giovedì 30 maggio 2013

Sfumature di nero

Inceneritore di Parma, a che punto siamo

Il vero giallo della città è nero, come i fumi che ben presto usciranno dal camino di Ugozzolo.
In tanti si e ci domandano a che punto siamo, perché davvero ormai tutti quanti hanno perso la bussola e non sanno se come quando l'impianto sia partito, chiuso, bloccato o che accidente d'altro sia successo.
Tentiamo così la non facile impresa di riassumere le ultime vicende senza la pretesa di essere esaustivi al 100% ma semplicemente per chiarire quale pagina del romanzo sia in lettura in queste settimane.
L'impianto di incenerimento di strada della Lupa è fermo nella parte che riguarda le prove di combustione e l'avvio della fase provvisoria.



Lo scorso aprile il gestore aveva avviato con una procedura mai esercitata in Italia una prova della prova, bruciando rifiuti per una sessantina di ore.
Le performance dell'impianto non sono state lusinghiere, al punto da provocare una diffida da parte della Provincia di Parma e un esposto alla Procura da parte di Arpa, l'organo regionale di controllo sull'inquinamento ambientale.
Ugozzolo rimane ancora un grande cantiere in corso d'opera e l'avvio di aprile era motivato dal tentativo di agguantare i certificati verdi concessi dallo stato italiano per quegli impianti che utilizzano combustibile da fonte rinnovabile, come sono considerate alcune frazioni dei rifiuti indifferenziati.
Dalle notizie in nostro possesso l'inceneritore doveva entro il mese scorso riuscire a produrre energia elettrica attraverso la combustione dei rifiuti per far scattare il meccanismo degli incentivi.
E' così si è cercato di fare, ma le ore (60) di quei giorni di prova hanno avuto un rendimento che definirlo scarso pare essere un eufemismo.
L'inceneritore di Parma infatti pare abbia prodotto in aprile la bellezza di 0,40 kw di energia elettrica, un forza in grado di tenere accesa una lampadina da 40 w per 10 ore, una vita intera.
Non sappiamo se, conoscendo la passione italiana per il teatro dell'assurdo, questo basti a convincere il gestore nazionale dell'energia ad attivare la pratica dei certificati verdi, ma all'orecchio del cittadino questa cifra parla da sé.
Dopo la fase di aprile il gestore ha tentato di ripartire con nuove fasi di prova, ma la Provincia lo ha stoppato con una ordinanza specifica che in pratica afferma una cosa molto semplice: finché Ugozzolo è un cantiere non si può procedere ad altre prove di accensione.
Non sappiamo se verrà opposto ricorso al Tar al nuovo stop, né se anche la Provincia verrà portata in tribunale dal gestore per il ritardo causato, ma di certo la figura rimediata in questa fase non è stata delle migliori e si procede per tappe forzate verso l'avvio del camino senza aver dimostrato particolare capacità organizzative per garantire tempi e modalità puntuali, e senza che si sia evidenziata quella trasparenza che su un progetto così travagliato sarebbe stata la benvenuta.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


domenica 26 maggio 2013

Legambiente contro gli inceneritori

Italia rifiuti free
E' la svolta verde di una associazione nazionale
finora assente nella lotta contro l'incenerimento

