sabato 25 febbraio 2012

San Bartolomeo ha fatto 13

Benvenuto Commissario

Benvenuto Commissario, benvenuto a Parma, terra di eccellenze e di eccellenti sprechi.
Perché noi a Parma abbiamo tanto, ma talmente tanto, che ci permettiamo di sprecare, di sprecare tanto.
Noi le cose siamo abituati a farle così, con grandeur.
Perché nel bene e nel male la nostra inflessione francese emerge, e ci sentiamo un po' parte del regno del re Sole, oltr'Alpe.



Noi siamo più vicini a Napoleone che a Garibaldi.
Mancano le micchette? Mangiamo brioche.
Noi cerchiamo sempre di migliorare, così i cassonetti cerchiamo di riempirli al meglio, di farli proprio straripare di merce, tutta di qualità ovviamente.
Platò di cartone appena sfornati, senza una macchia.
Cassette di plastica lustre e linde, e cassette di legno fresche e profumate di compensato.
E tanto organico naturalmente, tanto cibo scartato in abbondanza, per fare un bel ragù completo e corroborante.
In piazzale San Bartolomeo ancora una volta la scena si ripete, come ogni mercoledì, come ogni sabato.
In teoria si ricicla tutto, al 99% dicevano in trasmissione il fu presidente Allodi e l'ingegner Ferrari, ma in pratica questi cassonetti enormi servono a caricare la bocca del forno.
In teoria il comune di Parma ha realizzato un progetto di recupero puntuale di questi materiali, in modo ovviamente separato per genere, visto che il Conai paga profumatamente i comuni che riciclano correttamente.
In pratica l'occhio della telecamera può assorbire ogni dettaglio del contrasto evidente tra il dire e il fare, basta un giro nei piazzali di tutti i mercati della città, a scelta.
Perché il dire è facile: ci si presenta con il sorriso delle grandi occasioni, si sciorinano quattro cifre che tanto si sa già che verranno disattese, la stampa pubblica e il gioco è fatto.
Una bella figura senza troppa fatica.
Poi il fare è ben diverso ma tranquillizzante: si continua esattamente come prima, pronti a darsi la colpa al primo e secondo mugugno dei cittadini, tirando a campare, con ben chiaro l'obiettivo, quello di rimpinzare il forno e il portafoglio, che male non fa.
Tredici articoli fa iniziammo questa rubbish opera, e le puntate sono davvero infinite.
Benvenuto a Parma, commissario Ciclosi.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 25 febbraio 2012

Sono passati
635 giorni
dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

Mancherebbero
71 giorni
all'accensione del forno, se ancora lo si farà

venerdì 24 febbraio 2012

Il risparmio del riciclo

Quando non è possibile ridurre o riutilizzare, riciclare. Mai bruciare.
Tutto ciò che per noi rappresenta scarto e oggetto da gettar via, potrebbe essere invece un elemento utile ad un'altra famiglia della nostra città.
Sta tutto qui il trucco del riuso e del riciclo.
L'Environmental Protection Agency ha verificato che il riciclaggio ha evitato negli Stati Uniti che oltre 72 milioni di tonnellate di rifiuti arrivassero alle discariche, e solo nel 2003.



Inoltre il mercato dei riuso e del riciclo crea milioni di posti di lavoro, riduce i gas a effetto serra, stimola il risparmio energetico e delle risorse naturali e riduce l'inquinamento.
Tanti oggetti, che non possono essere riutilizzati, vengono riciclati attraverso una filiera che mantiene inalterato il valore energetico della materia.
Molte amministrazioni locali hanno da anni implementato sistemi di raccolta dei materiali riciclabili, raccolti più volte alla settimana dalle case dei cittadini, che devono saper separare in modo corretto il singolo materiale per favorire un suo riciclo senza sprechi.
Un tipico esempio di scarto non alimentare riciclabile sono giornali, riviste, scatole di cartone, buste, rubriche telefoniche, pagine gialle, carta per stampanti (suggerimento: usare entrambi i lati prima), posta indesiderata, contenitori per liquidi ed acqua, bottiglie e vasetti di vetro, lattine di metallo e fogli di alluminio.
Non di semplice recupero il tetrapack, materiale utilizzato per cartoni del latte e succhi, yogurt e altri contenitori per alimenti.
La spesa al supermercato ormai la si fa con borse riutilizzabili.
E frustrante osservare che la tecnologia sembra avere sviluppato in origine oggetti che hanno una sorta di data di sostituzione, una specie di data di scadenza, come succede nei cibi freschi.
Quando sul nostro computer appare la triste schermata blu vuota, o la stampante si inceppa, o la televisione ci rimanda un'immagine permanentemente confusa, o il telefono cellulare cade e va in mille pezzi, sarebbe il caso proprio di riparare, prima di sostituire tutto.
I prodotti elettronici contengono elementi come il piombo, mercurio e cadmio, che possono trasformare una discarica in un lazzaretto.
Molti negozi e alcuni associazioni di volontariato si occupano del recupero e del riciclo dei materiali elettronici. In genere le città hanno il loro centro di raccolta.
Alcuni scarti elettronici e tecnologici sono davvero pericolosi, come i vecchi toner e cartucce, che però possono essere riutilizzate e riempite di nuovo di inchiostro.
Tutte le tecnologie che riteniamo obsolete possono non esserlo per organizzazioni di volontariato o scuole carenti di di questi oggetti.
Mobili, elettrodomestici e abbigliamento possono essere datati e superati, ma possono avere ancora un sacco di vita davanti. Se l'abbigliamento non è logoro, una volta lavato può essere inserito nelle campane di raccolta e donato a chi ne ha bisogno.
È possibile creare un sistema di riciclaggio di scambio per i vestiti dei bambini con gli amici vicini, la famiglia o la scuola. I mobili possono andare a rivenditori di beneficenza.
Il legno non trattato e alcuni tessuti potrebbero anche trasformarsi in compost.
Alcuni prodotti sono molto tossici e devono essere smaltiti correttamente. Pesticidi, prodotti per la pulizia aggressivi, vernici di scarto, i lubrificanti auto come l'olio vecchio motore, batterie e persino
alcuni lampadine bisogno di un trattamento speciale.
Insomma ogni oggetto ha un suo destino ottimale, anche a fine vita.
E il tema del riciclo è al centro dell'oggi.
C'è tutto un mondo dentro il riciclo, un mondo ancora tutto da scoprire, uno scrigno di ricchezza.
Da non gettar via.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 24 febbraio 2012

