sabato 15 giugno 2013

Trivellazioni Monte Ardone, schiaffo alla salute

L'ennesimo diktat contro i cittadini è made in Bologna

Monte Ardone scuote la memoria di Parma come il ricordo di un bruciante schiaffo.
Una discarica allucinante e pericolosa, ancora oggi pulsante di errori e di peccati.
Ma non c'è mai un limite al peggio, dobbiamo farci l'abitudine.



Così la Regione Emilia Romagna spalleggia le lobbies delle trivellazioni e da il via libera a ricercare idrocarburi nel sottosuolo del comune di Fornovo, quel monte che deve il suo nome proprio al suo nero e bollente scrigno.
Il movimento No Triv, molto attivo nel versante reggiano, aveva portato a Parma il 5 giugno scorso Maria Rita D'Orsogna, fisico italo-americano, docente in California, studiosa del fenomeno.
Le trivellazioni, sintetizziamo, portano solo danni e nessun guadagno per le popolazioni locali.
Ne sia esempio su tutti la Basilicata, dove da 25 anni si perfora il sottosuolo senza che la regione ne abbia tratto alcun vantaggio, solo disastri ecologici e ambientali.
E' questa la fine che si vuol far fare al nostro territorio?
Le trivellazioni portano con sé anche il rischio sismico.
Dopo il gravissimo terremoto dell'Emilia dello scorso anno, si intende sollecitare il sottosuolo senza avere certezza sulla mancanza di pericolo?
Nel mondo sono decine le situazioni di microterremoti, ma anche di sismi di forte intensità, direttamente correlati alle perforazioni ed alle cariche esplosive utilizzate dalla tecnica del fracking, volta a spezzare la crosta terrestre per arrivare alle grandi profondità.
Teniamo anche conto che gli idrcarburi italiani non sono di qualità ed è anche necessario scendere a grandi profondità per riuscire a succhiarli.
Le tecniche utilizzate prevedono l'utilizzo di fluidi con contenuti tenuti all'oscuro dai segreti industriali, sostanze però ricche di componenti tossiche e pericolose.
Lo scavo di un pozzo comporta poi un'enrome quantità di rifiuti prodotti, a partire già dalla fase di studio e di saggio dei terreni.
Avevamo avuto notizia che le amminsitrazioni locali e provinciali fossero in procinto di porre un freno deciso a questi scempi, elaborando e portando al voto delle delibere restrittive e urgenti per bloccare sul nascere questi attacchi a salute e stabilità ambientale del territorio.
Bene, ora è il momento di dimostrare ai cittadini le proprie intenzioni.
Di passare, come usa dire, dalle parole ai fatti.
Oppure di lasciare libertà di opprimere la nostra terra, bendandosi gli occhi, turandosi il nasco, cucendosi la bocca, in nome di non sappiamo cosa.
Ditecelo voi.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


Lesignano, un ennesimo rischio ambientale

Si vogliono bruciare migliaia di tonnellate di letame
E il marino?

L'impianto di cogenerazione da combustione di pollina da 150 Kwe, che si intende impiantare a S. Maria in Piano (Lesignano), prevede di bruciarne e gassificarne circa 400 kg/h, cioè 9,5 tonnellate al giorno, 3.000 tonnellate annue, per produrre 150 Kw/he.
Un rendimento bassissimo, circa del 13%.
E saranno circa 12 mln Nm3 annui i gas emessi, mentra la produzione si attesterà sui 1.200 Mwe, accedendo a circa 330.000 euro di incentivi pubblici.
Ma 10mila tacchini producono “solo” 400 tonnellate annue di pollina.
Da dove arriverà il resto?



La pollina è un ottimo concime naturale, ma uno degli effetti collaterali della pur sacrosanta "direttiva nitrati", cioè della necessità di dimuinire la quantità di azoto per ettaro, è che si sta
favorendo la sua termogassificazione per produrre energia elettrica, anche se con un rendimento ridicolo (13%) e con emissioni nocive per l'ambiente non indifferenti.
In gran parte, la concimazione dei terreni è ormai fatta con fertilizzanti chimici, sovraccarichi di azoto e privi di sostanza organica.
I fertilizzanti agricoli sono ormai un optional: vicino ad allevamenti industriali sono sparsi in eccesso, da altre parti in misura anche nulla.
Fare a meno o diminuire la concimazione chimica vuol dire mettere un freno alla lisciviazione dell'azoto di sintesi o minerale, il primo a finire nella falda acquifera, inquinandola, rispetto all'azoto organico.
Se si riduce ulteriormente la concimazione da reflui animali e l'azoto di origine organica i terreni diventano infertili, polverosi, perchè privi di struttura humica.
Il carico di azoto degli avicoli è inferiore a quello degli altri animali da allevamento.
Perchè, allora, bruciare pollina ed avere emissioni nocive e ceneri dell'ordine del 7% del combusto, come nell' impianto di cogenerazione da combustione di pollina da 150 Kwe, che vogliono impiantare a S. Maria in Piano?
Semplice.
Perchè è la soluzione più semplice, anche se la più impattante sull'ambiente, per accedere agli incentivi.
La digestione anaerobica della pollina è di particolare importanza dato l'elevato potenziale energetico della matrice.
Problematica, però, per la biodigestione è l'elevato contenuto di azoto minerale (acido urico) che in quelle proporzioni inibirebbe lo sviluppo batterico da cui prende avvio il processo.
Tale contenuto di azoto deve essere ridotto attraverso un pretrattamento volto alla formazione di un sale, il solfato d'ammonio, recuperabile come concime al posto di quelli sintetici, come si diceva
più sopra.
Il pretrattamento della pollina consiste nello strippaggio dell'ammoniaca con acido solforico e con recupero del solfato d'ammonio con uno scrubber.
In tal modo può essere digestata anche pollina fino al 100%.
Con gli insilati la resa di metano è di 100 m3/t, con le deiezioni animali è il doppio.
La tecnica dello strippaggio con aria a pressione prevede il passaggio dell’ammoniaca, presente nel liquame in soluzione acquosa, in forma gassosa nell'aria. Il flusso gassoso così prodotto viene intercettato da uno scrubber (torre di lavaggio) che cattura l’ammoniaca presente, per contatto con una soluzione acida, in modo da produrre un sale di ammonio stabile.
Si tratta di un processo che necessita di quantità notevoli di energia termica; la sua applicazione, quindi, non può fare a meno della disponibilità di una fonte energetica a basso costo, come quella
che potrebbe essere fornita da un impianto di digestione anaerobica, il cui biogas venga utilizzato per produrre anche energia termica necessaria allo strippaggio.
Dove finisce l'ammoniaca strippata?
Nella maggior parte dei casi l'ammoniaca che viene prodotta dall'impianto di strippaggio viene assorbita tramite un processo che utilizza come liquido di lavaggio una soluzione di acido solforico: per ogni kg di ammoniaca occorrono 3 kg di acido solforico.
In questo modo si ottiene un sale, il solfato d'ammonio, che può essere gestito come un inerte.
Il solfato di ammonio è un ottimo fertilizzante.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
15 giugno 2013