Benvenuti nel club no termo




Ridurre e riciclare prima di tutto
Praticare serie politiche di prevenzione
Moltiplicare gli impianti di riciclaggio
Fermare la costruzione di nuovi inceneritori e chiudere gli impianti più obsoleti
Rottamare lo smaltimento in discarica
Italia rifiuti free
Oggi è possibile fare un altro grande passo avanti nella nostra storica battaglia per liberare l’Italia dai rifiuti. Per farlo dobbiamo partire dalla nuova situazione che si è venuta a creare e dalle opportunità che offre la presenza oggi di tante forze diverse da quelle ambientaliste tradizionali. E costruire una campagna nazionale nuova, capace di muoversi sui territori, tenendo conto delle diversità che si sono venute sedimentando in questi anni.
Mentre il ciclo illegale dei rifiuti continua a far pagare prezzi esorbitanti a tutto il Paese, in questi anni, nel ciclo legale, grazie al successo della raccolta differenziata e all’avvio (per quanto faticoso) di una filiera industriale virtuosa di recupero di diverse materie prime seconde, si sta disegnando un quadro nuovo. Sia a livello di politiche che di tecnologie. E’ finita l’era dei commissariamenti per affrontare le emergenze, le discariche ed i termovalorizzatori non è più credibile che siano descritte come “la soluzione”, è chiaro il sistema complessivo degli impianti necessari. Ne deduciamo, come Legambiente, una contrarietà assoluta a scelte sbagliate che purtroppo continuano ad essere proposte: costi troppo bassi per il conferimento in discarica, che depotenziano la raccolta differenziata, traffico internazionale verso il nord Europa o l’oriente per risolvere le emergenze, ancora nuovi termovalorizzatori.
Oggi è possibile vincere, trasformando tutto ciò in un residuo del passato e fare dell’Italia il primo paese in Europa rifiuti free. E’ possibile perché esistono le tecnologie, sappiamo qual è l’organizzazione migliore per la raccolta dei rifiuti urbani (porta a porta, ecc.), sappiamo quali impianti servono, sappiamo che è possibile trattare la parte residua del rifiuto urbano senza accendere nuovi termovalorizzatori e riducendo l’inquinamento (anche se il CSS non può essere la scusa per tenere in vita cementifici desueti, in eccesso o che hanno fino ad oggi inquinato paesi e città), sappiamo che la raccolta differenziata può alimentare una industria virtuosa, sappiamo che è possibile avere serie politiche di prevenzione e che si può (si deve) indirizzare la fiscalità per premiare quelle famiglie che la raccolta differenziata la fanno seriamente.
Per fare un altro decisivo passo avanti lanciamo una campagna in cinque mosse per vincere e liberare l’Italia dai rifiuti.
E’ in questo nuovo contesto che un forte contributo ad avanzare sul questa strada può essere dato anche dalla proposta di legge di iniziativa popolare Rifiuti zero, di cui condividiamo molti aspetti, mentre su altri riteniamo si tratti di proposte sbagliate ed in alcuni casi controproducenti. Ma la raccolta di firme può essere un’occasione per accendere il dibattito nel paese, chiedere obiettivi concreti alle Regioni e ai Comuni, mobilitare le persone per una fiscalità che difenda le entrate delle famiglie virtuose. Aprire un confronto sul nuovo contesto che si è venuto a creare e capire come si possono fare concreti passi avanti.
Il documento che presentiamo alla discussione dell’associazione, serve a stimolare la riflessione all’interno e all’esterno dell’associazione, serve a mobilitarci per raggiungere obiettivi di livello nazionale e locale, serve per creare una cultura più avanzata sul problema dei rifiuti tra la gente e i decisori politici. Nelle prossime settimane, perciò dovremo organizzare, come regionali e circoli incontri sul tema in cui ragionare insieme, individuare territorio x territorio gli obiettivi e le azioni utili, allargare le alleanze sociali, coinvolgere enti locali e Regioni.

L'Italia tra luci e ombre
Sono trascorsi 16 anni dall’approvazione del decreto Ronchi, la legge che nel 1997 rivoluzionò l’impostazione del ciclo dei rifiuti del nostro Paese, e diverse cose sono cambiate nel panorama nazionale.
Legambiente in questi anni è stata tra i protagonisti della rivoluzione della gestione sostenibile dei rifiuti che ha cambiato gli stili di vita di tanti cittadini (basti pensare alla battaglia vinta contro gli inquinanti sacchetti della spesa usa e getta) e ha raggiunto diversi territori considerati una volta persi (come in molti territori del centro sud dove sono numerose le esperienze dei Comuni ricicloni). Da sempre ci battiamo per combattere lo smaltimento in discarica con la gestione integrata dei rifiuti, fondata sul principio gerarchico delle 4 R (riduzione, riuso, riciclaggio recupero), e oggi sono numerosissime le esperienze industriali nel settore del recupero dei rifiuti che sono uno dei pilastri della green economy italiana.
Ora è necessario aprire una nuova stagione della politica associativa per completare l’opera. Anche il commissario europeo all’ambiente ha deciso di scommettere sul riciclaggio dei rifiuti per sconfiggere l’interramento dei rifiuti e l’innovazione tecnologica permette di riciclare quello che una volta si poteva solo bruciare o sotterrare. La svolta è dietro l’angolo, occorre:
1. combattere con forza le lobby delle discariche e degli inceneritori, ancorate al passato;
2. fare una guerra senza quartiere contro lo smaltimento in discarica pretendendo il rispetto della direttiva europea e utilizzando la leva economica per impedire la concorrenza sleale dell’interramento dei rifiuti;
3. fermare la costruzione di nuovi inceneritori, cominciando a dismettere quelli più obsoleti e inquinanti;
4. moltiplicare gli impianti di riciclaggio, a partire da quelli per la frazione organica dei rifiuti come i digestori anaerobici per concretizzare in tempi brevi
5. praticare serie politiche nazionali sulla prevenzione;
Solo così potremo far diventare l’Italia uno dei paesi capofila di quella società europea del riciclaggio ben delineata nella normativa comunitaria più recente.

