sia nei confronti della Provincia, gli altri due attori di questa triste vicenda. Una chiara parola costringerebbe tutti ad un tavolo per concordare la “exit strategy”, che conviene perfino a Iren, incapace di gestire un territorio ostile e un boicottaggio che non tarderà ad arrivare.
Ci sono ancora dubbi sulla “competenza” comunale?
Per noi la risposta è lampante.
Noi continueremo a lavorare con maggior vigore nell'anno che inizia. Maggiore determinazione nell'informare tutti i cittadini sulle realtà delle cose e sul grande inganno che si sta impadronendo del loro futuro.
Fino al 2012, “to infinity and beyond”, ripeteva con orgoglio Buzz Lighyear, ma anche oltre.
Se lo accenderanno, noi lo spegneremo, è una promessa verso i cittadini del nostro territorio, che meritano un futuro migliore.
Di fatto oggi Vignali avvalla lo sciagurato progetto.
Il 13 gennaio è Sant'Ilario, giorno di visioni in avanti, di scelte coraggiose.
Giorno di decisioni, da con-dividere assieme alla comunità.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 1 gennaio 2011
-491 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+215 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
L'Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR - dal 2006 si è mossa per impedire la costruzione di un nuovo inceneritore a Parma, a 4 km da piazza Duomo, a fianco di Barilla e Chiesi, Ikea e ParmaRetail. Un mostro che brucerà 130 mila tonnellate di rifiuti all'anno e che inquinerà il nostro territorio per il futuro a venire.
sabato 1 gennaio 2011
giovedì 30 dicembre 2010
Calcio e salute
Si profila una nuova collaborazione tra sport e salute, tra tifo e GCR, perché i valori della salvaguardia dell'ambiente e della nostra salute non possono che ben accomunarsi alla pratica sportiva.
Francesco Barbieri, della farmacia Annunziata di via Gramsci, una delle anime della lotta contro l'inceneritore di Parma, è stato intervistato giorni fa dal blog www.stadiotardini.com, diretto dal giornalista sportivo Gabriele Majo.
Il blog si occupa di informazione sportiva (non inquinata) sullo stadio e chi ci gioca dentro.
Francesco è un tifoso crociato di vecchia data, e nella sala di misurazione della pressione ha esposto tanti cimeli della squadra del cuore.
Così il dialogo si è animato ed ha spaziato in tanti temi ed è stato utile per raggiungere i tanti tifosi del Parma che seguono il blog stadiotardini.com per tenersi informati sulle vicende della squadra del cuore.
E' stata una occasione importante di sensibilizzazione dei tifosi ad un tema fondamentale come quello della salute e dell'ambiente, temi che oggi vengono messi in discussione dall'inceneritore in costruzione a Ugozzolo.
Il futuro di Parma è legato in modo indissolubile al modello di gestione dei rifiuti che la comunità intenderà adottare. La gestione che prevede l'incenerimento appartiene ormai ad una visione del passato che non tiene conto delle nuove tecnologie e dei rischi che porta con sé tale pratica.
L'intervista è stata propizia anche per comunicare l'evento del prossimo 10 gennaio, quando all'Auditorium Paganini si svolgerà un convegno dal titolo “Dalla culla alla culla”, cui parteciperanno due esponenti di livello mondiale del nuovo corso, quello che intende produrre le merci senza recar danno ad alcuno e il presidente delle Società Chimica Italiana.
La collaborazione tra GCR e Stadiotardini.com può far nascere altri progetti comuni, avvicinando lo sport alla salute ed alla sua difesa, per dare una informazione completa ai cittadini ed ai tifosi.
Fare tifo per il Parma vuol dire anche far tifo per la città e per il suo futuro.
Un futuro dove non c'è posto per ciminiere e diossine.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 30 dicembre 2010
-493 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+213 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
Francesco Barbieri, della farmacia Annunziata di via Gramsci, una delle anime della lotta contro l'inceneritore di Parma, è stato intervistato giorni fa dal blog www.stadiotardini.com, diretto dal giornalista sportivo Gabriele Majo.
Il blog si occupa di informazione sportiva (non inquinata) sullo stadio e chi ci gioca dentro.
Francesco è un tifoso crociato di vecchia data, e nella sala di misurazione della pressione ha esposto tanti cimeli della squadra del cuore.
Così il dialogo si è animato ed ha spaziato in tanti temi ed è stato utile per raggiungere i tanti tifosi del Parma che seguono il blog stadiotardini.com per tenersi informati sulle vicende della squadra del cuore.
E' stata una occasione importante di sensibilizzazione dei tifosi ad un tema fondamentale come quello della salute e dell'ambiente, temi che oggi vengono messi in discussione dall'inceneritore in costruzione a Ugozzolo.
Il futuro di Parma è legato in modo indissolubile al modello di gestione dei rifiuti che la comunità intenderà adottare. La gestione che prevede l'incenerimento appartiene ormai ad una visione del passato che non tiene conto delle nuove tecnologie e dei rischi che porta con sé tale pratica.