www.reteambienteparma.org - info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave allamianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorseno cava le predelle
associazione per l'informazione ambientale a san secondo parmense
comitato associazione giarola e vaestano per il territorio - no cogeneratore a olio animale al poggio



venerdì 14 giugno 2013

Shock Parma, inceneritore verso la chiusura

Avvio del procedimento sanzionatorio per decadenza del titolo edilizio
7 giorni di tempo per Iren Ambiente
per presentare memorie e documenti sull'inceneritore di Ugozzolo


Il Comune di Parma dopo attenta analisi da parte degli uffici competenti e dei uffici legali ha inviato a Iren Ambiente in data 13 giugno 2013 una comunicazione ex art. 7 legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche, in cui si annuncia l’avvio di un procedimento sanzionatorio relativo alla realizzazione dell’inceneritore di Ugozzolo, ritenendo decaduto il permesso di costruire in data 22/10/2011 o, a tutto voler concedere, in data 23/02/2013, ritenendo pertanto che i lavori stiano procedendo in assenza di titolo edilizio .
Nel procedimento, inviato per conoscenza anche alla Provincia di Parma, si comunica ad Iren Ambiente che vi sono 7 giorni di tempo per presentare memorie scritte e documenti, allo scadere dei quali il Comune deciderà in base agli elementi raccolti, i provvedimenti conseguenti da adottare.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR




Legge Rifiuti Zero. la via maestra

Legge Rifiuti Zero, la via maestra
Un'analisi puntuale, anche delle critiche ingiuste