La rivoluzione avanza
Nel ciclo dei rifiuti del nostro paese negli ultimi anni sono cambiate tante cose:
le raccolte differenziate porta a porta secco/umido finalizzate al riciclaggio si sono diffuse anche in alcuni territori nel centro sud Italia (soprattutto in Campania);
ormai sono al Sud i capoluoghi di provincia che fanno scuola a proposito di rispetto degli obiettivi di legge sulla raccolta differenziata grazie ai sistemi domiciliari (a partire dall'esperienza di Salerno con il suo 65% di rd per i suoi 140mila abitanti, ma anche Andria in Puglia col suo 70% per i suoi 100mila abitanti);
ci sono regioni come la Sardegna che grazie al sistema di penalità/premialità sullo smaltimento in discarica sono riuscite a diffondere i sistemi di raccolta differenziata secco/umido e a ridurre fortemente i conferimenti in discarica in pochi anni, arrivando ormai a percentuali di raccolta differenziata tipiche delle regioni del centro nord (50% circa);
si stanno diffondendo i nuovi impianti per produrre compost di qualità ma anche energia da fonte rinnovabile (i digestori anaerobici per trattare la frazione organica selezionata, oltre ai reflui zootecnici, i fanghi di depurazione, gli scarti agricoli, etc) che non sono più in perdita economica, come lo erano i tradizionali impianti di compostaggio aerobico, grazie alla produzione di energia da fonte rinnovabile;
si stanno affermando in diversi territori le esperienze locali sulla prevenzione (campagne per l'acqua di rubinetto, compostaggio domestico, tariffazione puntuale, eco sagre, vendita prodotti sfusi o alla spina, etc);
si stanno concretizzando esperienze imprenditoriali che oggi puntano a riciclare alcune frazioni merceologiche o tipologie di rifiuti che fino a qualche tempo fa erano considerate non riciclabili e quindi solo da bruciare o da smaltire in discarica (è il caso del rifiuto urbano residuo dopo una raccolta differenziata spinta in quelle che vengono definite oggi “le fabbriche dei materiali”, delle plastiche miste - plastmix - riciclate ad esempio dalla Revet toscana o degli impianti in fase di sperimentazione per recuperare materia dai pannolini usa e getta).
Tutti questi risultati sono figli anche del nostro lavoro fatto fino ad oggi.

I problemi irrisolti
Ci sono però ancora molte cose che non vanno:
le buone pratiche sulla raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio non si sono ancora diffuse su tutto il territorio nazionale (sono pochissime in regioni meridionali in emergenza come la Sicilia, la Puglia o la Calabria ma lo stesso si può dire anche di alcune regioni del nord come la Liguria o la Valle d'Aosta);
le politiche nazionali sulla prevenzione da parte del Ministro dell'ambiente sono assolutamente assenti, nonostante dovessimo approvare il programma nazionale di prevenzione entro il dicembre 2012 (inspiegabilmente abbiamo voluto anticipare di un anno la scadenza prevista dalla direttiva europea e, come spesso accade, abbiamo disatteso questo termine);
soprattutto nel centro sud c’è ancora una carenza di impianti per trattare l’organico da raccolta differenziata che alimenta lungo tutto lo stivale il trasporto su gomma di rifiuti da trattare;
la tassazione rifiuti a carico delle famiglie continua ad essere iniqua e a ignorare il principio "chi inquina paga", visto che solo una migliaio di Comuni italiani fa pagare le utenze in base a quanti rifiuti vengono prodotti grazie alla tariffazione puntuale;
continuano a farla da padrone in diversi territori i “signori” dello smaltimento rifiuti - proprietari o gestori di mega impianti come discariche o inceneritori - che anestetizzano e ingessano ogni ipotesi di sviluppo di un ciclo virtuoso dei rifiuti fondato su riciclaggio e prevenzione;
dopo il referendum abrogativo sui controlli ambientali del 1993, il nostro Paese si è dotato di un sistema di Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente. Negli anni la rete dei controlli si è andata strutturando in maniera non omogenea sul territorio nazionale, con alcuni casi di eccellenza e altri caratterizzati da una pesante inadeguatezza.