L'intervista è stata propizia anche per comunicare l'evento del prossimo 10 gennaio, quando all'Auditorium Paganini si svolgerà un convegno dal titolo “Dalla culla alla culla”, cui parteciperanno due esponenti di livello mondiale del nuovo corso, quello che intende produrre le merci senza recar danno ad alcuno e il presidente delle Società Chimica Italiana.
La collaborazione tra GCR e Stadiotardini.com può far nascere altri progetti comuni, avvicinando lo sport alla salute ed alla sua difesa, per dare una informazione completa ai cittadini ed ai tifosi.
Fare tifo per il Parma vuol dire anche far tifo per la città e per il suo futuro.
Un futuro dove non c'è posto per ciminiere e diossine.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 30 dicembre 2010
-493 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+213 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
mercoledì 29 dicembre 2010
Se bruciare plastica produce diossina
Se bruciare plastica produce diossina
non è meglio recuperarla?
L'11 agosto 2010 inviammo e pubblicammo dieci domande a Iren.
Sono passati molti mesi, ma di risposte, da Iren, nemmeno una.
E' vero, noi siamo di Parma, non di Torino o Genova, e quindi meritiamo l'attenzione dovuta al nostro 6% circa di importanza rivestita nella grande società.
Abbiamo così pensato di riproporre un quesito alla volta, non solo alla multi utility piemontese ligure, ma in particolare alle nostre autorità, così convinte di fare bene, costruendo un inceneritore.
Ci aspettiamo così che da piazzale della Pace l'assessore Giancarlo Castellani, per non eccedere nell'aspettativa di un cenno dal presidente Vincenzo Bernazzoli, dia una risposta ad alcuni quesiti semplici semplici, a cominciare da quello di oggi, sulla plastica.
Sempre che il silenzio stampa non stia ancora perdurando.
Tutti noi cittadini e residenti nel territorio provinciale da anni eseguiamo, chi bene chi meno, la raccolta differenziata della plastica, introducendo nel cassonetto giallo, oppure nelle apposite campane, tutti gli imballaggi di materiale plastico che abbiamo in casa.
Ci siamo accorti però che non tutte le plastiche sono riciclabili, perché costituite da polimeri complessi e compositi che difficilmente si riescono a separare, oppure perché costruite proprio con “ingredienti” non riciclabili.
Inoltre ci siamo resi conto, studiando i dati del progetto rifiuti di Iren, che addirittura la frazione della plastica recuperata invece che aumentare scenderà drasticamente, raggiungendo nel 2012 il picco negativo del 17% di intercettazione sul totale della raccolta di questa frazione.
Significa, in soldoni, come a volte si sente dire dai maligni, che Iren metterà tutto insieme, plastica e indifferenziato, o meglio che una quota della plastica che noi differenziamo nel contenitore giallo verrà presa e destinata all'inceneritore.
Dopo la sorpresa di tale scoperta e dopo aver verificato che sia la verità, e fino ad oggi non sono giunte smentite in tal senso, ci chiediamo come stiano insieme il proclamato impegno verso la raccolta differenziata con questi dati.
Non stanno per niente insieme, anzi fanno a pugni.
Iren lamenta la difficoltà di gestire il recupero di alcune plastiche, per cui la soluzione più semplice è quella di “recuperare” energia da queste sostanze plastiche che, come ben sappiano, bruciano molto bene, avendo un alto potere calorifico.
Teniamo presente che i rifiuti per legge non possono essere bruciati se non hanno un certo potere calorifico, al di sotto del quale non si può andare. Lo spauracchio di Iren è naturalmente quello di trovarsi a che fare con un rifiuto non combustibile, umido, povero di materie ad alto potere calorifico.
Così ha pensato di risolvere alla radice il problema.
La plastica se la tiene per la bocca del forno, e tanti saluti al riciclo.
E' ovvio che questa situazione grida vendetta ma noi ci limitiamo a questa considerazione.
A Vedelago, il tanto vituperato centro riciclo, a cui fa spallucce l'assessore Castellani (e noi cominciamo a capire il perché), tutta questa plastica, e per tutta intendiamo il 100%, viene, invece che bruciata, introdotta in un macchinario chiamato “estrusore”, il quale non fa altro che mischiarla, omogeneizzarla senza alcuna combustione, producendo infine una materia denominata “prima seconda” oppure “granulo”, oppure “sabbia sintetica”che viene poi venduta sia all'industria dello stampaggio plastico che a quella delle costruzioni.
Dai rifiuti insomma, che non costano nulla, si ricava un guadagno, rappresentato dalla vendita di questo prodotto molto richiesto per il suo costo inferiore rispetto alla plastica vergine.
Pensate che perfino la Piaggio, da Pontedera, sta facendo l'occhiolino a questa plastica, meno costosa, per produrre parti della Vespa.
Eccoci alla domanda.
Aldilà della costruzione dell'inceneritore, perché anche Parma non si dota di questo macchinario chiamato estrusore, che costa meno di 5 milioni di euro, per ricavare dalla plastica un guadagno invece che inserirla nel capitolo delle spese?