di Massimo Piras



La proposta di Legge Rifiuti Zero è dal 27 marzo 2013 una realtà concreta ed uno strumento decisivo per costruire una fase di lotta anche in Parlamento e soprattutto nei territori dopo un iter che è partito a giugno del 2012 da una proposta pubblica all'assemblea alla Sapienza a Roma che è stata poi pienamente accolta dall’intera Rete nazionale rifiuti zero e dagli alleati movimenti per i Beni Comuni che hanno dato il loro sostegno, come il Forum Italiano Acqua Pubblica ed i Coordinamenti sull’Energia Sostenibile e sulla Mobilità Sostenibile.
Dopo decenni di vertenze locali contro discariche ed inceneritori, vertenze in cui i comitati e le associazioni si sono dovuti spesso appellare a ricorsi al TAR contro l’applicazione di leggi che consentono tuttora di continuare a distruggere ambiente e salute con questi impianti tossici, questo passaggio avviene a seguito del nuovo atteggiamento del Parlamento Europeo del 2012 con la risoluzione “per una Europa efficiente verso il recupero di materia”.
A fronte di un lavoro di ben otto mesi di elaborazione, con due assemblee nazionali a Roma, e con la partecipazione iniziale di ben 150 Comitati ed associazioni specifiche sia locali che nazionali abbiamo visto crescere costantemente la partecipazione e le proposte di integrazione e modifica ad una bozza che ha visto almeno una decina di versioni via via aggiornate con un confronto avvenuto sia su piattaforma condivisa googlegroups che con le due assemblee partecipate.
A questo confronto sin dall’inizio si sono sottratti una decina tra comitati laziali e campani che avevano tentato, con l’assemblea alla Sapienza di giugno a Roma, di lanciare un “movimento nazionale” che ben presto è naufragato per mancanza di partecipazione ulteriore ed ha tentato una ulteriore acrobazia nel lanciare un “Coordinamento nazionale rifiuti ed energia” avendo già compreso che la battaglia già avviata contro le Centrali a biomassa “agricole” prometteva meglio di quella sui rifiuti. Tra questi spiccava sin dall’inizio quello NoInc di Albano, da sempre contrario a qualsiasi “proposta di legge o referendum”, e che quindi non si vede per quale motivo oggi invece si dovrebbe preoccupare di avversare una proposta di legge veramente popolare, ma che forse gli ha sottratto la visibilità e soprattutto la credibilità dovuta al fatto che le barricate non bastano da sole a contrastare la lobby inceneritorista ma occorre anche una concreta “proposta alternativa”.
Ovviamente del tutto legittimamente ma anche astutamente hanno ritenuto di fare una vera e propria operazione di “sommatoria” tra la vertenza preesistente già da tempo nel Centro e Nord Italia contro le Centrali a biomassa “agricole”, battaglia che ha una sua piena e concreta validità per contrastare l’abbandono dell’agricoltura tradizionale per coltivare mais per fare biogas, con vertenze locali contro impianti di digestione anaerobica per rifiuti partendo dalla base che il processo tecnico di base è lo stesso sebbene sia evidente a chiunque conosca il problema che hanno norme di legge, procedure tecniche e problemi del tutto diversi.
Ma tant’è ecco il “No Biogas”, slogan facile facile che non necessita di spremersi troppo le meningi sul fatto che se da una parte difendiamo il territorio agricolo dall’altra continueremmo a mandare il rifiuto organico che non riusciamo a “compostare” in discarica per l’80% dei casi, producendo lo stesso biogas ma libero in atmosfera ed il percolato nelle falde idriche.
Un dettaglio per loro di poco conto, evidentemente, se non ci si pone neppure il problema di provare a capire che la digestione anaerobica esiste in Italia da decenni e non è neppure lontanamente assimilabile all’incenerimento, come pure hanno provato a sostenere questi “professionisti della barricata”.
Ovviamente nella stesura della Legge Rifiuti Zero non potevamo certo ignorare i dei sistemi di trattamento “naturali” della frazione organica, in quanto entrambe sono reazioni prodotte da batteri che esistono da prima della razza umana, sia quella Aerobica già noto nel Lazio che quella Anaerobica già nota nel Nord ma di recente avvio anche nel Lazio.
Sul primo sappiamo molto bene che ha dei grossi limiti di applicazione, infatti oggi si tratta appena il 20% della frazione organica, in quanto richiede di miscelare all’organico sino al 40% di frazione “verde o strutturante”(potature, cippato ligneo) che nelle grandi città non è disponibile ed in quanto questi impianti hanno in genere grossi problemi di cattivi odori dati dallo sviluppo di gas nella fermentazione che anche i biofiltri spesso non riescono a trattenere con il risultato che molti residenti ne chiedono poi la chiusura anche se sono posti in aree agricole. Hanno infatti necessità di grandi aree di trattamento, circa due metri quadrati a tonnellata trattata cioè 6 ettari per 30mila tonnellate, e consumano una quantità enorme di energia, circa 70 Kwh per tonnellata trattata quindi circa 2 MegaWh per 30mila tonnellate, che da qualche parte dovrà essere prodotta bruciando magari altro carbone.
Sul secondo sappiamo altrettanto bene che oggi operano con modalità inaccettabili, in quanto il biogas prodotto (metano al 60% ed anidride carbonica al 39% e poco altro) viene bruciato in loco con emissioni in atmosfera per produrre energia elettrica che viene pagata tre volte dal GSE come fosse da fotovoltaico e che il restante residuo “digestato” non ha ancora un obbligo di essere trattato successivamente in aerobiosi per il suo recupero come compost in agricoltura.
Quindi avendo ben chiaro che le Centrali a Biomassa “agricole” sono autorizzate con il D. Lgs. 28/2011 sulla produzione di Energia da fonti rinnovabili ma non attengono alla normativa sui rifiuti, al fine di evitare di mandare in discarica i rifiuti organici ”differenziati” laddove fosse impossibile il compostaggio aerobico, abbiamo inteso affrontare la modifica radicale del processo di digestione anaerobica per renderlo compatibile con il principio del Recupero totale di Materia e proponendolo:
1) Azzerando totalmente la combustione e le incentivazioni oggi già previste e normate con Decreto per la produzione di elettricità, che oltretutto recupera solo un terzo del contenuto energetico del biogas e spreca gran parte del calore prodotto non essendoci una utilizzazione concreta nell’impianto se non per una parte minoritaria, mantenendo solo una teorica e già prevista incentivazione alla pura “produzione” di biometano da rifiuti organici differenziati come materia ma che oggi non ha ancora il necessario Decreto ministeriale attuativo,
2) Prevedendo la totale purificazione del biogas a biometano, con processi che consentono di arrivare sino al 97% di metano puro, con vari sistemi ad esempio con il lavaggio ad acqua che è un processo semplice e non inquinante, da immettere nella Rete pubblica del gas naturale o per venderlo in distributori per uso autotrazione come già avviene in almeno cinque nazioni europee da dieci anni. Si prevede solo che una quota di biometano possa essere utilizzata in combustione per produrre il calore e l’elettricità per l’impianto stesso.
3) Prevedendo piccoli impianti per bacini di 150-200mila abitanti, evitando i grandi complessi industriali, al fine di favorire la “filiera corta di gestione” di rifiuti provenienti dalla Raccolta porta a porta, che possano trattare solo la forsu – Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani differenziata , che è quella che con l’avvio “per legge” o nei fatti della Raccolta porta a porta dovremo comunque trattare,
4) Con modalità “accelerata” che preveda il rilascio della autorizzazione entro e non oltre un anno compresa la V.I.A., dal momento che questi impianti sia Aerobici che Anaerobici se operano entro le 36mila tonnellate/anno oggi sono già autorizzati con la procedura “semplificata”dalla attuale Legge 152/2006.
Ora a fronte di questa serie di ragionamenti ci si aspetta anche una eventuale critica ma con le dovute argomentazioni a supporto, non certamente una serie di dichiarazioni false, infondate e che mescolano insieme alle problematiche oggi già esistenti le stesse proposte alternative contenute nella Legge Rifiuti Zero, di cui spesso i suoi detrattori confessano candidamente di non aver neppure letto il testo ma magari solo il “famoso articolo 14”, lettura che se scollegata dalla conoscenza degli articoli 4, 5, 10, 11, 17, 18 non solo non si inquadra ma si dicono solenni falsità.
Rigettiamo al mittente quindi qualsiasi accusa di gestione non trasparente della proposta di legge, qualsiasi tentativo di delegittimare scelte tecnologiche che non siano corredate dagli opportuni studi scientifici visto che abbiamo illustrato e sono scaricabili dal sito le nostre argomentazioni illustrate anche al Convegno nazionale a Roma sabato 1 giugno e qualsiasi provocazione fatta da sedicenti ecologisti ”da tavolino” che sinora hanno prodotto l’ottimo risultato della realtà attuale non avendo mai prodotto un modello concreto ed attuabile di trasformazione civile ed industriale.
Comunichiamo che l’aver raggiunto e superato l’obiettivo delle 50 mila firme richieste per il deposito in soli due mesi, avendo altri tre mesi a disposizione per triplicare il risultato, evidentemente ha spaventato chi pensava che non si sarebbero mai raggiunte le firme necessarie per portare anche in Parlamento una battaglia di civiltà che non accetta più né posizioni dogmatiche né tantomeno posizioni lobbystiche di chi vuole mantenere di fatto lo status quo.

Massimo Piras
Segreteria nazionale operativa
www.leggerifiutizero.it

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


giovedì 13 giugno 2013

La duplice alleanza verde

Un patto a due che può raddoppiare

Un'alleanza tra Parma e Forlì per rendere più moderno ed europeo il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti.
Parma, Forlì, Reggio Emilia e Piacenza hanno presentato una proposta per un piano dei rifiuti che contiene la strategia della società post-incenerimento, un piano coerente con la strategia Europea 2020 il cui obiettivo principale è il massimo recupero di materia.