Sono passati
634 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

Mancherebbero
72 giorni all'accensione del forno, se ancora lo si farà

giovedì 23 febbraio 2012

Sussurri e grida

L'inceneritore di Parma tra consapevolezze e timori

Possiamo ben dire di avere incamerato in questi anni una lunga a variegata serie di appuntamenti.
Con molte e diverse persone in qualche modo intrecciate ai destini della città.



Associazioni, partiti, sindacati, candidati, politici, dirigenti, industriali, imprenditori, avvocati, professionisti, medici.
Non lo diciamo per vanagloria, ma per sottolineare come Gcr stia impegnandosi, ormai da 6 anni, in una azione a 360 gradi che ha un unico obiettivo, spegnere il forno, prima che lo accendano, mai rinunciando al dialogo.
L'incontro franco e schietto ci ha permesso di argomentare le nostre tesi e rispondere a dubbi e perplessità dai nostri interlocutori.
La maggior parte delle persone è ovviamente sincera e non si tira indietro quando l'evidenza, dopo scambi serrati, emerge nitida alla luce del vero.
Siamo così arrivati alla conclusione che le persone libere, quando hanno voluto approfondire il tema, alla fine siano arrivate alle nostre stesse conclusioni.
Che sono, in estrema sintesi: l'inceneritore fa male, costruirlo nella food valley ed a un passo dall'eccellenza del made in Parma è pura follia. E che c'è un'alternativa.
Ci siamo però resi conto che a questa consapevolezza è spesso seguita un'altra considerazione, sempre uguale nonostante il cambio di persone.
“Ho capito e sono cosciente dei rischi, ma non lo posso dire”.
Così il fantasma mitico dei “poteri forti” si concretizza ogni volta uguale davanti ai nostri occhi.
Così emerge nitida la censura, perché bisogna pur chiamare le cose con il loro nome, che impone addirittura ai cronisti di non menzionare termini rivoluzionari come “inceneritore”, o fa sottoscrivere ai candidati road maps stampate con inchiostro indelebile.
Anche pochi giorni fa il fantasma del forno ha aleggiato a lungo sul nostro ennesimo tête-à-tête.
Davanti avevamo una persona schietta e degna, che ci ha confessato il suo timore: “Se parlo di certi argomenti il mio futuro è segnato”.
I club altolocati dettano i tempi della città, i suoi primi cittadini, cercando sempre di porsi dietro gli stipiti, oscuramente presenti, ma apparentemente assenti.
In questo particolare caso però, quello dell'inceneritore che sorge in queste ore a Ugozzolo, la scelta si è rivelata clamorosamente sbagliata.
Chi oggi infatti, di fronte ad una industria insalubre così definita per legge, di fronte ai risultati di una raccolta differenziata che può attestarsi tranquillamente all'80%, di fronte ai rischi economici per l'immagine di Parma, per i prodotti Dop e Doc, sceglierebbe di proseguire su una strada così fuori tempo?
E' evidente che ci sia imbarazzo.
La scelta dell'inceneritore a Ugozzolo è un clamoroso autogol.
Che si farà fatica estrema a nascondere, visto che il forno diverrà lo skyline di Parma per i milioni di automobilisti di passaggio sulla Sole.
Cosa stanno pensando oggi dalle parti di Chiesi, Barilla, Greci, Ikea, Althea?
Cosa rimuginano i consorzi del parmigiano reggiano, quelli del prosciutto di parma, quelli dei vini dei colli, cosa aleggia sui contadini che hanno campi coltivati nelle vicinanze, stalle vocate al grana, caseifici che ogni giorno mescolano latte e caglio per soddisfare i palati di mezzo mondo?
Tutti sanno, tutti sommessamente brontolano preoccupati, nessuno parla.
Nessuno col coraggio di parlare chiaro e fare proposte alternative, che salvino il nostro territorio da un futuro nero.
Nessun grido e tanti sussurri.
E' la solita Parma sonnacchiosa sui cuscini ducali, che sospira e geme, e mai emerge con fierezza e vigore, per prendere il toro per le corna, affrontando la realtà con un po' di coraggio.
Quanto siamo stufi dei timorosi, quanto avremmo bisogno di stoffa buona.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 23 febbraio 2012