Coma mai viste la vacche magre non si decide già ora, da subito, questa modalità alternativa che porterebbe con sé non solo un guadagno per la vendita della sabbia sintetica ma un grosso risparmio perché ridurremmo le quantità di rifiuti da portare fuori Provincia?
Una domanda semplice semplice a cui chiederemmo, sommessamente, una risposta.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 29 dicembre 2010
-494 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+212 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
non è meglio recuperarla?
L'11 agosto 2010 inviammo e pubblicammo dieci domande a Iren.
Sono passati molti mesi, ma di risposte, da Iren, nemmeno una.
E' vero, noi siamo di Parma, non di Torino o Genova, e quindi meritiamo l'attenzione dovuta al nostro 6% circa di importanza rivestita nella grande società.
Abbiamo così pensato di riproporre un quesito alla volta, non solo alla multi utility piemontese ligure, ma in particolare alle nostre autorità, così convinte di fare bene, costruendo un inceneritore.
Ci aspettiamo così che da piazzale della Pace l'assessore Giancarlo Castellani, per non eccedere nell'aspettativa di un cenno dal presidente Vincenzo Bernazzoli, dia una risposta ad alcuni quesiti semplici semplici, a cominciare da quello di oggi, sulla plastica.
Sempre che il silenzio stampa non stia ancora perdurando.
Tutti noi cittadini e residenti nel territorio provinciale da anni eseguiamo, chi bene chi meno, la raccolta differenziata della plastica, introducendo nel cassonetto giallo, oppure nelle apposite campane, tutti gli imballaggi di materiale plastico che abbiamo in casa.
Ci siamo accorti però che non tutte le plastiche sono riciclabili, perché costituite da polimeri complessi e compositi che difficilmente si riescono a separare, oppure perché costruite proprio con “ingredienti” non riciclabili.
Inoltre ci siamo resi conto, studiando i dati del progetto rifiuti di Iren, che addirittura la frazione della plastica recuperata invece che aumentare scenderà drasticamente, raggiungendo nel 2012 il picco negativo del 17% di intercettazione sul totale della raccolta di questa frazione.
Significa, in soldoni, come a volte si sente dire dai maligni, che Iren metterà tutto insieme, plastica e indifferenziato, o meglio che una quota della plastica che noi differenziamo nel contenitore giallo verrà presa e destinata all'inceneritore.
Dopo la sorpresa di tale scoperta e dopo aver verificato che sia la verità, e fino ad oggi non sono giunte smentite in tal senso, ci chiediamo come stiano insieme il proclamato impegno verso la raccolta differenziata con questi dati.
Non stanno per niente insieme, anzi fanno a pugni.
Iren lamenta la difficoltà di gestire il recupero di alcune plastiche, per cui la soluzione più semplice è quella di “recuperare” energia da queste sostanze plastiche che, come ben sappiano, bruciano molto bene, avendo un alto potere calorifico.
Teniamo presente che i rifiuti per legge non possono essere bruciati se non hanno un certo potere calorifico, al di sotto del quale non si può andare. Lo spauracchio di Iren è naturalmente quello di trovarsi a che fare con un rifiuto non combustibile, umido, povero di materie ad alto potere calorifico.
Così ha pensato di risolvere alla radice il problema.
La plastica se la tiene per la bocca del forno, e tanti saluti al riciclo.
E' ovvio che questa situazione grida vendetta ma noi ci limitiamo a questa considerazione.
A Vedelago, il tanto vituperato centro riciclo, a cui fa spallucce l'assessore Castellani (e noi cominciamo a capire il perché), tutta questa plastica, e per tutta intendiamo il 100%, viene, invece che bruciata, introdotta in un macchinario chiamato “estrusore”, il quale non fa altro che mischiarla, omogeneizzarla senza alcuna combustione, producendo infine una materia denominata “prima seconda” oppure “granulo”, oppure “sabbia sintetica”che viene poi venduta sia all'industria dello stampaggio plastico che a quella delle costruzioni.
Dai rifiuti insomma, che non costano nulla, si ricava un guadagno, rappresentato dalla vendita di questo prodotto molto richiesto per il suo costo inferiore rispetto alla plastica vergine.
Pensate che perfino la Piaggio, da Pontedera, sta facendo l'occhiolino a questa plastica, meno costosa, per produrre parti della Vespa.
Eccoci alla domanda.
Aldilà della costruzione dell'inceneritore, perché anche Parma non si dota di questo macchinario chiamato estrusore, che costa meno di 5 milioni di euro, per ricavare dalla plastica un guadagno invece che inserirla nel capitolo delle spese?
Coma mai viste la vacche magre non si decide già ora, da subito, questa modalità alternativa che porterebbe con sé non solo un guadagno per la vendita della sabbia sintetica ma un grosso risparmio perché ridurremmo le quantità di rifiuti da portare fuori Provincia?
Una domanda semplice semplice a cui chiederemmo, sommessamente, una risposta.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 29 dicembre 2010
-494 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+212 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
martedì 28 dicembre 2010
Al traguardo solo euri
Al traguardo rimangono in due: la Provincia e Iren, o meglio, la Provincia.