Una nuova alleanza tra il Sindaco di Parma Federico Pizzarotti ed il Sindaco di Forlì Roberto Balzani, in prospettiva della stesura di un Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti volto ad una graduale ma determinata rimozione degli impianti di incenerimento, in piena continuità con le politiche Comunitarie.
L’iniziativa è stata appoggiata anche dal Comune di Piacenza e da quello di Reggio Emilia, anche se quest’oggi non erano presenti al tavolo.
La conferenza stampa congiunta di questa mattina a Reggio Emilia, alla quale erano presenti i due sindaci assieme agli assessori all’Ambiente Gabriele Folli e Alberto Bellini, ha inteso essere un’azione propositiva di miglioramento del Piano Regionale dell’Emilia Romagna, in funzione il prossimo anno.
Entro il 2020 l’obiettivo non è solo quello di raggiungere il 70% della raccolta differenziata o di ridurre la produzione di rifiuti del 25%, ma anche di introdurre come norma il principio europeo del “Chi più inquina, più paga”; realizzare un sistema regionale efficace di tariffazione puntuale sia per le utenze domestiche che non domestiche; utilizzare impianti che non prevedono l’incenerimento.
Il tema diventa ancor più stringente per il Paese e per la Regione stessa, dal momento che la richiesta di una corretta e nuova gestione è diventata priorità della Comunità Europea.
La redazione del piano, quindi, è crocevia importante per indirizzare le politiche regionali verso gli obiettivi di Parma e Forlì.
Questa politica, “Assolutamente innovativa” secondo Pizzarotti, porrebbe l’Emilia Romagna come capofila italiana del nuovo sistema di gestione verso cui si è indirizzata l’Europa e, come ha affermato Balzani, “Darebbe risultati significativi di riduzione dell’impatto ambientale, oltreché un aumento energetico dovuto al recupero e allo smaltimento dei rifiuti”.
“Il Nuovo Piano Regionale è l’occasione storica per mandare in soffitta la vecchia cultura di gestione dei rifiuti – ha affermato Pizzarotti -. Incenerimento, tariffe al massimo e inquinamento devono far posto ad una gestione più territoriale, maggiormente incentrata sul risparmio e sul riutilizzo di questa risorsa naturale”. Dello stesso avviso anche Balzani, il quale ha affermato che “Dobbiamo renderci conto che il rifiuto non deve più essere considerato uno scarto, ma una materia prima e seconda: non dovrà più essere proprietà delle aziende che lo raccolgono e lo trasformano, ma dei territori che lo producono”

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


Forlì verso l'affidamento dei rifiuti al pubblico

E' scontro con Hera, specie sulla gestione senza incenerimento
L'assessore Bellini determinato verso rifiuti zero

Il Resto del Carlino
Luca Bertaccini

Nella sede di Confartigianato ieri a Cesena, l’amministratore delegato di Hera Maurizio Chiarini
ha toccato tre punti fondamentali che riguardano il dibattito sui servizi e la gestione dei rifiuti. Ha
iniziato parlando dei successi dell’azienda, è passato poi al ruolo degli inceneritori e ha finito col tema più caldo, quello dell’affidamento ‘in house’, vale a dire l’affidamento diretto di un servizio—
quindi senza gara—da parte della pubblica amministrazione a un’entità di diritto e/o capitale
pubblico.

Parla della scalata di Hera, Chiarini, sottolineando la capacità di crescere repentinamente grazie
anche agli azionisti pubblici che hanno sostenuto l’azienda nello sviluppo. «I clienti non ce li regala
nessuno — dice Chiarini — ma dobbiamo andarli a cercare (ovviamente si riferisce solo a quelli
del gas e dell’energia elettrica, ndr) e se i risultati sono così positivi lo dobbiamo di certo alla nostra reputazione, poiché solo chi si presenta con serietà riesce a conquistare la fiducia del pubblico». Il tono cambia quando l’argomento verte sugli inceneritori. «Chi fa i piani provinciali di gestione dei rifiuti? Le province ovviamente –continua Chiarini – le stesse che ci hanno detto di costruire gli inceneritori. Eppure dopo tre anni sono venute a dirci che dobbiamo superare ‘l’era dell’incenerimento’.
Noi abbiamo investito 500 milioni di euro in impianti non nocivi per la salute e adesso che si fa? Siamo passati in pochi anni dal 49% al 20% dell’uso della discarica, vera spina nel fianco dell’ecosistema, e nei prossimi anni arriveremo al 10%. Inoltre abbiamo potenziato la raccolta differenziata e nel 2016 contiamo di arrivare al 60-65% di media su tutto il territorio
di nostra competenza. Tutto questo va evidenziato».
L’ultimo punto, come detto, riguarda ‘l’affidamento in house’ (ipotesi ventilata dal sindaco di
Forlì, Roberto Balzani). Un rospo difficile da mandare giù per l’ad di Hera che vorrebbe poter puntare sulla competizione come fatto finora: «Credo sia giusto fare una gara per scegliere il nuovo gestore dei servizi ambientali sul territorio di Forlì-Cesena. Noi non saremmo affatto contenti se la soluzione che venisse adottata fosse quella di un affidamento in house. Non tanto per Hera, perché
penso che potrebbe tranquillamente sopravvivere,ma per i cittadini di questi territori perché non
credo che i costi sarebbero quelli più vantaggiosi. Con l’affidamento diretto, infatti, tra una revisione dei prezzi oggi e una revisione dei prezzi domani, va a finire che i costi del servizio diventano molto più alti rispetto a quanto si potrebbe ottenere facendo una gara cui partecipa il gestore migliore. È importante, infatti, che sia la competizione a stabilire chi possa offrire il servizio migliore per il cittadino».
Alla domanda se le tariffe attualmente in vigore a Forlì, dove il consiglio comunale ha contestato
Hera, possano essere diminuite, Chiarini risponde: «Ritengo che i costi attuali del servizio siano
già ridotti all’osso e credo che quello studio che parla di un potenziale risparmio del 20% abbia
molti punti di debolezza. È scritto su un pezzo di carta, ma dal pezzo di carta alla gestione ce ne passa».
La replica dell'assessore all'ambiente Alberto Bellini
Una società partecipata dai 15 Comuni del Forlivese che effettuerà il servizio di raccolta, trasporto rifiuti e spazzamento. Alberto Bellini, assessore all’ambiente del Comune di Forlì, avevate messo in
conto reazionida parte di Hera? Sarà infatti questa nuova società a decidere gli indirizzi sulle politiche dei rifiuti.
«Rispetto loro e loro devono rispettare me come amministratore. Poi è logico che le visioni politiche sono diverse. D’altra parte ritengo di fare un favore a Hera».
In che senso?
«Sono su una linea conservatrice, privilegiano il recupero di energia e la raccolta differenziata tradizionale, quando nel resto d’Europa si prendono altre strade. Se Hera non farà un salto innovativotecnologico magari tra 10 anni arriverà qualcuno a prenderle le quote di mercato».
L’ad di Hera, Chiarini, si è detto contrario a questa società in house. «Il servizio di raccolta sarà affidato a una società pubblica che opererà come un’agenzia di secondo livello, verificando i livelli di servizio, programmando e verificando gli obiettivi ambientali, affidando a società terze la realizzazione dei servizi a terra e stipulando contratti di servizio con aziende per il recupero e smaltimento. Credo che Chiarini si riferisca a una gestione con società pubblica, che svolta al suo interno i servizi a terra. Non sarà così».
Questa societàquandonascerà?
«Il 1°luglio 2014».
A quel punto si farà il porta a porta in tutti e 15 i Comuni?
«Sì, con un periodo di transizione. Possiamo ipotizzare che tutto il Forlivese adotterà questo sistema
dal luglio 2016».
Quale sarà la prossima zona dove partirà il porta a porta a Forlì?
«Siamo in fase di proroga del servizio, che è in mano ad Hera. Io sono più realista del re. Se Hera reagisce così al nostro progetto di fare una società pubblica lei pensa che vogliano partire con un’altra zona in settembre a Forlì? Siamo comunque rimasti d’accordo per aggiornarci, sul porta a porta, dal punto di vista tecnico. Mi auguro che questo sia ancora valido».
Ha detto che la nuova società nascerà tra circa un anno. Chi deve dare il via libera?
«Il consiglio d’ambito di Atersir, una volta acquisito il parere del consiglio locale composto dai 30
sindaci di Forlì-Cesena».
Si aspetta ‘pressioni’ di Hera sui primi cittadini?
«No. Mi aspetto una collaborazione operativa. Poi è ovvio che se i 30 sindaci mi diranno di non andare avanti io ne terrò conto». Conla nuova società le bollette diminuiranno? Hera èdubbiosa.
«I costi, a mio parere, saranno uguali o inferiori a quelli attuali.
Lo studio che cita Chiarini, esiste, e sono lieto se verrà analizzato e contestato nel merito da Hera o
da altre aziende che si occupano di questi servizi».
Il Comune è per la società post-incenerimento: anche questo vi divide da Hera.
«Ne parleremo oggi in conferenza stampa, con proposte di breve e medio termine».