Sono passati
633 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

Mancherebbero
73 giorni all'accensione del forno, se ancora lo si farà

mercoledì 22 febbraio 2012

Eran rifiuti, ora son biciclette

L'idea è semplice e rivoluzionaria al tempo stesso e testimonia quale ricchezza si nasconda dentro i mucchi di rifiuti che tanto spaventano gli occidentali.
In Brasile l'artista inventore Juan Muzzi, uruguaiano trapiantato nel grande Stato sudamericano da 40 anni, ha dato vita ad un progetto che sta avendo grande successo in Sud America e che vedrà nascere presto ulteriori sviluppi.



Pet, polipropilene, nylon, abs gli ingredienti riciclati che vanno a comporre le Muzzi Cycles, biciclette urbane da strada senza saldature ne vernici, vendute su Internet al prezzo di 140 dollari.
E se l'inizio, la fase di ricerca dei finanziatori, è stato davvero faticoso, ora la fabbrica produce a pieno ritmo biciclette low cost, riciclate al 100%, che sono generate a partire proprio da quei rifiuti che a Parma vogliamo bruciare nel forno di Ugozzolo, mentre in Brasile ci corrono su due ruote.
“Mi dicevano” racconta Muzzi “E' una buona idea, per la Germania o gli Stati Uniti, ma non per il Brasile”. Ma non si è dato per vinto e finalmente lo spiraglio; un finanziamento del Banco Uruguaiano, che gli ha permesso di aprire la produzione.
Da una montagna di rifiuti, biciclette. Il prezzo delle Muzzi cycles copre i costi di produzione senza generare utili e il geniale artista inventore sta già pensando al futuro. Come migliorare il progetto per ottenere modelli ancora più leggeri e maneggevoli e sempre più economiche.
Dal letame nascono fior recitava uno dei nostri artisti di sempre.
Sembra davvero così.
http://www.muzzicycles.com.br/

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 22 febbraio 2012

Sono passati
632 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

Mancherebbero
74 giorni all'accensione del forno, se ancora lo si farà

Biomasse, come bruciare il nostro futuro

L'ambiente si interfaccia all'economia. E' sempre stato così, ma ora che lo sviluppo produttivo ha raggiunto i confini del mondo non c'è più un altrove da cui continuare a prelevare risorse gratis e senza evidenti conseguenze.
Ogni aspetto del processo produttivo non può far a meno di consumare risorse in modo sempre più accelerato, sottraendole all'ambiente anche qui da noi e finendo coll'impoverirlo sempre più, se non addirittura con l'avvelenarlo.