Al traguardo a sventolare con gaiezza la bandiera sporca dell'inceneritore ci risulta solo Bernazzoli, altri non pervenuti.
Anzi, per essere precisi precisi anche nei Democratici le posizioni si fanno sempre più ondivaghe ed incerte e molti loro rappresentanti non hanno fatto mancare il loro dissenso al progetto, pur mantenendo un atteggiamento non apertamente ostile.
Da parte nostra crediamo che il punto fondamentale sia semplicemente uno: fa male o fa male quell'impianto?
A questa domanda ormai ci pare di capire che tutti siano d'accordo nel rispondere “fa male”.
Fa male un po' di più, un po' di meno, fa malissimo, non fa malissimo, ma insomma è ormai superato il dilemma.
Gli studi che ogni giorno escono sono ben poco rassicuranti.
Gli stessi dati progettuali dicono senza poter essere smentiti che questi impianti sono semplicemente dei trasformatori e compattatori di materia, che da una grande massa entrante deriva una piccola massa uscente.
Il problema è che questo “piccolo” malloppo in uscita è ben più pericoloso della materia che abbiamo infilato nel forno.
Poi ci possono raccontare delle meraviglie dei filtri eccetera eccetera, ma mai potranno smentire che il territorio circostante l'impianto (almeno 10 km di raggio) subisce un peggioramento ambientale netto e misurabile, che spesso è sfociato per chi vi risiede stabilmente anche in malattie in molti casi gravi e a volte mortali.
L'impianto fa male, ma è come se ci dicessero che non se ne può fare a meno, e subito ci ricordano Napoli e Palermo, come se quella fosse l'unica alternativa all'inceneritore.
Abbiamo dimostrato che non è così e che altri territori si stanno incamminando in quella direzione, cioè trattare queste materie scartate senza utilizzare la combustione, scoprendo che questa pratica virtuosa porta vantaggio a tutti. Anzi la stessa Europa dice che prima viene la riduzione, il recupero, il riciclaggio, e che la pratica dell'incenerimento va abbandonata.
Anche la scusa del “non ci sono alternative” cade rumorosamente a terra.
Rimane un dubbio che ogni giorno che passa più ci rode il fegato.
Ma sarà una questione di soldi, di finanza, di business, di bilanci, che noi non possiamo conoscere?
Già il fatto che Iren non ci mostri il piano economico finanziario ci fa molto pensare.
Poi ci accorgiamo che una gara d'appalto “europea” da 43 milioni di euro totalizza la bellezza di uno, 1!, partecipante.
Non è che poi si scopre che l'inceneritore va fatto perché qualcuno ci deve guadagnare, perché a sua volta deve far guadagnare qualcun altro...
Non è che alla fine scopriamo che tutta la tiritera nasconde in realtà un mero interesse inconfessabile nel quale corrono e volano milioni?
Non vorremmo mai che la nostra salute fosse stata messa all'asta e calcolata in finanziamenti e storni e percentuali e pizzoccheri vari.
Non ci avremo per caso indovinato un'altra volta?
Non sarebbe ora che la Magistratura accendesse una luminosa lampadina su tutta questa storia?
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 28 dicembre 2010
-495 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+211 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
Al traguardo a sventolare con gaiezza la bandiera sporca dell'inceneritore ci risulta solo Bernazzoli, altri non pervenuti.
Anzi, per essere precisi precisi anche nei Democratici le posizioni si fanno sempre più ondivaghe ed incerte e molti loro rappresentanti non hanno fatto mancare il loro dissenso al progetto, pur mantenendo un atteggiamento non apertamente ostile.
Da parte nostra crediamo che il punto fondamentale sia semplicemente uno: fa male o fa male quell'impianto?
A questa domanda ormai ci pare di capire che tutti siano d'accordo nel rispondere “fa male”.
Fa male un po' di più, un po' di meno, fa malissimo, non fa malissimo, ma insomma è ormai superato il dilemma.
Gli studi che ogni giorno escono sono ben poco rassicuranti.
Gli stessi dati progettuali dicono senza poter essere smentiti che questi impianti sono semplicemente dei trasformatori e compattatori di materia, che da una grande massa entrante deriva una piccola massa uscente.
Il problema è che questo “piccolo” malloppo in uscita è ben più pericoloso della materia che abbiamo infilato nel forno.
Poi ci possono raccontare delle meraviglie dei filtri eccetera eccetera, ma mai potranno smentire che il territorio circostante l'impianto (almeno 10 km di raggio) subisce un peggioramento ambientale netto e misurabile, che spesso è sfociato per chi vi risiede stabilmente anche in malattie in molti casi gravi e a volte mortali.
L'impianto fa male, ma è come se ci dicessero che non se ne può fare a meno, e subito ci ricordano Napoli e Palermo, come se quella fosse l'unica alternativa all'inceneritore.