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


Scandalo biomasse, in manette Dario Scotti

Il patron del gruppo industriale ai domiciliari.
Manette ai polsi anche per tre funzionari del Gse (Gestore servizi energetici)

da Il Mondo di Pavia
http://www.ilmondodipavia.it/pagina.php?b=QddHzH--qG

Dario Scotti, presidente e amministratore delegato del gruppo industriale Scotti Riso è da questa mattina agli arresti domiciliari. La Guardia forestale e la Dia, su ordine della procura di Milano, hanno dato il via questa mattina a un blitz che ha fatto scattare le manette ai polsi anche ad Andrea Raffaelli, funzionario del Gse (Gestore servizi energetici) di Roma, la società pubblica che ha il compito di gestire gli incentivi per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili; Elio Nicola Ostellino, consulente esterno di Assoelettrica e Nicola Farina, commercialista di fiducia del Gruppo Scotti con studio a Milano. Le accuse: traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni di ente pubblico, frode in pubbliche forniture e corruzione. Al centro dello scandalo, la centrale elettrica della Scotti a Pavia, dove secondo l’accusa al posto delle biomasse venivano bruciati rifiuti di vario tipo, alcuni dei quali classificati come pericolosi. L’operazione di oggi è la seconda tranche di un’indagine partita nell’autunno scorso, che già aveva coinvolto dirigenti e amministratori della Scotti e titolari dei laboratori di analisi a Pavia. L’ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal Gip di Milano, Stefania Donadeo, che ha accolto le richieste del pm Ilda Boccassini controfirmate dal Procuratore capo del capoluogo lombardo, Edmondo Bruti Liberati.



La centrale a biomasse Riso Scotti Energia di Pavia era infatti stata messa sotto sequestro nel novembre scorso, durante l’operazione «dirty energy», coordinata dalla procura della Repubblica di Pavia (diretta dal procuratore capo Gustavo Adolfo Cioppa) e condotte dai sostituti Roberto Valli, Luisa Rossi e Paolo Mazza. Sette persone erano finite agli arresti domiciliari, tra cui il presidente della società, Giorgio Radice, e il direttore dell’impianto, Massimo Magnani, gli indagati nel complesso sono 12. Erano stati sequestrati 40 mezzi ed eseguite 60 perquisizioni in tutta Italia. Secondo le indagini condotte dal Corpo forestale, nell’impianto, insieme alla lolla, si bruciavano anche rifiuti di varia natura (tra cui legno, plastiche, imballaggi e fanghi di depurazione di acque reflue) con concentrazioni di inquinanti (soprattutto metalli pesanti) superiori ai limiti consentiti dalla legge. Un traffico di 40.000 tonnellate di rifiuti urbani e industriali non regolarmente trattati, provenienti da impianti di smaltimento in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Toscana e Puglia. Tutto ciò sarebbe stato possibile grazie ai falsi certificati rilasciati da laboratori di analisi chimiche compiacenti, per un giro d’affari che, secondo le prime stime, si aggira intorno ai 30 milioni di euro, grazie anche agli incentivi statali che questo genere di impianti riceve.
Contestualmente all’esecuzione delle misure cautelari, nell'autunno 2010 erano partite nuove intercettazioni telefoniche, sia per riscontrare le ipotesi di truffa aggravata e di frode in pubbliche forniture, sia per raccogliere nuovi elementi di eventuali corruzioni riconducibili a Riso Scotti Energia nei confronti di funzionari del Gse per ottenere il mantenimento degli incentivi economici. Incentivi che a seguito di una verifica ispettiva erano stati sospesi, tanto che era stata formalmente richiesta alla Riso Scotti Energia la restituzione di 7 milioni di euro. Dalle intercettazioni sarebbe emerso sin da subito il tentativo di Riso Scotti Energia, avallato e sostenuto dalla proprietà, di risolvere in modo favorevole il contenzioso maturato con il Gestore Servizi Energetici attraverso l’intervento di persone amiche, dipendenti e collaboratori della Pubblica Amministrazione, in grado di modificare e annullare le decisioni sfavorevoli assunte dalla società pubblica che dopo l’esplosione dell’inchiesta avevano bloccato la corresponsione dei contributi. La pratica sarebbe stata infatti «sbloccata positivamente», vale a dire che erano stati mantenuti gli incentivi economici di cui era stata in precedenza chiesta la restituzione, grazie all’intervento di Franco Centili, all’epoca dei fatti funzionario del Gestore Servizi Energetici, e, dopo il pensionamento, consulente esterno del Gestore pubblico, in stretto contatto con Nicola Ostellino, consulente in materia energetica, soggetto molto influente.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