Tale giustapposizione è ancora più evidente da quando il sistema produttivo si è buttato sulle risorse rinnovabili per ricavarne energia, sulle biomasse in particolare.
I campi e i coltivi alimentari sono rimaneggiati per far posto alle coltivazioni energetiche: cereali per la produzione di etanolo; piante oleaginose (colza e soia) per ricavare biodiesel; insilato di mais,
sorgo erbaceo e pioppeti biennali per alimentare inceneritori per la produzione di energia elettrica.
I boschi, che la Comunità Europea dichiara patrimonio intoccabile, vengono diradati per alimentare il mercato della legna da ardere, il mercato del pellet e quello del cippato con cui alimentare inceneritori termoelettrici.
Perfino le biomasse animali non sfuggono a tale predazione.
Per il sistema agroindustriale è molto più conveniente bruciare scarti di macellazione da cui ricavare elettricità e incentivi pubblici che non produrre mangimi.
Produrre sta diventando secondario. Principale è far soldi, accrescere il budget finanziario.
Rossano Ercolini, di Ambientefuturo, ha stilato una lista di centrali a biomassa per produrre elettricità che costellano tutto il nostro paese, ma che hanno infarcito in modo particolare la Puglia e la Calabria.
Centrali funzionanti a Cutro, Rossano,Laino, Strongoli,Crotone, Rende (in Calabria) per più di 1.200.000 tonnellate di biomasse bruciate.
A Casarano, Monopoli, Massafra, Molfetta, Manfredonia( in Puglia) per più di 700.000 tonnellate di biomasse bruciate.
Tutte di proprietà di aziende del Nord o straniere, come Enel, Maccaferri, Eridania, attirate dalla massa di soldi facili degli incentivi.
Ma altre decine di progetti di centrali tra i 10 e i 50 Mw sono già presentati ai comuni del Sud per la Via, per bruciare olio di palma e scarti di legname da deforestazione fatti arrivare da oltreoceano via nave nei porti di Taranto e Crotone.
Pare proprio che il Pdl abbia spianato la strada a Confindustria per l'accaparramento degli incentivi pubblici, i certificati verdi, i soldi delle nostre bollette.
Anche al Nord sono sorte centrali a biomassa di grossa taglia, tipo quella da 38 Mw a Brunico, ma quasi tutte sono concentrate in Alto Adige e in Trentino.
Sono nate per bruciare scarti di segheria (segatura) e ricavarne calore ad uso industriale o da riscaldamento, come quasi tutte quelle presenti nei paesi alpini o nella scandinavia.
Ma dopo gli accordi di Kyoto (1997) e la loro adozione da parte della Comunità Europea (2002), gli stati le hanno dotate di incentivi per produrre energia elettrica.
Da allora fanno cogenerazione, cioè producono anche energia elettrica.
Hanno raggiunto una potenza complessiva di 150 Mw e bruciano circa 250.000 tonnellate di cippato annue. Ma quasi niente viene dal taglio dei boschi, se non segatura dal taglio dell'industria del legno che importa anche molto legname dall'estero.
Il resto del cippato viene dall'Appennino o addirittura da Rotterdam via nave. Così le abetaie non
vengono tagliate e il preziosissimo turismo non ne risente. I soldi ricavati li hanno investiti nel teleriscaldamento recuperando il calore prodotto nelle centrali e sostituendo così il gasolio da riscaldamento.
Furbi, hanno messo soldi anche nei filtri, non limitandosi a quelli meccanici a ciclone, ma introducendo quelli a maniche ed elettrostatici, molto più costosi, per ovviare il più possibile alle emissioni nocive.
Hanno potuto farlo perchè, come afferma Federico Valerio, le centrali a cogenerazione diventano economiche sopra i 20 Mw, quando il loro rendimento diventa più efficiente.
Sulla base dell'esperienza dell'Alto Adige, Spinelli e Seknus, rispettivamente del Cnr e dell'università di Friburgo, hanno fatto una ricerca nel Nord-est per cercare di costruire un mercato del cippato che permettesse l'approvvigionamento di centrali per il teleriscaldamento.
La conclusione cui sono giunti è che il mercato della legna da ardere è più conveniente di quello del cippato, per cui sarebbe necessario far nascere da zero delle cooperative di taglio industriale che, oltre al tondame, fossero in grado di utilizzare anche le ramaglie e i cimali, in pratica tutto quello che i boscaioli lasciano sul posto a marcire.
In pratica, secondo loro, le regioni dovrebbero finanziare tali cooperative dotandole di harwester a bracci allungabili per il taglio a pianta intera, di trattori con rimorchi e di cippatrici. Strumenti che
permetterebbero loro di fare il taglio industriale. Questo consisterebbe nel diradamento al 50% dei boschi, ricavando circa 50 tonnellate per ettaro.
Attualmente i boscaioli applicano il taglio raso nel ceduo con rilascio di matricine ed ottengono circa 100 t. per ettaro.
Costoro teorizzano che i boschi delle Prealpi e dell'Appennino potrebbero essere dimagriti del 50% per dar vita a piccole centrali sotto il Mw, a filiera corta, per produrre teleriscaldamento ed elettricità.
Il Pd del Piemonte ha adottato in pieno tale studio, formulando nel 2009 il progetto Bresso che prevedeva il diradamento dei boschi per alimentare decine di centrali a cogenerazione a filiera corta per produrre da biomasse almeno il 10% dell'energia necessaria alla Regione.
Il WWF si oppose fermamente.