Abbiamo dimostrato che non è così e che altri territori si stanno incamminando in quella direzione, cioè trattare queste materie scartate senza utilizzare la combustione, scoprendo che questa pratica virtuosa porta vantaggio a tutti. Anzi la stessa Europa dice che prima viene la riduzione, il recupero, il riciclaggio, e che la pratica dell'incenerimento va abbandonata.
Anche la scusa del “non ci sono alternative” cade rumorosamente a terra.
Rimane un dubbio che ogni giorno che passa più ci rode il fegato.
Ma sarà una questione di soldi, di finanza, di business, di bilanci, che noi non possiamo conoscere?
Già il fatto che Iren non ci mostri il piano economico finanziario ci fa molto pensare.
Poi ci accorgiamo che una gara d'appalto “europea” da 43 milioni di euro totalizza la bellezza di uno, 1!, partecipante.
Non è che poi si scopre che l'inceneritore va fatto perché qualcuno ci deve guadagnare, perché a sua volta deve far guadagnare qualcun altro...
Non è che alla fine scopriamo che tutta la tiritera nasconde in realtà un mero interesse inconfessabile nel quale corrono e volano milioni?
Non vorremmo mai che la nostra salute fosse stata messa all'asta e calcolata in finanziamenti e storni e percentuali e pizzoccheri vari.
Non ci avremo per caso indovinato un'altra volta?
Non sarebbe ora che la Magistratura accendesse una luminosa lampadina su tutta questa storia?
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 28 dicembre 2010
-495 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+211 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
lunedì 27 dicembre 2010
Energia, c'è tutto un mondo attorno
Ne abbiamo bisogno sempre di più. L’uomo moderno vive di energia, e per vivere meglio (dicono) deve averne sempre di più. Non è ben chiaro per farne cosa. Sicuramente per sprecarla riscaldando e raffreddando edifici mal costruiti e mal gestiti, nei quali pretendiamo di tenere in estate temperature da raffreddore, e poterci vivere in inverno con le maniche corte. O per illuminare uffici pubblici nelle ore serali quando gli impiegati se ne sono andati a casa da parecchie ore (vedi Direzionale Uffici Comunali di Parma).
Oppure per illuminare in maniera eccessiva e persino fastidiosa i negozi, seguendo il pensiero corrente di coloro che si occupano d’immagine, i cosiddetti Visual Merchandiser, secondo i quali un negozio, quanto più è illuminato, tanto più attira il cliente (anche di notte).
In dieci anni la quantità di luce richiesta all’interno di un punto vendita dall’arredatore è più che triplicata.
L’uso smisurato e dissennato di energia è forse simbolo di “potenza”, ma anche di stupidità.
Un viaggio in Qatar può chiarire molto bene alcuni assunti dell'uomo moderno (?): piste di pattinaggio su ghiaccio in località dove la temperatura oscilla tra i trenta e i cinquanta gradi, palazzi dove vengono condizionati anche i porticati aperti, alberghi con letti privi di lenzuola ma dotati di piumini d’oca per difendersi dalle rigide temperature del condizionamento forzato.
Per mantenere il nostro attuale stile di vita l’energia attualmente prodotta non è sufficiente, ci dicono.
E allora dobbiamo produrne altra, con ogni mezzo, sempre di più.
L’opzione nucleare, che pensavamo di aver superato, sia economicamente che culturalmente, torna prepotentemente alla ribalta e meriterebbe un lungo approfondito discorso.
Parleremo piuttosto in questa sede dell’energia prodotta localmente, secondo il principio, peraltro abbastanza condivisibile, dell’autonomia energetica di una città, una provincia, un territorio, che viene poi però utilizzato come testa di ponte dai signori del vapore, per fare i “loro” affari.
Era il 2003, si cominciava a parlare di liberalizzazione dell’energia, a Parma fu proposta da Amps una grande centrale turbogas ritenuta (assieme all’amministrazione comunale) assolutamente indispensabile. Si voleva assicurare l’autosufficienza energetica della nostra città.
Poco importava che il gas non fosse esattamente prelevato in loco ma provenisse dall’Algeria o dalle ex Repubbliche Sovietiche, l’importante era spacciare presunte necessità per vendere energia e fare business. Fortunatamente il progetto, anche in seguito alle battaglie di un forte movimento di cittadini, si arenò.
Venne poi il giorno in cui ci è stato fatto credere che i rifiuti potessero magicamente trasformarsi in energia, attraverso un processo semplicissimo: il cambiamento di una parola. L’inceneritore è diventato termovalorizzatore, nel momento in cui la tecnologia ha permesso di recuperare, con un rendimento peraltro risibile, una modestissima quantità di energia termica attraverso il teleriscaldamento e una certa quantità di energia elettrica.
Alle contestazioni tecniche, che riguardavano non solo l’incenerimento rifiuti, ma anche la scelta strategica del teleriscaldamento, nessuno ha mai risposto.
Creare una centrale termica, a chilometri di distanza dall’utilizzatore finale, è evidentemente uno scempio energetico.