lunedì 10 giugno 2013

L'Emilia Romagna che guarda avanti

Parma, Reggio e Forlì insieme per un corretto piano regionale dei rifiuti
La strada da seguire è quella indicata dall'Europa

Giovedì 13 giugno, alle ore 11, presso la Biblioteca Universitaria di Reggio Emilia, si svolgerà la conferenza stampa a cui interverranno il sindaco di Forlì Roberto Balzani, il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, l'Assessore all'ambiente del Comune di Parma Gabriele Folli, Alberto Bellini, docente di UNIMORE e assessore all'ambiente del comune di Forlì, e altri amministratori dei territori che sostengono la proposta.
Una corretta gestione dei rifiuti e la loro trasformazione in risorsa rappresenta il principale passo verso un utilizzo efficiente delle risorse naturali.



L'uso efficiente delle risorse è una priorità per la comunità europea, che è grande importatore di materie prime. Questo tema è ancora più stringente per il nostro paese e la nostra regione.
Infatti, la strategia Europa 2020 propone un “doppio disaccoppiamento” tra il consumo delle risorse e la crescita economica, da un lato, e tra l'utilizzo dalle risorse e gli impatti ambientali, dall’altro.
Il piano regionale di gestione rifiuti della regione Emilia-Romagna, rappresenta una grande opportunità per programmare le azioni e gli strumenti amministrativi necessari a perseguire questi obiettivi.
In particolare, è un crocevia importante per favorire il recupero di materia al recupero di energia nella gestione dei rifiuti.
In questa ottica, è stata elaborata una proposta per il piano regionale gestione rifiuti, coerente con le direttive comunitarie.

Il futuro della nostra regione passa da questi comuni.
Avanti compatti, Gcr li sostiene.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


Trivellazioni, l'oro nero che rende poveri

di Antonio Crispino
Corriere della Sera on line
http://www.corriere.it/inchieste/oro-nero-che-italia-rende-poveri/66d3009e-d108-11e2-9e97-ce3c0eeec8bb.shtml

La Basilicata è la regione più povera d'Italia: dati Istat 2010. La Basilicata ha una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale: dati dell'Associazione Italiana Registro Tumori.
In Basilicata le aziende agricole si sono dimezzate nell'arco di 10 anni: dati Confederazione Italiana Agricoltori. La Basilicata ha un tasso di disoccupazione costantemente in crescita: dati Cgil
«Nella sola Val d'Agri (dove è più intensa l'attività dei petrolieri) ci sono 8 mila persone tra disoccupati e inoccupati». La Basilicata ha oltre 400 siti contaminati dalle attività estrattive: dati della Commissione Bicamerale sul Ciclo dei rifiuti. La Basilicata è ricca di petrolio: dati Eni.



CHI DENUNCIA VA IN GALERA- In Basilicata si sta tentando di salvare l'ambiente da un presunto inquinamento provocato dai pozzi petroliferi. Per questo si va in galera. Ne sa qualcosa Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia Provinciale di Potenza che per aver segnalato una massiccia presenza di idrocarburi nelle acque del lago del Pertusillo, a due passi dal Centro Oli Eni a Viggiano, è stato sospeso dal servizio, dalla paga e dai pubblici uffici per due mesi, sottoposto a un processo e spostato a guardare le statue in un museo.
Non è andata meglio al giornalista e coordinatore dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti che ha pubblicato la notizia dell'inquinamento. I carabinieri gli hanno perquisito casa da cima a fondo. Pochi mesi dopo, in quel lago sono morti centinaia di pesci.

IL TIRA E MOLLA - Di pozzi nella sola Val d'Agri ce ne sono 39, alcuni a pochi metri da una scuola materna o addirittura uno che sovrasta un municipio. Ma quello a cui si assiste è un imbarazzante tira e molla tra chi dice che è tutto a posto e chi invece sventola dati da far rabbrividire. «Abbiamo trovato 6458 mg/l di idrocarburi in quel lago che porta acqua potabile nei rubinetti di Puglia e Basilicata - denuncia Albina Colella, geologa e sedimentologa dell'Università degli Studi della Basilicata -. Su undici campioni di sedimenti, ben sette avevano presenza di idrocarburi superiori al limite di riferimento».
Il responsabile del distretto Meridionale dell'Eni, Ruggero Gheller, smentisce qualsiasi collegamento con le attività estrattive: «I nostri impianti sono chiusi, non c'è alcun rilascio di sostanze all'esterno ma soprattutto ogni pozzo è stato costruito dopo autorizzazioni della Regione e sottoposto a rigidissimi controlli da parte dell'Arpab». Tutto vero. Le strumentazioni non hanno mai rilevato niente di importante. Ma come si è svolto il sistema di controlli in questi anni, ce lo spiega bene il nuovo presidente dell'Arpab, Raffaele Vita, in un fuorionda. A lui hanno affidato la patata bollente dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente dopo un'escalation di arresti. «Qui era come al catasto. Sono entrate persone che facevano tutto un altro mestiere e all'improvviso si sono trovati ad affrontare il tema del petrolio. Li ho trovati a scaricare i film dai computer, ho dovuto mettere le protezioni. Eravamo una massa di improvvisati. E la politica faceva tutt'altro che mettere la barra dritta».