Le prossime sfide
Combattere le lobby ancorate al passato
Ci sono due potenti lobby che lavorano per fermare la rivoluzione dei rifiuti in atto nel paese: ci sono i "signori delle discariche" che continuano a condizionare pesantemente le politiche locali e nazionali per continuare a smaltire in grandi quantità i rifiuti sotto terra, spesso a prezzi stracciati che sbaragliano ogni altra ipotesi di gestione, e i “signori dell'incenerimento” che vorrebbero continuare a costruire nuovi impianti, o ad ampliare e ammodernare i vecchi, in uno scenario nazionale ormai completamente cambiato e saturo sotto questo punto di vista.
Contro il modello praticato da queste due lobby, e dalla politica locale e nazionale che le supporta, che dovremo concentrare la nostra azione associativa, lavorando nel frattempo anche per concretizzare una volta per tutte le politiche nazionali di prevenzione e la massimizzazione del riciclaggio dei rifiuti.
Rottamare le discariche con la leva economica
Tutti si stracciano le vesti perché continuiamo a smaltire in discarica sostanzialmente la metà dei rifiuti urbani prodotti nel nostro Paese (con punte del 90% come in Sicilia). Ma nessuno fa nulla. Anzi si sono approvate addirittura leggi per favorire questa opzione di smaltimento (come le tante proroghe concesse dal Parlamento negli ultimi 15 anni al divieto di smaltire in discarica rifiuti non pretrattati che era previsto addirittura dal decreto Ronchi del 1997).
Per combattere davvero la discarica l'unica opzione da praticare, oltre al rispetto della direttiva europea (ampiamente disattesa dall'Italia in alcune centinaia di impianti che hanno portato il nostro paese al conflitto con l'Europa con una procedura d'infrazione in stato avanzatissimo che ci espone al rischio di sanzioni), è la leva economica: serve imporre un aumento dei costi di conferimento, imponendo il rispetto della direttiva europea sulle discariche, sfruttando appieno l’attuale versione dell’ecotassa regionale per lo smaltimento in discarica (definita dalla legge 549 del 1995), fissando al limite massimo di 25 euro a tonnellata l’entità del tributo regionale così come previsto dalla legge attuale, e lavorare contemporaneamente perché il ministero dell’Ambiente e il Parlamento approvino le modifiche normative necessarie ad aggiornare quello strumento pensato 18 anni fa e ormai assolutamente datato.
Solo in questo modo potremo rottamare il modello fondato sull’attività delle discariche come l’abbiamo visto fino ad oggi.

Stop alla costruzione di nuovi inceneritori, chiudendo subito i più obsoleti
Il successo della raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio di questi anni ha determinato due conseguenze: ha sostenuto sempre di più la filiera industriale del recupero delle materie prime seconde, uno dei pilastri della nostra green economy, e ha notevolmente ridimensionato il bisogno, per la chiusura del ciclo nei vari territori, del recupero energetico dai rifiuti urbani non altrimenti riciclabili.
Alla crescita importante del recupero di materia si sta aggiungendo, finalmente, anche la novità della riduzione della produzione dei rifiuti. Negli ultimi anni c’è stata una riduzione che non auspicavamo, quella causata dalla crisi economica che ha avuto conseguenze anche sui consumi e quindi sulla produzione dei rifiuti. Nel frattempo però si cominciano a vedere i primi effetti delle politiche di prevenzione locale messe in campo da alcuni enti locali (Regioni, Province, Comuni) con un contenimento, in alcuni casi con una riduzione, dei quantitativi di rifiuti prodotti. E tutto questo è avvenuto in attesa che il ministero dell’Ambiente adotti un vero programma nazionale di prevenzione entro la fine del 2013, obbligando in primis le aziende della produzione e della distribuzione, oltre a tutti gli altri soggetti (commercianti, agricoltori, artigiani, oltre agli enti locali e alle società di igiene urbana) a cambiare rotta su questo fronte, come avvenuto con successo in Germania negli ultimi 20 anni. Anche il trend di riduzione dei rifiuti renderà problematica l’alimentazione di impianti “rigidi” come gli inceneritori che notoriamente non possono essere modulati nel flusso di rifiuti alimentati al forno e che quindi sono un evidente problema per l’auspicata massimizzazione del riciclo e dello sviluppo delle politiche di prevenzione.
Il quadro impiantistico sull’incenerimento in Italia è ormai saturo:
ci sono regioni dove la potenzialità impiantistica di combustione dei rifiuti è sovradimensionata e quindi va ridotta, dismettendo, senza sostituirli, gli impianti più vecchi (è il caso della Lombardia o dell’Emilia Romagna);
ci sono regioni, soprattutto al centro sud, dove sono stati costruiti negli ultimi 10-15 anni impianti per bruciare i rifiuti, colmando un deficit impiantistico che per anni è stato raccontato furbescamente come uno dei motivi alla base delle emergenze rifiuti;
ci sono regioni dove i risibili quantitativi di rifiuti in gioco rendono superfluo realizzare un impianto dedicato (è il caso della Valle d’Aosta, dove è servito un recente referendum regionale - che abbiamo sostenuto con forza e vinto - per fermare la realizzazione di un pirogassificatore, che non avendo una produzione regionale di rifiuti tale da giustificarne la costruzione, si basava su una legge regionale che fissava il tetto delle raccolte differenziate al 50% e su un sostanziale rifiuto della Regione di promuovere la raccolta separata dell’organico).
In questo nuovo scenario dobbiamo dire chiaramente che si deve cambiare registro anche su questa forma di gestione rifiuti e che d’ora in poi non si dovranno più costruire nuovi impianti di incenerimento/gassificazione per rifiuti, che gli inceneritori esistenti a fine vita vanno smantellati e sostituiti da impianti per il recupero di materia e da digestori anaerobici per l’organico selezionato, optando solo a determinate condizioni e in modo temporaneo per il recupero energetico negli impianti industriali esistenti (come riportato nel paragrafo che segue), per lasciare spazio solo alle politiche legate alla riduzione, al riuso e al riciclaggio.