In questo caso i fautori dell’incenerimento hanno unito due parole magiche: energia e rifiuti, definendole entrambe emergenze. Esiste un’emergenza rifiuti, ma questa è data in primo luogo dal fatto che produciamo troppe merci e che troppe merci diventano troppo rapidamente rifiuti.
Bruciare rifiuti è un altro scempio energetico, oltre che sanitario.
Recuperare e riutilizzare i prodotti o gli imballaggi e, quando diventano inutilizzabili, avviarli a riciclo, è una pratica che dal punto di vista energetico è estremamente più virtuosa che bruciarli in un grande forno, recuperando un po’ di fumo caldo.
Perché allora si costruiscono gli inceneritori?
Per fare soldi. Anche l’incenerimento infatti, è da quasi vent’anni un business per chi lo gestisce, grazie alle sovvenzioni che ognuno di noi paga all’industria dell’incenerimento attraverso i Cip 6, una maggiorazione del 7% sul costo dell’energia elettrica, a favore di chi la produce con l’incenerimento dei rifiuti.
Stiamo solo parlando del fallimento in termini energetici ed economici dell’incenerimento. La questione sanitaria è molto più importante, dirimente, e basterebbe da sola per cancellare questa pratica.
Diventa difficile convincere della nocività, dell’antieconomicità, dell’insostenibilità dell’incenerimento, chi su questo fa affari, ma dobbiamo riuscire a scardinare in noi tutti, e nella classe politica cui abbiamo delegato la gestione della cosa pubblica in particolare, alcuni luoghi comuni duri a morire.
Primo fra tutti l’ineluttabilità del fatto che i rifiuti siano il male necessario, l’effetto collaterale di una società del benessere. La strategia “rifiuti zero” ha introdotto alcuni concetti, che dovrebbero entrare a far parte del patrimonio comune di ogni singolo individuo che calpesta il globo terrestre, a maggior ragione di quelli che vivono nelle società opulente.
Uno di questi concetti è che il rifiuto non esiste. Esiste un materiale post utilizzo, che è stato usato ma non per questo diventa rifiuto. Una bottiglia di plastica è considerato un prodotto nel momento in cui contiene un liquido su uno scaffale, ma diventa un rifiuto appena viene svuotata; il pianeta non può reggere pratiche di questo genere. Non possiamo dare alle cose una vita così corta, solo perché il loro costo di fabbricazione è basso.
I nodi mai risolti di crescita sregolata e ultra consumistica, e di ricerca del business, stanno venendo al pettine sotto forma di inquinamento di terra, aria, acqua, depauperamento di risorse, sconvolgimenti climatici.
Dopo decenni nei quali gli ambientalisti venivano chiamati spregevolmente Cassandre, oggi diventa difficile continuare a negare ciò che è sotto gli occhi di tutti, la rovina dell’ambiente.
Ecco allora che, giusto per non farsi mancare niente, molte aziende si sono date una colorata di verde prato e si ripropongono in una nuova veste di “sostenibilità”. Qualcuno la chiama green washing.
Anche in campo energetico, ovviamente. E’ tutto un fiorire di aziende che promettono energia ad impatto zero, con fonti rinnovabili non impattanti sull’ambiente. Se fosse vero metà di quello che dicono dovremmo avere tutte le nostre case ricoperte di pannelli fotovoltaici.
In realtà anche qui spesso non è tutto oro quello che luccica. E’ il caso degli impianti a biomasse, anche questi guarda caso incentivati tramite i certificati verdi, nati forse con buone intenzioni ma trasformati immediatamente in affari personali.
Bruciare biomassa, che il più delle volte vuol dire pregiato legno, sembra una pratica sostenibile ma non lo è. O meglio, non lo è nella misura in cui si progetta (è il caso di alcuni paesi del nostro Appennino) di coltivare boschi per la centrale termica o, peggio, importare legna da paesi stranieri.
Così come non ha senso coltivare colza o mais per produrre carburanti, togliendo colture che potrebbero essere destinate all’alimentazione umana, ancora una volta in nome del business. Questi impianti possono avere una valenza positiva solo se riescono a risolvere in modo virtuoso la gestione dei residui delle produzioni. L’uso di legna da ardere per produrre calore per usi domestici e industriali è da considerarsi sostenibile solo se i pellet o il cippato non derivano direttamente da legna vergine prodotta dal taglio dei boschi, ma da scarti di lavorazione di biomasse primarie: segherie, falegnamerie, lavorazioni di prodotti agricoli con scarti (olive, nocciole), e solo nel raggio di pochi chilometri dall’impianto.
Gli incentivi rappresentati dai certificati verdi hanno purtroppo dato il via al proliferare di proposte di centrali a biomasse che non avrebbero senso di esistere (analogamente agli inceneritori), se non fossero sovvenzionate dalla collettività.
Sorge spontanea la domanda: dove sono finiti tutti i sostenitori del libero mercato?
Di un caso clamoroso se ne occupò la trasmissione di Rai 3 Report un anno e mezzo fa: un grande allevatore di polli impiantò nella sua azienda una centrale che produceva elettricità bruciando pollina (deiezione dei polli), che come si può immaginare è un combustibile praticamente privo di potere calorifico, quindi scarso dal punto di vista energetico, ma efficace per ottenere incentivi statali. Il risultato finale era che l’allevatore guadagnava molto di più dalla cacca dei suoi polli che dalle carni del pollo stesso.