La regione Toscana, l'Emilia Romagna e il Pd seguono la stessa strada dei finanziamenti per sviluppare il taglio industriale, il diradamento dei boschi e la costruzione di un mercato del cippato.
Parlano, però, solo di filiera corta e di centrali per il teleriscaldamento.
Certo che, a differenza dei paesi prealpini popolosi e con un'industria turistica fiorente, il teleriscaldamento in borghi appenninici semiabbandonati sembra proprio un controsenso: 3/4 delle
case sono chiuse quasi tutto l'anno e la gente ha la legna da bruciare gratis.
Eppure ne vogliono costruire a decine.
Proprio Dall'Olio, il competitor di Bernazzoli alle primarie del Pd a Parma è quello che in un documento della Provincia afferma che nella nostra montagna se ne potrebbero costruire una trentina.
Finanziate coi fondi FAS (fondi aree sottoutilizzate : 3/4 dalla UE e 1/4 dalla Regione), tali centrali si stanno diffondendo nei paesi quasi vuoti della montagna.
Sono considerate virtuose perché non si propongono di fare cogenerazione per produrre anche energia elettrica e quindi non accedono agli incentivi per trarne profitto.
Sono considerate sostenibili perché a filiera corta (rifornite nell'ambito locale, massimo 70 Km).
In realtà sono antieconomiche, inquinanti e non producono lavoro.
Ne sono una prova le 3 centrali funzionanti nella nostra montagna.
In quella di Borgotaro-ospedale (700 Kw, costo 500.000 euro) hanno dovuto smettere di bruciare cippato fresco perché bruciava male, aveva un basso rendimento calorifico e produceva grandi quantità di fumo e di ceneri.
Hanno dovuto rifornirsi di cippato di legna stagionata (meno umida) e ricorrere alla centrale a metano, ancora esistente nell'ospedale, per abbattere i bassi termici di quella a cippato ed evitare così di appestare l'aria di un ospedale.
In quella di Monchio (923 Kw, costo 650.000 euro) hanno già speso altri 100.000 euro in teleriscaldamento (costo 500 euro al metro) solo per allacciare 5 edifici comunali.
Funziona solo al 20% della sua capacità e brucia il 50% in più di cippato perché l'umidità di questo ne abbassa il rendimento e ne aumenta di molto le emissioni e le ceneri.
Queste arrivano in pratica al 5% della massa bruciata ( 150 q. su 3.000 q.).
Dove smaltirle? Nei boschi, naturalmente. Ma in un ettaro di bosco, stando alla normativa, ce ne possono andare solo 8 o 10 q. e poi per 30 anni non se ne parla più.
Finirà che riempiranno i boschi di cenere, che non è solo composta di K, Ca e Mg, macroelementi della fertilità, ma anche di metalli pesanti in quantità tossica per il sottobosco.
Nella centrale di Palanzano (700 Kw, suddivisa in 2 caldaie da 350 Kw, costo 426.000 euro) di fronte agli stessi problemi di Monchio nel bruciare cippato fresco (50% di umidità, con forti emissioni nocive e grosse quantità di ceneri) hanno pensato di bruciare pellet di provata
tracciabilità (10% di umidità e dieci volte in meno di emissioni e ceneri).
A quel punto devono essersi anche detti che la centrale era inutile e costosa.
Sarebbe bastato dotare i 5 edifici di caldaie automatiche a pellet da 60 Kw di potenza, capaci di riscaldare fino ad 800 m2 di superficie e dal costo di 36.000 euro (Iva e installazione comprese), detraibili al 55% in 10 anni.
In tal modo il costo reale di ognuna di loro sarebbe stato di 16.000 euro e quello complessivo di 80.000.
In sostanza, la centrale di Borgotaro, pur inquinante e fuori luogo all'interno di un ospedale, dal punto di vista della combustione del cippato costituisce un'anomalia irripetibile e costosa.
La centrale di Palanzano ha dimostrato che bruciare cippato fresco ricavato dal taglio industriale a pianta intera è un'assurdità in termini di rendimento e di emissioni, al punto da ridursi a bruciare
pellet, combustibile costoso e tipico delle caldaie famigliari.
La centrale di Monchio, con il suo basso rendimento, le emissioni nocive e l'alta percentuale in peso di ceneri costituisce l'effettivo prototipo di resa delle altre quattro centrali di cui è già stato stanziato il finanziamento nella nostra provincia: Neviano, Calestano, Berceto e Varano Melegari.
L'impressione è che questi inceneritori costosi e sottoutilizzati finiranno per fare anche cogenerazione.
Una volta installati e fallito il collegamento del teleriscaldamento coi privati, le amministrazioni
diranno che è uno spreco non ricavare anche energia elettrica e stupido non intascare i soldi degli incentivi.
A quel punto, però, il problema emissioni nocive e volume di ceneri diventerà molto più grosso.
Infatti il rendimento delle centrali nel fare cogenerazione è così basso (15-18%) che occorrerà bruciare 5 volte più cippato che non per produrre solo calore.
Occorrerà, come del resto era stato preventivato in Piemonte, un diradamento massiccio dei boschi, già fortemente intaccati dalla speculazione della legna da ardere.
Le centrali a biomassa del nostro Appennino diventeranno così un'ulteriore fattore di degrado della montagna, contribuendo al rimaneggiamento dei boschi, al consumo di acqua (raffreddamento delle caldaie), all'infertilità dei suoli (ceneri), all'inquinamento dell'aria.
Il tutto senza minimamente creare occupazione o traino per la già disastrata economia locale.
Soldi buttati, che andrebbero diversamente investiti nella ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico e per lo sviluppo turistico di qualità.

Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma
22 febbraio 2012
www.reteambienteparma.org - info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - circolo valbaganza - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave all’amianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorse – no cava le predelle –
associazione per l'informazione ambientale a san secondo parmense

martedì 21 febbraio 2012

Tutto quello che avreste voluto sapere

Tutto quello che avreste voluto sapere
sugli inceneritori
(ma che non avete mai osato chiedere)

Sono passati ormai 6 anni da quando GCR segue la vicenda dell’inceneritore di Ugozzolo, e più in generale la problematica dei rifiuti nella nostra provincia. Anni in cui ci siamo documentati attraverso la rete, lo scambio di informazioni ed anche grazie al contributo di esperti di livello internazionale che sono passati per Parma in questo periodo.



Spesso ci capita di ricevere richieste di chiarimenti da semplici cittadini ma anche da amministratori locali, che speranzosi ci chiedono la ricetta giusta per gestire i rifiuti in maniera corretta, alternativa alla combustione.
Questi sono alcuni dei motivi che ci hanno spinto a collezionare le domande più frequenti sul tema, mettendo in file risposte e considerazioni sul tema.
Le Faq su incenerimento e inceneritore saranno a disposizione anche on line sui siti della nostra associazione, per dare modo davvero a tutti di acquisire un po' di conoscenza approfondita sul tema più dibattuto in città negli ultimi anni.
Un inceneritore che cresce ogni giorno a Ugozzolo deve essere capito anche nelle conseguenze che porterà con sé una volta acceso.
La migliore medicina per superare questa fase è quella di informarci accuratamente su tutto ciò che riguarda gli impianti di incenerimento.
Se li conosci li eviti, se ti accontenti della propaganda puoi continuare a dormire sonni tranquilli.
L'inceneritore non è la soluzione del problema dei rifiuti, ma anzi è un sistema per complicare ulteriormente le cose.
L'inceneritore trasforma i rifiuti in sostanze instabili e pericolose che se ne escono dal camino e vanno a zonzo per le nostre terre. Le ceneri che produce vanno da qualche parte smaltite e sono ben più pericolose dei materiali in entrata.
Davanti a noi c'è un'Italia che sta cambiando, un'Europa che indica la strada senza tentennamenti, gli inceneritori sono considerati un inciampi del passato, da dimenticare il più presto possibile.
Noi vorremmo che tutti i cittadini di Parma, giornalisti inclusi, potessero ragionare sui rifiuti con cognizione di causa, prendendo una posizione convinta, sulla base delle informazioni che sono state raccolte e digerite.
Ci affidiamo, forse immodestamente, alla verità.
La verità non ha toni di grigio, ne sogna camini termali.

Le faq on line: http://issuu.com/rifiutizeroparma/docs/inceneritore-domandefrequenti

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 21 febbraio 2012

Sono passati
631 giorni
dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

Mancherebbero
75 giorni
all'accensione del forno, se ancora lo si farà

lunedì 20 febbraio 2012

Quando il comandante sbaglia, la nave affonda

L'intervento dell'oncologo Ruggero Ridolfi

Quando è il comandante a sbagliare, la nave affonda, l’aereo precipita, la strategia è inadeguata e la guerra si perde.
I comandanti possono sbagliare in buona fede, per imperizia, per incapacità per leggerezza, per presunzione o per “secondi fini”, resta il fatto che quando si coinvolgono le vite altrui il danno è irreparabile.