La gestione del transitorio verso la società italiana del riciclaggio
La messa a punto di una politica che arrivi a svilupparsi attorno a prevenzione-riuso-riciclo per rendere l’Italia protagonista di quella società europea del riciclaggio descritta dalla direttiva europea sui rifiuti del 2008 richiederà ovviamente alcuni anni e per questo occorrerà gestire il regime transitorio.
Gestire il transitorio significa tre cose:
sulla prevenzione la diffusione delle buone pratiche locali è molto importante, ma da sola non basta. E’ necessario promuovere iniziative strutturali di carattere nazionale, che devono coinvolgere in primis il mondo della produzione e quello della distribuzione, come richiesto anche dalla nuova direttiva europea sui rifiuti. Devono essere anche coinvolti tutti gli altri attori del ciclo dei rifiuti (governo, enti locali, commercianti, agricoltori, artigiani, aziende di igiene urbana, ambientalisti, consumatori, etc) per arrivare alla definizione del Programma sulla prevenzione per premettere di ridurre la produzione dei rifiuti anche in Italia come già fatto in altri Paesi come la Germania. Ovviamente i primi risultati concreti e strutturali sulla riduzione si potranno concretizzare solo dopo alcuni anni dall’entrata in vigore delle nuove regole;
sul fronte del riciclaggio occorre stimolare nei prossimi anni la creazione di imprese per la gestione delle materie prime seconde in particolare di quelle per le quali non esiste un’industria matura. Ci sono settori come il riciclo del vetro che conta molte vetrerie (siamo il Paese europeo con il più alto numero di vetrerie), ma che deve anche importare rottame perché raramente è raccolto per colore; oppure la catena del freddo che ha impianti di riciclo dei frigoriferi per il doppio dell’immesso al consumo, mentre altre filiere sono assolutamente carenti (lampadine, terre rare, plastiche eterogenee, etc) oppure sono mal dislocati sul territorio nazionale;
trattare la parte residua massimizzando il recupero di materia (con selettori ottici, rulli a stella, pretrattamenti di pulizia si possono recuperare vetro, plastica, metalli dalla frazione indifferenziata in buona percentuale) e diminuendo il ricorso allo smaltimento. Su questo punto la rete internazionale Zero Waste teorizza la discarica temporanea sul modello statunitense. In Italia l’attuale impianto normativo al momento non consente lo smaltimento in discarica di frazioni ad alto potere calorifico (si può sempre cambiare la norma, anzi sarebbe opportuno visto che questa distinzione non è prevista dalla direttiva europea e che da quando è stata inserita nel dlgs 152/2006 è stata ogni anno prorogata perché di fatto inapplicabile). Quella proposta internazionale si basa però su un territorio ricco di spazi come quello degli Usa, modello improponibile nel nostro Paese. Massimizzando il riciclaggio e le politiche di prevenzione, e cominciando a dismettere gli inceneritori più obsoleti, nella fase di transizione sarà necessario utilizzare il combustibile da rifiuti (css) in parziale co-combustione negli impianti industriali esistenti (cementifici, centrali a carbone, etc.), per sostituire una parte dei combustibili fossili e inquinanti utilizzati fino ad oggi (petcoke, polverino di carbone, etc). Questa opzione andrà praticata solo laddove strettamente necessario (non ha senso prevederla dove ci sono già impianti di incenerimento a meno che non li si voglia dismettere), per quantitativi limitati a quello che non è altrimenti riciclabile, in un quadro regolamentario di cessione del materiale flessibile, evitando rigidi obblighi di conferimento con contratti a breve termine (per molti cementifici la priorità su cui lavorare è la loro chiusura, visti il surplus nazionale di offerta, l’inquinamento causato e la loro localizzazione ormai sbagliata, evitando la loro delocalizzazione all’estero). Solo in questo modo si può evitare di “ingessare” il ciclo dei rifiuti per troppi anni, come accade con gli impianti di incenerimento, che ovviamente devono funzionare tutto il giorno e tutto l’anno al massimo della potenzialità, ipotecando ogni possibilità di sviluppo del riciclaggio o delle politiche di prevenzione.