L’energia, prima di essere un servizio ai cittadini, è un business per chi la produce e la distribuisce. Sarà banale ma è bene tenerlo a mente.
Tocca a noi e alla nostra classe dirigente rompere questo assioma, cambiare lo stato esistente delle cose..
La politica deve cominciare a fare gli interessi del popolo che l’ha eletta, e noi dobbiamo prendere in mano la nostra vita e autodeterminarci nelle scelte quotidiane in tema di rifiuti, consumi, energia, rigettando le scelte imposte da altri, soprattutto se costoro ne ricevono un guadagno eccessivo.
Quando avremo installato il nostro pannello fotovoltaico sarà più difficile per loro gestire il sole al posto nostro.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 27 dicembre 2010
-496 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+210 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
Oppure per illuminare in maniera eccessiva e persino fastidiosa i negozi, seguendo il pensiero corrente di coloro che si occupano d’immagine, i cosiddetti Visual Merchandiser, secondo i quali un negozio, quanto più è illuminato, tanto più attira il cliente (anche di notte).
In dieci anni la quantità di luce richiesta all’interno di un punto vendita dall’arredatore è più che triplicata.
L’uso smisurato e dissennato di energia è forse simbolo di “potenza”, ma anche di stupidità.
Un viaggio in Qatar può chiarire molto bene alcuni assunti dell'uomo moderno (?): piste di pattinaggio su ghiaccio in località dove la temperatura oscilla tra i trenta e i cinquanta gradi, palazzi dove vengono condizionati anche i porticati aperti, alberghi con letti privi di lenzuola ma dotati di piumini d’oca per difendersi dalle rigide temperature del condizionamento forzato.
Per mantenere il nostro attuale stile di vita l’energia attualmente prodotta non è sufficiente, ci dicono.
E allora dobbiamo produrne altra, con ogni mezzo, sempre di più.
L’opzione nucleare, che pensavamo di aver superato, sia economicamente che culturalmente, torna prepotentemente alla ribalta e meriterebbe un lungo approfondito discorso.
Parleremo piuttosto in questa sede dell’energia prodotta localmente, secondo il principio, peraltro abbastanza condivisibile, dell’autonomia energetica di una città, una provincia, un territorio, che viene poi però utilizzato come testa di ponte dai signori del vapore, per fare i “loro” affari.
Era il 2003, si cominciava a parlare di liberalizzazione dell’energia, a Parma fu proposta da Amps una grande centrale turbogas ritenuta (assieme all’amministrazione comunale) assolutamente indispensabile. Si voleva assicurare l’autosufficienza energetica della nostra città.
Poco importava che il gas non fosse esattamente prelevato in loco ma provenisse dall’Algeria o dalle ex Repubbliche Sovietiche, l’importante era spacciare presunte necessità per vendere energia e fare business. Fortunatamente il progetto, anche in seguito alle battaglie di un forte movimento di cittadini, si arenò.
Venne poi il giorno in cui ci è stato fatto credere che i rifiuti potessero magicamente trasformarsi in energia, attraverso un processo semplicissimo: il cambiamento di una parola. L’inceneritore è diventato termovalorizzatore, nel momento in cui la tecnologia ha permesso di recuperare, con un rendimento peraltro risibile, una modestissima quantità di energia termica attraverso il teleriscaldamento e una certa quantità di energia elettrica.
Alle contestazioni tecniche, che riguardavano non solo l’incenerimento rifiuti, ma anche la scelta strategica del teleriscaldamento, nessuno ha mai risposto.
Creare una centrale termica, a chilometri di distanza dall’utilizzatore finale, è evidentemente uno scempio energetico.
In questo caso i fautori dell’incenerimento hanno unito due parole magiche: energia e rifiuti, definendole entrambe emergenze. Esiste un’emergenza rifiuti, ma questa è data in primo luogo dal fatto che produciamo troppe merci e che troppe merci diventano troppo rapidamente rifiuti.
Bruciare rifiuti è un altro scempio energetico, oltre che sanitario.
Recuperare e riutilizzare i prodotti o gli imballaggi e, quando diventano inutilizzabili, avviarli a riciclo, è una pratica che dal punto di vista energetico è estremamente più virtuosa che bruciarli in un grande forno, recuperando un po’ di fumo caldo.
Perché allora si costruiscono gli inceneritori?
Per fare soldi. Anche l’incenerimento infatti, è da quasi vent’anni un business per chi lo gestisce, grazie alle sovvenzioni che ognuno di noi paga all’industria dell’incenerimento attraverso i Cip 6, una maggiorazione del 7% sul costo dell’energia elettrica, a favore di chi la produce con l’incenerimento dei rifiuti.
Stiamo solo parlando del fallimento in termini energetici ed economici dell’incenerimento. La questione sanitaria è molto più importante, dirimente, e basterebbe da sola per cancellare questa pratica.