Nei racconti di storia troviamo guerre in cui i generali hanno mandato al massacro migliaia di uomini con equipaggiamenti inadeguati, con armi improprie e soprattutto con strategie completamente sbagliate.
Nel passato, per ignoranza e talora per presunzione, si sono combattute epidemie con esorcismi, terremoti con processioni, malattie con pratiche esoteriche. Poi, con l’evolversi delle conoscenze, i generali hanno avuto a disposizione armi sempre più potenti, i medici hanno avuto farmaci per combattere le malattie, si sono evolute le strategie per fronteggiare le calamità.
Ora in Occidente i grandi terremoti provocano grandi paure, ma pochissimi morti, perché le costruzioni anche le più ardite sono effettuate preventivamente, e per legge, con sistemi antisismici.
I grandi successi della Medicina, con la scomparsa delle storiche “pestilenze”, sono dovuti non tanto e non solo ai farmaci (antibiotici) che ne uccidono i germi responsabili, ma soprattutto per il diffondersi del concetto di igiene che, anche per legge, costringe ad una prevenzione assoluta delle epidemie.
Esiste, però, ancora un flagello, che colpisce la gran parte della popolazione , anche nei Paesi più sviluppati, ed ha un nome preciso, cancro.
Il 4 Febbraio si è celebrata a livello internazionale la “Giornata mondiale contro il cancro”.
Sul sito
http://www.edott.it/Specialisti/SanitaQuotidiana/01-02-2012/Sabato-e-la-Giornata-mondiale-contro-il-cancro.aspx
si legge: “Per sconfiggere il cancro bisogna avviare o rafforzare le politiche e la programmazione in campo oncologico, ridurre l'esposizione individuale ai fattori di rischio, potenziare l'accesso ai servizi di prevenzione, diagnosi, cura, palliazione e riabilitazione così come quello ai farmaci, alla diagnostica e alla radioterapia. La ricerca intanto continua a investigare tutti i campi possibili a caccia di una terapia…”.
La strategia dei generali continua ad investire risorse, tante risorse, praticamente solo per la terapia e la diagnosi precoce.
E’ come affidarsi solo ai farmaci, antibiotici ed aspirine, per combattere le epidemie, tralasciando le norme igieniche.
E’ come cercare nuovi e più raffinati metodi per trovare sopravvissuti sotto le macerie di un terremoto, senza obbligare a costruire edifici con criteri antisismici.
In una lettera pubblicata nel 2005 Samuel S. Epstein dell’Università di Chicago paragonò la guerra contro il cancro a quella contro l’Iraq, constatando che entrambe sono condotte “in modo sorprendentemente maldestro ed ingannevole".
Proseguiva Epstein: “L’incidenza dei tumori – in particolare della mammella, dei testicoli, della tiroide, nonché i mielomi e i linfomi, in particolare nei bambini – che non possono essere messi in relazione con il fumo di sigaretta, hanno raggiunto proporzioni epidemiche. C’è una forte evidenza scientifica che questa moderna epidemia sia dovuta all’esposizione a cancerogeni industriali in tutti gli ambienti – aria, acqua, suolo. I nostri generali del cancro hanno abbracciato la strategia del “controllo del danno”, simile al trattamento dei soldati feriti, invece di cercar di impedire l’avanzata del nemico”.
Sia ben chiaro, è lodevole investire per migliorare le cure e la diagnosi precoce, così come è apprezzabile che la sopravvivenza delle persone colpite da tumore sia in progressivo aumento, ma è necessario un cambio di strategia.
Ai comandanti a livello sovranazionale necessita una svolta.
Senza investire in una seria prevenzione primaria, che coinvolga il controllo ed il rispetto dell’ambiente, dell’aria, dell’acqua e del cibo, si possono vincere alcune battaglie, si limitano forse i danni, ma la guerra contro il cancro non si vince.
Bisogna decidere l'obiettivo.
Davvero puntiamo alla salute?

Ruggero Ridolfi - Oncologo, ISDE Forlì

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 20 febbraio 2012

Sono passati
630 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

Mancherebbero
76 giorni all'accensione del forno, se ancora lo si farà

domenica 19 febbraio 2012

Diossine, assassine vaganti

Il rapporto Us Epa abbassa ancora la soglia di rischio
Le diossine sono una classe di composti organici aromatici clorurati con una struttura complessa e stabile.
Nella terminologia corrente il termine diossina è spesso usato come sinonimo di TCDD, ma si conoscono 210 tipi diversi tra diossine (73 tipi) e furani, strettamente correlati per caratteristiche e tossicità.



La TCDD allo stato cristallino è una sostanza solida inodore, di colore bianco, con punto di fusione di 307°C, termostabile fino a 800°C, liposolubile, resistente ad acidi ed alcali.
È chimicamente degradabile in pochi giorni dalla radiazione solare ultravioletta in presenza di donatori di ioni idrogeno (ad esempio a contatto con il fogliame verde delle piante): se invece viene dilavata nel terreno, si lega al materiale organico ivi presente e viene degradata molto lentamente, nell’arco di parecchi mesi o anni.
Le diossine non esistono pure in natura ma vengono generate come sottoprodotti non voluti di numerosi processi di produzione, utilizzazione e smaltimento del cloro e dei suoi derivati. Le emissioni industriali di diossine possono essere trasportate per grandi distanze dalle correnti atmosferiche, e, in misura minore, dai fiumi e dalle correnti marine.
In base al più recente (1995) inventario delle emissioni di diossine, le maggiori fonti industriali di diossine in Europa , in grado di coprire il 62% delle diossine immesse in atmosfera, sono gli inceneritori per rifiuti urbani (26%), le fonderie (18%), gli inceneritori di rifiuti ospedalieri (14%),
le attività metallurgiche diverse dal ferro (4%), mentre il restante 38% è attribuito a impianti di riscaldamento domestico a legna (legna trattata), incendi, traffico.
La quantità di diossine emessa annualmente in Europa, espressa in grammi di trossicità equivalente, è la seguente.
Gli inceneritori di rifiuti urbani ne producono 1641, le fonderie 1125, il riscaldamento domestico a legna 945, gli inceneritori di rifiuti ospedalieri 816, gli incendi 380, la produzione di metalli non ferrosi 136, il trasporto veicolare non catalizzato 111.
Sono quindi gli inceneritori a produrre la maggior quantità di diossina, ed il loro essere sparsi su tutto il territorio nazionale induce l'accumulo.
Dal 1856 si prelevano campioni di terreno dallo stesso campo mai adibito ad uso agricolo e l'incremento di rpesenza di diossina è stato del 300% (da 31 nanogrammi a 92).
Le diossine”bio-accumulano”, e quindi tramite la catena alimentare, passano da preda a predatore, concentrandosi nella carne e nei prodotti caseari, per raggiungere infine l’uomo.
La quantità di diossine nell’uomo è maggiore di tutti gli altri mammiferi in quanto l’uomo è l’ultimo anello della catena alimentare, e concentra nei propri grassi a livelli maggiori di quelli che si trovano nel cibo con cui si alimenta, in particolare latticini, carne e pesce.
Uno studio condotto sul latte delle mucche tedesche e su quello delle mamme svedesi ha dato questi risultati: mucche tedesche 2002, 0.7 picogrammi per grammo di grasso, mamme svedesi 2003, 18 picogrammi.
Gli effetti delle diossine sembrano dipendere più dalla loro presenza in particolari organi e/o stadi vitali piuttosto che dall'entità quantitativa dell'esposizione. Studi di laboratorio hanno dimostrato che l'esposizione a dosi bassissime di diossina durante un periodo critico brevissimo nel corso della gestazione è sufficiente ad influire negativamente sulla salute del feto.
La diossina è cancerogena per l'uomo e per gli animali.
L'EPA (Agenzia statunitense per la Protezione Ambientale) ha stimato che l'attuale esposizione di fondo della popolazione generale alle diossine determina un rischio di contrarre tumore variabile da 1/1.000 a 1/10.000 cittadini.
Anche se negli ultimi anni la produzione e dismissione di diossine da impianti è calata e pertanto anche la loro assunzione, come si evince dall'ultimo rapporto US EPA, certo non ci si può accontentare di ciò, anche per il fatto che va sempre valutato il rischio maggiore che corrono gli organismi in accrescimento come i bambini, che assorbono più velocemente questi inquinanti, o il rischio per le persone immunodepresse o con patologie croniche.
Il risultato più rilevante del rapporto è aver fissato il livello giornaliero di esposizione considerato "accettabile" a 0.7 picogrammi per kg (e si parla per il momento delle sole patologie non tumorali, mentre restiamo in attesa del prossimo rapporto sulle patologie neoplastiche).
Ricordiamo che la raccomandazione OMS del 2001 era di una concentrazione 3 volte superiore
In Europa la tutela della salute della popolazione ha motivato, nel 1993, la scelta dell’Unione di inserire nel quinto Piano d’Azione l’obiettivo, entro il 2005, di ridurre del 90 % le emissioni di diossine, rispetto ai valori del 1985.
Nel corso degli anni l’Italia non ha adottato la giusta politica per la riduzione delle emissioni di diossine e non è in regola con gli obiettivi.
La Convenzione di Stoccolma, sottoscritta nel 2001 ed entrata in vigore nel 2004, prevedeva che per inquinanti tossici e persistenti come le diossine se ne vietasse la produzione e l' immissione nell'ambiente.
Attualmente sono 151 gli Stati che l'hanno sottoscritta e ratificata, ma l’Italia è l' unico tra i paesi europei a non averla ancora ratificata, ovvero tradotta in normative di legge, pur avendola sottoscritta nel 2001.
L'OMS già dalla fine degli anni '80 raccoglie i dati di biomonitoraggio del latte materno eseguiti nei paesi europei, grazie ai quali si è potuto dimostrare che negli ultimi 30 anni livelli di contaminazione sono notevolmente diminuiti.
Purtroppo in questi studi non compare l'Italia e nulla o quasi quindi si può sapere circa i livelli di contaminazione del latte materno nel nostro paese.
Nel Report OMS “Persistent organic pollutants in human milk, Copenaghen Regional Office for Europe 2009” risulta che in molti paesi ( Ungheria, Repubblica Ceca, Svezia, Norvegia, Finlandia, Slovacchia ecc) tali livelli nel 2007 sono mediamente 5 picogrammi/grammo di grasso, quindi nettamente inferiori rispetto ai valori riscontrati nei campioni delle mamme di Ravenna (media di 19,6 picogrammi/grammo di grasso).
Dalle poche indagini condotte di recente in Italia, risulta che a Milano, Piacenza, Giugliano, Montale, Forlì, i valori riscontrati sono mediamente di 10 picogrammi /grammo di grasso mentre a Taranto, area fortemente inquinata, i valori sono stati mediamente oltre 20 picogrammi/grammo di grasso.
Se prenderà piede la politica dell’incenerimento, e quindi se si passerà dall’attuale 16% al 65% dei rifiuti inceneriti, è inevitabile che la quantità di diossine immesse in atmosfera da queste fonti aumenti, nonostante l'utilizzo delle cosiddette migliori tecnologie a disposizione.
Diossine, se le conosci, le eviti.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 19 febbraio 2012

Sono passati
629 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario dell'inceneritore di Parma

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