Innalzare il livello dei controlli ambientali in Italia
Il processo di rafforzamento della rete delle Agenzie (nazionale, regionali e provinciali) per la protezione dell’ambiente passa attraverso una ridefinizione legislativa del loro ruolo (arenatasi nel precedente Parlamento) oltre che attraverso la valorizzazione e la condivisione delle buone pratiche messe in campo finora in diverse parti d’Italia (a tal proposito si deve partire dalle migliori esperienze di monitoraggi ambientali per promuovere la replicazione in altri territori italiani con problematiche simili).

La rivoluzione in cinque mosse
Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, dobbiamo attivarci in tutto il Paese per rilanciare il dibattito pubblico sulle politiche virtuose per i rifiuti, organizzare azioni e iniziative a livello nazionale, regionale, locale per fare passi concreti nella direzione da noi auspicata. Per muoverci in modo coerente e incisivo, Legambiente avvia una campagna politica in cinque mosse:

1. Ridurre la produzione dei rifiuti
Aprire un fronte sull’assenza di politiche nazionali sulla prevenzione
Dovremo mettere in campo una azione politica vertenziale contro la mancata redazione del programma nazionale di prevenzione da parte del ministero dell’Ambiente e per fare di quel lavoro una svolta nelle pratiche e nei numeri conseguenti.
Sul fronte industriale ad esempio ci sono imprese italiane che lavorano sul mercato italiano ed esportano anche in Germania e che imballano lo stesso prodotto in due modi completamente diversi. È ora di finirla con questo paradosso. Bisognerebbe aprire un fronte anche con queste aziende chiedendo loro di uniformare il packaging, ma anche con il mondo industriale degli imballaggi più in generale per recuperare vecchie pratiche virtuose come il cauzionamento e il vuoto a rendere o per facilitare la vita ai cittadini al momento del conferimento dei rifiuti obbligandole ad esplicitare sulle confezioni a quale circuito di raccolta differenziata vanno conferite.
Va rilanciato il lavoro fatto negli ultimi 15 anni sul ritorno del vuoto a rendere e vanno potenziate le campagne sulla riduzione degli imballaggi (la storica “disimballiamoci”, il più recente concorso fotografico NO PACK sui prodotti imballati in modo assurdo, etc).

Il nuovo premio nazionale sulla prevenzione da affiancare al premio per i Comuni ricicloni
Sul modello del bando regionale sulla prevenzione che organizziamo dallo scorso anno nelle Marche (con Regione, Upi, Anci), replicheremo a livello nazionale quel modello con un premio per enti locali, aziende e associazioni, che organizzeremo insieme a Federambiente, l’associazione delle imprese pubbliche di igiene urbana. Il bando verrà reso pubblico in estate e la premiazione avverrà in autunno a Roma.
Sarà inoltre molto utile replicare il bando marchigiano anche in altre regioni italiane, partendo da quelle in cui organizziamo già l’edizione regionale di Comuni ricicloni.