Diventa difficile convincere della nocività, dell’antieconomicità, dell’insostenibilità dell’incenerimento, chi su questo fa affari, ma dobbiamo riuscire a scardinare in noi tutti, e nella classe politica cui abbiamo delegato la gestione della cosa pubblica in particolare, alcuni luoghi comuni duri a morire.
Primo fra tutti l’ineluttabilità del fatto che i rifiuti siano il male necessario, l’effetto collaterale di una società del benessere. La strategia “rifiuti zero” ha introdotto alcuni concetti, che dovrebbero entrare a far parte del patrimonio comune di ogni singolo individuo che calpesta il globo terrestre, a maggior ragione di quelli che vivono nelle società opulente.
Uno di questi concetti è che il rifiuto non esiste. Esiste un materiale post utilizzo, che è stato usato ma non per questo diventa rifiuto. Una bottiglia di plastica è considerato un prodotto nel momento in cui contiene un liquido su uno scaffale, ma diventa un rifiuto appena viene svuotata; il pianeta non può reggere pratiche di questo genere. Non possiamo dare alle cose una vita così corta, solo perché il loro costo di fabbricazione è basso.
I nodi mai risolti di crescita sregolata e ultra consumistica, e di ricerca del business, stanno venendo al pettine sotto forma di inquinamento di terra, aria, acqua, depauperamento di risorse, sconvolgimenti climatici.
Dopo decenni nei quali gli ambientalisti venivano chiamati spregevolmente Cassandre, oggi diventa difficile continuare a negare ciò che è sotto gli occhi di tutti, la rovina dell’ambiente.
Ecco allora che, giusto per non farsi mancare niente, molte aziende si sono date una colorata di verde prato e si ripropongono in una nuova veste di “sostenibilità”. Qualcuno la chiama green washing.
Anche in campo energetico, ovviamente. E’ tutto un fiorire di aziende che promettono energia ad impatto zero, con fonti rinnovabili non impattanti sull’ambiente. Se fosse vero metà di quello che dicono dovremmo avere tutte le nostre case ricoperte di pannelli fotovoltaici.
In realtà anche qui spesso non è tutto oro quello che luccica. E’ il caso degli impianti a biomasse, anche questi guarda caso incentivati tramite i certificati verdi, nati forse con buone intenzioni ma trasformati immediatamente in affari personali.
Bruciare biomassa, che il più delle volte vuol dire pregiato legno, sembra una pratica sostenibile ma non lo è. O meglio, non lo è nella misura in cui si progetta (è il caso di alcuni paesi del nostro Appennino) di coltivare boschi per la centrale termica o, peggio, importare legna da paesi stranieri.
Così come non ha senso coltivare colza o mais per produrre carburanti, togliendo colture che potrebbero essere destinate all’alimentazione umana, ancora una volta in nome del business. Questi impianti possono avere una valenza positiva solo se riescono a risolvere in modo virtuoso la gestione dei residui delle produzioni. L’uso di legna da ardere per produrre calore per usi domestici e industriali è da considerarsi sostenibile solo se i pellet o il cippato non derivano direttamente da legna vergine prodotta dal taglio dei boschi, ma da scarti di lavorazione di biomasse primarie: segherie, falegnamerie, lavorazioni di prodotti agricoli con scarti (olive, nocciole), e solo nel raggio di pochi chilometri dall’impianto.
Gli incentivi rappresentati dai certificati verdi hanno purtroppo dato il via al proliferare di proposte di centrali a biomasse che non avrebbero senso di esistere (analogamente agli inceneritori), se non fossero sovvenzionate dalla collettività.
Sorge spontanea la domanda: dove sono finiti tutti i sostenitori del libero mercato?
Di un caso clamoroso se ne occupò la trasmissione di Rai 3 Report un anno e mezzo fa: un grande allevatore di polli impiantò nella sua azienda una centrale che produceva elettricità bruciando pollina (deiezione dei polli), che come si può immaginare è un combustibile praticamente privo di potere calorifico, quindi scarso dal punto di vista energetico, ma efficace per ottenere incentivi statali. Il risultato finale era che l’allevatore guadagnava molto di più dalla cacca dei suoi polli che dalle carni del pollo stesso.
L’energia, prima di essere un servizio ai cittadini, è un business per chi la produce e la distribuisce. Sarà banale ma è bene tenerlo a mente.
Tocca a noi e alla nostra classe dirigente rompere questo assioma, cambiare lo stato esistente delle cose..
La politica deve cominciare a fare gli interessi del popolo che l’ha eletta, e noi dobbiamo prendere in mano la nostra vita e autodeterminarci nelle scelte quotidiane in tema di rifiuti, consumi, energia, rigettando le scelte imposte da altri, soprattutto se costoro ne ricevono un guadagno eccessivo.
Quando avremo installato il nostro pannello fotovoltaico sarà più difficile per loro gestire il sole al posto nostro.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 27 dicembre 2010
-496 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+210 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
Iscriviti a:
Post (Atom)