25 ANNI DI ESTRAZIONI - Non è un caso che un certa rete di monitoraggio sia stata attivata solo dal 2011 (per stessa ammissione dell'Eni) mentre il petrolio in Basilicata si estrae da circa 25 anni (risalgono al 1981 le prime ricerche di petrolio in Val d'Agri con il pozzo Costa Molina 1). Anni in cui sono passati sotto silenzio tutta una serie di incidenti e anomalie. Che per l'Eni, però, non si chiamano incidenti ma eventi, cose che possono capitare. «Come la fuoriuscita di migliaia di litri di greggio in un bacino naturale per la raccolta di acque piovane il 17 marzo 2002; la nebulizzazzione di 500 litri di greggio il 06 giugno del 2002; l'immissione in aria di ingenti quantitativi di gas inquinanti il 4 ottobre del 2002» ricorda Bolognetti. Oppure la «misteriosa» intossicazione da idrogeno solforato di 20 operai di un'azienda che si trova proprio di fronte il Centro Oli, per i quali fu necessario contattare il centro anti veleni di Pavia.

«Dovete chiedere a chi in questi anni ha gestito il petrolio in Basilicata come hanno fatto a dare certe autorizzazioni» inveisce il sindaco di Marsicovetere Sergio Claudio Cantiani. E' un medico. Il suo municipio anziché essere sovrastato dal classico campanile, si trova all'ombra di un pozzo di petrolio. «Noi siamo contenti, tutto va bene e andrà ancora meglio quando l'Eni ci pagherà le royalties che ci consentiranno di far fronte ai mancati trasferimenti da parte dello Stato. Per il resto siamo solo vittime delle gestioni precedenti». Andando a vedere chi ha gestito la Basilicata in questi anni, si trovano persone come Filippo Bubbico, presidente della Basilicata dal 2000 al 2005. Nominato tra i dieci saggi del presidente della Repubblica e di recente premiato viceministro del governo Letta, è stato indagato per abuso di ufficio, associazione a delinquere e truffa aggravata e ne è sempre uscito incensurato. Oppure Vincenzo Santochirico, l'assessore all'Ambiente che parlò di «maldestro tentativo di allarmare la popolazione della Basilicata sostenendo che l’acqua destinata ad uso potabile fosse inquinata», promosso prima presidente del Consiglio regionale e poi a grande elettore del Capo dello Stato.

LA STORIA DEL PETROLIO - Ma per capire come è andata la storia del petrolio in Basilicata, basta spulciare la cronaca giudiziaria recente. In quasi dieci anni sono finiti in manette il direttore generale dell'Arpab, il coordinatore provinciale dell'Ente regionale Ambiente, il vicepresidente, tre assessori e un consigliere regionale. Altri otto consiglieri sono stati destinatari di divieto di dimora, mentre sotto inchiesta sono finiti due deputati lucani. E non c'è solo la politica. Nel 2002 sono stati arrestati un maggiore della Guardia di Finanza, un generale dei servizi segreti (Sisde), imprenditori, banchieri, finanzieri. Tutti al centro di inchieste con un unico comune denominatore: il petrolio.

LA DIGA E L'INQUINAMENTO - Al di là di quello che è il balletto dei numeri, siamo andati sulla linea di sbarramento della diga del Pertusillo. A dieci metri di distanza c'è l'impianto che porta queste acque a Bari, Brindisi, Lecce e in parte della Basilicata. Le stesse acque vengono utilizzate in agricoltura. In superficie galleggia un fitto manto marrone, schiumoso e maleodorante. «Non è terreno - ribadisce il tenente Di Bello - Sotto ci saranno almeno altri 60 mt di acqua». Lancia un sasso. Fa fatica ad affondare. Si muove come in una melma, come se fosse petrolio. C'è di tutto, dalle bottiglie di detersivo agli pneumatici. «L'amalgama di tutto sono gli idrocarburi leggeri e i densattivi provenienti dai depuratori che non funzionano». Idrocarburi sono stati trovati anche nel miele delle api. Nessuno osa dire da dove provengano. «Qui nessuno dice che c'è inquinamento. Se vai alla regione ti dicono che è tutto a posto» commenta sconfortata Giovanna Perruolo della Confederazione italiana agricoltori.
Sta di fatto che sui mercati agricoli nazionali i prodotti che vengono da questa parte della Basilicata non li vogliono. «I fagioli di Sarconi erano il nostro vanto, venivano richiesti anche all'estero. Oggi gli agricoltori sono costretti a dire che vengono dalla Cina. Nessuno li vuole perché sospettano la contaminazione». L'elenco delle conseguenze dell'inquinamento è lungo. Parla di animali che non fanno più il latte nelle vicinanze degli impianti petroliferi, vigneti secchi, uva che cresce con una patina d'olio sui chicchi, terreni diventati infruttiferi, pesci che muoiono in massa, pere dal marchio Dop che non coltiva più nessuno. «Ormai ci arrivano solo richieste di pensioni per masse tumorali, l'incidenza delle malattie è altissima». L'Eni paga il 10% di royalties. Il 7% va a Regione ed Enti locali. Il 3% serve a finanziare un bonus benzina di 180 euro l'anno destinata a ogni automobilista della Basilicata. «Peccato che qui il petrolio paradossalmente costa di più che in altre parti d'Italia» rivela Costantino Solimando. Di professione fa la guardia zoofila e appena può va fuori regione a fare benzina. «Il gasolio lo pago 1,60, qui in Val D'Agri è a 1,80. Mi dica lei se non è una presa in giro anche questa».

Antonio Crispino

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR


domenica 9 giugno 2013

L'Italia e l'economia verde

Binomio impossibile?

La green economy nel nostro Paese ha avuto uno sviluppo meramente speculativo.
Ha lasciato analisi e dotti discorsi ad università e ad ambientalisti accademici e si è accaparrata le energie rinnovabili.



Oggi il loro utilizzo è in mano ad investitori grandi e piccoli ed alle mafie, i quali non si preoccupano assolutamente dei danni che possono arrecare all'ambiente ed alla salute dei cittadini.
Puntualmente, infatti, la ricerca di soluzioni innovative si è concentrata sulle tecnologie della combustione: inceneritori di rifiuti, centrali a cippato di legna, centrali ad oli vegetali, ad oli animali, pirogassificatori, quando non addirittura biocombustibili da coltivazioni dedicate il cui effetto è di sottrarre suolo all'alimentazione umana ed animale.
La crisi economica ha fatto da moltiplicatore a tale tendenza trasformandola in dinamica strutturale.
Le amministrazioni locali, dal più piccolo comune fino a Province e Regioni, quando non del tutto escluse dal processo e ridotte a mere esecutrici del dettato governativo, ricalcano tale dinamica convogliando finanziamenti anche europei solo su tagli boschivi industriali ed impianti combustori, invece di puntare ogni euro disponibile sul risparmio energetico, vero volano del coinvolgimento diretto dei cittadini e della ripresa occupazionale nell'edilizia.
Gli incentivi pubblici, erogati dalla Cassa depositi e prestiti attraverso il GSE, vanno a premiare principalmente la cosiddetta cogenerazione fatta da tali inceneritori grandi e piccoli che producono energia elettrica fuori mercato e che il più delle volte disperdono in aria l'energia termica, cioè tanta CO2.
Altresì premiano centinaia di centrali a biogas alimentate non con effettivi scarti agricoli o con reflui di allevamenti animali, ma principalmente con insilati di mangimi vegetali da coltivazioni dedicate il cui effetto è quello di inquinare ulteriormente la Pianura Padana e il mercato dell'affittanza agraria.
Ma non si lesinano soldi nemmeno a quei 35 parchi fotovoltaici, rigorosamente a terra, voluti dalla Provincia di Parma col suo project-financing "Fotovoltaico insieme". Soldi che, curiosamente, non finiscono nelle casse dei comuni, ma in pancia a finanziarie e a ditte costruttrici.
Un fotovoltaico che, mentre in Germania è sui tetti dei cittadini remunerandoli, nella nostra provincia occupa centinaia di ettari di suolo agricolo remunerando banche e finanziarie.
Se gli incentivi sostanzialmente premiano la speculazione, le normative le spalancano la porta accontentandosi di limiti di emissioni solo formali, cartacei e per di più autocertificati, mai realmente controllati dagli organi preposti.
Ma, soprattutto, nessuna normativa vigente prevede la cumulabilità delle emissioni in essere con lo stato dell'inquinamento già esistente, quasi che nessun ente autorizzante sapesse che l'aria della Pianura Padana è un coacervo di inquinanti, impregnata di polveri sottili e di ossidi di azoto.
Oggi la UE arriva a bocciare i cogeneratori a biomassa nel nostro paese dove la direttiva aria risulti violata, cioè in aree che già superano i valori limite, tipo il cogeneratore Citterio nel Comune di Felino. Le province dell'Emilia Romagna si pronunciano per una soluzione diversa dall'incenerimento dei rifiuti, tutte tranne la Provincia di Parma, tranne Bernazzoli che deve difendere il suo accordo con Iren e l'inceneritore di Ugozzolo.
La stessa giunta comunale di Langhirano si pronuncia contro la combustione di biomasse sul suo territorio.
Mentre nel Paes approvato dal comune di Felino è dato risalto al cogeneratore a grasso animale di Citterio, nel Paes di Sala Baganza, furbescamente, non se ne fa parola, si menzionano solo impianti a biogas e la produzione di biometano.
Evidentemente, non è vero quello che affermano amministratori sia di destra che di sinistra, che le normative vanno solo applicate.
Possono, al contrario, essere valutate e, se il caso, messe in discussione.
Gli amministratori sono eletti dai cittadini, sono i loro rappresentanti nelle istituzioni. Quando dubitano dell'efficacia di una normativa debbono sottoporla al vaglio della cittadinanza, debbono opporvisi quali interpreti del principio di precauzione.
Nella realtà, tale ruolo di opposizione, di contrasto alla speculazione lo stanno assumendo i comitati spontanei di cittadini.
Sono ormai centinaia ed è ridicolo considerarli come conseguenza dell'effetto Nimby, del fatto che i cittadini non vogliano tali impianti solo perché vicini a casa loro.
Il loro impegno e la loro dedizione li qualifica come un nuovo movimento di lotta civile per la difesa della salute e del territorio.
Perché il vero tema in discussione, oltre alla salute dei cittadini, è quello delle risorse naturali.
La green economy, la speculazione sulle energie rinnovabili, tenderà ad appropriarsi di tutte le risorse naturali consumandole: acqua, aria, suolo e patrimonio boschivo.
Nessun limite sarà rispettato.
Dalla privatizzazione dell'acqua all'inquinamento delle falde acquifere per lo spargimento selvaggio delle deiezioni animali o dei digestati.
Dall'ulteriore inquinamento dell'aria con inceneritori tipo Citterio in zone che già superano i valori limite alla risalita dell'inquinamento su per le valli montane con l'introduzione di centrali a cippato di legna.
Dalla continua distruzione di suolo agricolo con la cementificazione in atto nei paesi della pedemontana, quegli stessi che si definiscono "comuni virtuosi", all'occupazione di centinaia di ettari di suolo agricolo da parte dei parchi fotovoltaici a terra in ogni comune della provincia.
Dal taglio boschivo selvaggio ed indiscriminato dovuto alla speculazione sulla legna da ardere al taglio industriale per la cosiddetta "pulizia dei boschi", finalizzato in realtà a costruire un mercato del cippato di legna per le centrali medesime.
E' possibile uno sviluppo alternativo delle energie rinnovabili?
Certo, a patto che non si consumino risorse naturali ma le si valorizzino.
Impianti a biogas di piccola taglia che utilizzino effettivi scarti agricoli, deiezioni degli allevamenti e scarti dell'agroalimentare per produrre biometano.
Impianti fotovoltaici comunali sui tetti delle case coinvolgendo i cittadini.
Impianti solari termici collegati alla ristrutturazione delle case.
Sviluppo edilizio di sola ristrutturazione dell'esistente volto principalmente al risparmio energetico.
Ristrutturazione dei borghi di montagna all'insegna del risparmio energetico per lo sviluppo di una
ricezione turistica diffusa ed accogliente.
Prima di tutto serve la volontà di andare in una certa direzione.
I nostri amministratori ce l'hanno?

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
9 giugno 2013

www.reteambienteparma.org - info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave allamianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorseno cava le predelle
associazione per l'informazione ambientale a san secondo parmense

comitato associazione giarola e vaestano per il territorio - no cogeneratore a olio animale al poggio