2. Ridurre il costo del riciclaggio e il flusso dei rifiuti indifferenziati
Il disegno di legge sugli incentivi per l’acquisto dei materiali da riciclaggio dei rifiuti
Sottoporremo ai rappresentanti dei partiti nell’attuale Parlamento il ddl sugli incentivi ai materiali realizzati con il riciclaggio dei rifiuti già presentato nella scorsa legislatura. A quel ddl andranno aggiunte le modifiche normative sul compostaggio collettivo, sulla nuova ecotassa sulle discariche (togliere il tetto massimo di 25 euro a tonnellata, destinare i proventi dell’ecotassa solo a progetti di prevenzione e riciclaggio), sull’obbligo di marchiatura degli imballaggi per facilitare il corretto conferimento alla raccolta differenziata e tutte le altre iniziative legislative che abbiamo già promosso nelle scorse legislature.

Una nuova campagna sul riciclaggio da rifiuti e sugli acquisti verdi
Stiamo lavorando alla definizione di un nuovo progetto globale che racchiude le nostre iniziative sui rifiuti. Dopo il flop del decreto 203 del 2003 sugli acquisti verdi e nonostante il contesto normativo inadeguato, il gpp (green public procurement) ha in qualche modo preso piede trovando spazio anche nel settore privato. Dovremo giocare un ruolo in questa partita strategica per attivare nuovi mercati ai materiali riciclati e a basso impatto ambientale.

Iniziative sul territorio per promuovere le nuove filiere del riciclaggio
Nell’ambito della campagna Recall che promuoviamo con AzzeroCO2, oltre alle attività informative sui digestori anaerobici per trattare anche la frazione organica dei rifiuti, attiveremo nuove azioni che mira a sollecitare gli enti locali alla nuova frontiera del riciclaggio di rifiuti considerati fino ad oggi non riciclabili, come ad esempio i tradizionali pannolini usa e getta o le plastiche miste.
Dovremo anche monitorare il rispetto del divieto sui sacchetti non biodegradabili e compostabili anche alla luce dell’entrata in vigore delle sanzioni che partiranno da agosto.

3. Ridurre il peso della nuova tassazione rifiuti sulle famiglie
Vogliamo una Tares equa e puntuale
C’è in corso una grande polemica sulla nuova Tares perché viene descritta come una nuova tassa che aumenterà il peso fiscale sulle famiglie (lo sarà anche perché passando da Tarsu a Tares il costo del servizio dovrà essere interamente coperto dal gettito del tributo e molti comuni non hanno fatto molto fino ad oggi per stanare gli evasori della vecchia tassa rifiuti).
Faremo una campagna in difesa dei cittadini virtuosi per pretendere che la nuova Tares sia solo puntuale nel rispetto del principio “Chi inquina deve pagare”. Attiveremo anche una raccolta firme massiccia sul territorio, utilizzando anche gli strumenti informatici (sito, newsletter, social network, etc), indirizzata al governo e al parlamento per chiedere che il nuovo tributo sia commisurato solo sulla produzione di rifiuti indifferenziati di ciascuna utenza per permettere alle famiglie più virtuose di pagare meno.
Questa petizione sulla Tares equa e puntuale si affiancherà alla raccolta delle firme del disegno di iniziativa popolare Rifiuti zero (descritta nell’ultimo paragrafo), per incrociare in modo efficace i bisogni sociali dei cittadini e per continuare la nostra vertenza storica per passare da tassa a tariffa in tutti i Comuni italiani.

4. Ridurre il recupero energetico dai rifiuti
La black list degli inceneritori vecchi e inquinanti
Dovremo individuare alcuni casi di inceneritori obsoleti e inquinanti che a nostro avviso vanno chiusi, sostituendoli con impianti della filiera del riciclaggio (digestori anaerobici per l’organico, impianti per la valorizzazione spinta dei rifiuti, etc).

5. Ridurre lo smaltimento in discarica
Modificare in Parlamento la normativa sull’ecotassa regionale sulle discariche
Va promosso anche presso l’attuale parlamento il nostro ddl per far cambiare al Parlamento la legge sull'ecotassa approvata nel lontano 1995.

Pressing sulle Regioni per il rispetto dell’obbligo di pretrattamento e per l’aumento dell’ecotassa regionale
Dovremo fare una campagna di pressione sulle Regioni perché venga rispettato da subito l’obbligo di pretrattamento (prevedendo impiantistica flessibile e di veloce realizzazione) e per far rimodulare l'ecotassa in base al raggiungimento degli obiettivi di legge sulla raccolta differenziata o sulla produzione di rifiuto indifferenziato residuo.
Prepareremo un dossier su come le Regioni fanno pagare l’ecotassa per lo smaltimento in discarica, sul modello dei due dossier sui canoni di concessione sulle acque in bottiglia e sulle cave che pubblichiamo ormai da qualche anno.

Il disegno di legge di iniziativa popolare Rifiuti zero
Nella campagna politica “Cinque mosse per vincere sui rifiuti”, con nostri appuntamenti nazionali e locali e le nostre parole d’ordine, è importante partecipare alla raccolta delle firme per la proposta di legge di iniziativa popolare Rifiuti Zero, come una delle nostre attività da affiancare alla raccolta firme per una Tares che premi i cittadini virtuosi, in modo da poter aprire il dibattito anche sui punti della legge che riteniamo sbagliati, creando alleanze e schieramenti vasti e popolari, e avanzare le nostre proposte a scala regionale e territoriale per raggiungere gli obiettivi che riteniamo praticabili nella politica dei rifiuti.
La proposta di legge di iniziativa popolare può rappresentare un acceleratore del dibattito locale e nazionale sui rifiuti tra cittadini, enti locali e operatori e va utilizzata al meglio per costruire alleanze e orientare la discussione sui temi più cari alla nostra associazione, senza schiacciarci su opzioni ideologiche e senza senso che equiparano ad esempio l’opzione “rifiuti zero” a quella “impianti zero”.
La strategia Rifiuti zero infatti è molto utile dal punto di vista della ricerca delle soluzioni tecniche ed è molto utile per far crescere il consenso alle ragioni dell'ambientalismo se è vista, raccontata e approfondita come strategia credibile e seria a lungo termine. Ma è invece una pericolosa semplificazione se attraverso questa formula si sostiene la possibilità di raggiungere quell'obiettivo immediatamente e, così facendo, si rischia di legittimare battaglie locali che nascono spesso solo dalla paura di avere un impianto a poca distanza da casa.
Ci sono alcune parti di questa legge che condividiamo profondamente e che vanno valorizzate al massimo nel dibattito dei prossimi mesi (come ad esempio la forte spinta alle politiche di riduzione - meno 20% della produzione rifiuti entro il 2020, meno 50% entro il 2050 rispetto al 2000 - e di massimizzazione del riciclaggio grazie alla raccolta porta a porta; la progressiva dismissione del recupero energetico a vantaggio del riciclaggio e della prevenzione; l’autosufficienza impiantistica di tutte le regioni per tutte le tipologie di rifiuti in rispetto del principio di prossimità; una proposta di rimodulazione dell’ecotassa per lo smaltimento rifiuti differenziata in base alla scala gerarchica del ciclo dei rifiuti o alle performance di riciclaggio dei Comuni; tariffe differenziate per il conferimento agli impianti in base alle performance di riciclaggio da parte dei Comuni; distinzione dei ruoli tra società di raccolta e di smaltimento per ridurre i “conflitti di interesse” nel ciclo; priorità di attenzione alla distribuzione del biometano in rete; l’obbligo di tariffazione puntuale; una rimodulazione degli incentivi che vanno spostati dalle opzioni di smaltimento quando previsti alle opzioni di prevenzione, riuso e riciclaggio; l’incentivo al ritorno del vuoto a rendere; la previsione di un piano di monitoraggio sanitario legato all’inquinamento locale e di un piano nazionale per la riduzione degli sprechi alimentari; lo sviluppo del compostaggio di comunità e dei centri del riuso; un programma serio per garantire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e di controllo).
Ci sono infine altre parti del disegno di legge che non condividiamo e che a nostro avviso dovranno essere emendate o soppresse nella fase di discussione parlamentare che dovrebbe cominciare dopo il raggiungimento dell’obiettivo del numero minimo di firme (solo per citarne alcune: la domiciliarizzazione della raccolta differenziata va compiuta prima dei due anni previsti dalla proposta di legge; è sbagliato prevedere lo stop agli incentivi per la digestione anaerobica o gli impianti a biomasse a filiera corta o addirittura vietare la combustione del biogas per produrre elettricità da immettere in rete; è sbagliata la sospensione di ogni nuova autorizzazione a discariche per smaltire amianto, vista la grave carenza di questi impianti sul territorio nazionale; prevedere una moratoria tal quale sull’uso del css può essere un errore in alcuni specifici territori come già evidenziato nel presente documento; pensare di revocare gli incentivi per impianti di recupero energetico già autorizzati o attivi porterebbe ad una grande quantità di conteziosi difficili da vincere).

Vittorio Cogliati Dezza, Presidente nazionale Legambiente
Rossella Muroni, Direttore generale Legambiente

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR