Taranto, diossine fuori norma dall'inceneritore
ma l'assessore Castellani non ha detto che non si producono?
L'inceneritore di Taranto supera i limiti di diossina a maggio, ma lo stop arriva a fine ottobre. Ecco come funzionano i controlli sulle diossine negli inceneritori italiani: monitoraggi ogni 4 mesi e per arrivare ad uno stop ne passano 5.
La linea 1 dell’inceneritore di Taranto è stata bloccata a causa del superamento dei livelli ammessi dalla legge e l’azienda per l’igiene urbana di Taranto (Amiu) ha reso noto di avere arrestato l’attività, a seguito della comunicazione da parte di Arpa Puglia del superamento del limite, in base ai rilievi effettuati lo scorso 26 maggio.
“Le analisi effettuate presso l’impianto della città di Taranto sono state compiute dall’Arpa il 26 maggio, ma sono pervenute all’Azienda solo ieri, e sono risultati valori superiori e fuori norma.” spiega Amiu.
Ecco che allora è svelata in tutta la sua evidenza come le aziende che gestiscono gli inceneritori badano alla salute dei cittadini. Teniamo conto che Amiu è una azienda pubblica, che non avrebbe interesse a fare melina. Non pensiamo nemmeno a cosa succederà in quegli impianti in cui sono delle Spa a gestire tutto il ciclo dell'incenerimento.
Un brivido ci percorre la schiena se pensiamo al 2012 quando anche il nostro inceneritore prenderà avvio con queste stesse misure adottate a Taranto.
Amiu sottolinea in una nota che precedenti e successive rilevazioni, rispetto alla data del 26 maggio, avevano fornito risultati regolari ma, guarda che strano, quelle negative sono arrivate con qualche mese di ritardo. Nel frattempo cosa sarà uscito dal camino non lo saprà mai nessuno.
Per il controllo della diossina, la norma prevede che le misurazioni debbano essere effettuate ogni quattro mesi, e non in continuo, come per altri parametri da monitorare.
“È utile notare” sottolinea l’azienda “che risulta difficile spiegare tecnicamente i dati di maggio, poiché gli sforamenti sarebbero avvenuti in presenza di una temperatura di esercizio della camera di post combustione (certificata da Arpa), superiore ai 1000 °C, elemento necessario all’abbattimento delle diossine”.
“In ogni caso” conclude Amiu “abbiamo immediatamente fermato la linea interessata e analizzeremo il prossimo 2 novembre in Regione gli elementi forniti da Arpa al fine di individuare con il coinvolgimento di tutti gli enti competenti i comportamenti e le soluzioni più adeguati”.
Dichiarazioni imbarazzanti e preoccupanti. Nemmeno sanno spiegare cosa sia accaduto. Viene da pensare a tutto fuorché ad un impianto correttamente gestito e monitorato con attenzione. Le diossine, che secondo l'assessore all'ambiente della Provincia di Parma Giancarlo Castellani, nel processo di combustione “non si producono”, a Taranto riescono a sopravvivere perfino ai 1000 gradi della camera di post combustione.
E noi a Parma ci avviamo con fiducia verso il forno, nel silenzio delle amministrazioni e delle autorità competenti, che quando parlano, lo fanno con poca cognizione di causa.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 30 ottobre 2010
-554 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+152 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
L'Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR - dal 2006 si è mossa per impedire la costruzione di un nuovo inceneritore a Parma, a 4 km da piazza Duomo, a fianco di Barilla e Chiesi, Ikea e ParmaRetail. Un mostro che brucerà 130 mila tonnellate di rifiuti all'anno e che inquinerà il nostro territorio per il futuro a venire.
sabato 30 ottobre 2010
La folle rincorsa delle centrali a biomassa
“Bruciare biomasse per produrre elettricità o teleriscaldamento produce inquinamento, aumenta le emissioni di gas serra, blocca l’innovazione tecnologica e non può essere incentivata con denaro pubblico (certificati verdi). Gli usi energetici delle biomasse sono meno ecologici di quanto si voglia far credere. Negli inventari europei delle immissioni di diossina e idrocarburi policiclici aromatici, il primato assoluto (stime 2005) spetta alla combustione di biomasse”.
Sono le considerazioni di Federico Valerio, uno dei maggiori esperti di chimica ambientale in Italia.
In base agli incentivi rappresentati dai certificati verdi si è andata formando una bolla finanziaria inquinante sulle biomasse, che sta spingendo a dismisura questo tipo di impianti a tutto discapito delle fonti davvero pulite di energia rinnovabile, quali il fotovoltaico, il mini eolico e il mini idroelettrico, distorcendo così il mercato.
“In Italia si parla molto di filiera corta, ma pochi sanno cosa sia concretamente. La biomassa è un prodotto che se viene industrializzato perde la sua rinnovabilità. Va distribuito sul territorio presso tante aziende agricole supportate da infrastrutture da filiera. Filiera corta riporta ad un aspetto commerciale che comunque è l’unico che permetta di poter realizzare impianti a biomassa con un project financing che non superi i 10 anni di ammortamento del capitale iniziale e senza sostegni pubblici”.
E' il pensiero dell'ambientalista Berbera van de Vate, olandese residente in Italia.
Sono questi i punti partenza dai quali sviluppare un corretto ragionamento sulle centrali a biomasse, così di moda oggi, così sconosciute nei loro reali effetti sull'ambiente.
Le piante, come ogni vegetale, crescendo incorporano carbonio che rilasciano nell’aria una volta finito il loro ciclo vitale. La somma finale di tale processo del carbonio è zero.
Ma i “contabili” hanno dimenticato due cose fondamentali per l’effetto serra: il tempo e la massa.
Il tempo di rilascio di CO2 da parte delle piante morte è di decenni, se non di secoli, mentre la loro combustione industriale accelera enormemente tale processo di emissione. Le piante, inoltre, muoiono una alla volta e separatamente nel territorio, a differenza della loro combustione industriale, massiva, continuata e concentrata in uno stesso identico posto.
Con l'incenerimento industriale delle biomasse, le zero emissioni ce le sogniamo: il principio astratto deve fare i conti con il concreto delle enormi quantità di CO2 emesse tutte in una volta.
Viene quindi l'argomento della sostenibilità di tali pratiche.
L’uso di legno da ardere per produrre calore per usi domestici e industriali è da considerarsi sostenibile solo se i pellet o il cippato non derivano direttamente da legna vergine prodotta dal taglio dei boschi, ma da scarti di lavorazione di biomasse primarie: segherie, falegnamerie, lavorazioni di prodotti agricoli con scarti (olive, nocciole), e solo nel raggio di pochi chilometri dall’impianto.
Nessun imprenditore serio, pur disponendo di biomasse, realizzerebbe una centrale termoelettrica con quelle, perché le biomasse sono un combustibile povero, con un potere calorifico troppo basso per renderlo conveniente. Il loro uso diventa appetibile solo attraverso gli incentivi statali, i certificati verdi, la tassa del 7% applicata alle nostre bollette energetiche.
In tal modo il mercato dell’energia viene scombussolato e drogato e si comprende il motivo perché della forsennata rincorsa alle centrali a biomasse di sindaci e amministratori.
Per essere realmente economica, infatti, una centrale termoelettrica, da dati tecnici e di mercato, non può avere una potenza inferiore a 20 megawatt.
Un impianto di tal misura ha bisogno di 100 mila tonnellate annue di biomassa (5 mila tonnellate annue per ogni MW prodotto), impossibili da reperire in loco. Più probabilmente la sua gran parte proviene dai tagli e dai disboscamenti dell’Amazzonia o di altre foreste tropicali, materiale che viene poi trasportato a grandi distanze per essere impiegato come combustibile.
Un impianto con queste caratteristiche è quello di Dobbiaco in val Pusteria (25 MW), che permette il teleriscaldamento domestico e industriale di due cittadine: Dobbiaco e San Candido.
L’industria del legno in tutto l’Alto Adige è fiorente ma certamente non è in grado di produrre scarti e segatura per quell’impianto, e per tanti altri di pari potenza presenti nella regione. Sono gli abitanti stessi a dire che la gran parte della biomassa viene dall’Olanda.
A sua volta quel piccolo stato non ha certo una grande forestazione, ha però il più grande porto europeo, Rotterdam, in cui arrivano navi cariche di legname da ogni parte del globo.
In Alto Adige sono furbi. Eliminano il riscaldamento a gasolio abbattendo l’inquinamento, forniscono un servizio centralizzato alla collettività ad un costo accettabile, non disboscano minimamente le loro stupende pinete, indispensabili al loro fiorente turismo.
Come realizzano tutto ciò? Usando i soldi delle bollette energetiche di noi tutti (certificati verdi) per comprare pezzi di foresta Amazzonica da bruciare.
Proprio bravi! Alla faccia degli accordi di Kyoto e della sostenibilità.
Ci sono impianti assolutamente uguali, se non peggiori, anche in Calabria e Puglia, che si riforniscono alla stessa maniera tramite i porti di Crotone e di Taranto.
Il concetto di rinnovabilità.
La comunità europea, a differenza del nostro paese, ha sospeso gli incentivi alle coltivazioni per la produzione di biodiesel. Se la rinnovabilità delle coltivazioni fogliacee non è in discussione, lo è molto la sottrazione di terreni utili alla produzioni di alimenti che la speculazione legata all’energia induce.
Si tratta di vaste estensioni sottratte a coltivi di qualità e destinate a monoculture quali la soia e la colza, da cui ricavare oli da bruciare nelle centrali a biomasse recuperando incentivi regionali e certificati verdi e l’accesso a finanziamenti europei. Grandi estensioni destinate a pioppeti, il cui ciclo di rinnovabilità è maggiore (circa 2-3 anni), ma ugualmente appetibile.
Ma la rinnovabilità che più ci interessa è quella delle piante, dei nostri boschi.
La rinnovabilità di una quercia o di un faggio è di 20 anni minimo, ma più ragionevolmente di 30. Se un “piccolo” impianto da 1 MW che brucia cippato di legna vergine ne ha bisogno di 25.000 quintali annui, questi corrispondono a 50 mila quintali di ramaglie e di tronchi.
Il doppio del cippato, perché contengono molta più umidità che la cippatura deve eliminare prima di arrivare alla combustione. Questi 50 mila quintali corrispondono ad un bosco di 50 ettari, cioè ad un appezzamento di 1 km per 1/2 km.
La centrale che vorrebbero costruire a Nacca di Vaestano, comune di Palanzano, da quanto dichiarato dalla ditta, dovrebbe appunto bruciare 50 mila quintali di “ramaglie” all’anno.
Calcolando la rinnovabilità dei boschi avrebbe bisogno di 1000-1500 ha di bosco in vent’anni, cioè di un tratto di 10-15 km di lunghezza per 1 km di altezza.
In pratica, per esemplificare, tutto il tratto di pendio boscoso tra Vaestano e Rigoso perderebbe il suo manto arboreo attuale.
Così sarebbe per la zona della val Parma tra Corniglio e Bosco se venisse costruita la centrale proposta per Bosco. Ma così sarebbe per tante altre valli, perché gli altri sindaci non sarebbero certo da meno, ingordi come sono di certificati verdi e di finanziamenti europei.
Il capitolo delle emissioni nocive
Bruciare legna provoca non solo emissioni di CO2 ma anche di sostanze inquinanti e nocive: CO, NOx, PM10, PM5, PM1, benzopirene, diossine e ossidi di metalli pesanti.
Uno studio dell’Arpa di Trento ha quantificato che l’emissione di monossido di carbonio e degli ossidi di azoto da combustione di legna è venti volte maggiore di quella da combustione di GPL.
Ma la cosa più pericolosa in assoluto, come sostiene Stefano Montanari, è che dalla combustione non svanisce nulla. I gas prodotti, una volta a contatto dell’aria, si combinano in mille diversi modi del tutto imprevedibili e forse ancora più nocivi.
Insomma, ogni bruciatore industriale di legna emette diossina. L’impianto, poi, ha bisogno di una consistente quantità di acqua di lavaggio che fatalmente tornerà in falda, inquinandola.
Da subito però inquinerà i nostri torrenti, già ridotti davvero a poca cosa per le troppe captazioni.
Il caso di Monchio
La centrale in costruzione a Monchio delle Corti, cui nessuno fa cenno, è un rebus.
Dai documenti del progetto si evince che la potenza installata è uguale alle altre : 928 Kw ( in pratica 1 Mw).
Tutti i sindaci si attengono al piano provinciale sulle biomasse che non prevede specifiche autorizzazioni dall’alto per al di sotto di questa potenza.
Come dire che per l’ente provincia la sostenibilità di impianti di quella taglia è accettabile di fatto.
L’impianto di Monchio non è un co-generatore, produce solo calore per il teleriscaldamento di 5 stabili: la palestra, la scuola, la casa protetta per anziani, alloggi per anziani e la sede della forestale. Sarebbero bastate cinque caldaie a cippato, con relativi filtri, una per ogni stabile, per un totale di circa 300 Kw.
Sarebbero costate senz’altro meno dell’impianto in costruzione. Un’ottima caldaia a cippato da 35 Kw, con abbattimento dei fumi, costa 15.000 euro. Per la palestra magari una da 150 Kw (33 mila euro). Costo complessivo 100 mila euro, senza contare gli incentivi statali per il rinnovo degli impianti e l’abbattimento dei fumi.
I costi della centrale prevista non sono elevati, 600 mila euro, di cui 300 mila di finanziamento europeo a fondo perduto e gli altri trecentomila presi in prestito dalla cassa depositi e prestiti dello stato ad un tasso agevolato del 3,50%.
Niente di male si dirà. Ma perché spenderne 600 mila invece di 100 mila?
Forse per incassare i fondi europei e potersene far vanto con gli elettori. Ma più probabilmente con l’intento, in seguito, di collegarsi col teleriscaldamento alle case della gente ed eliminare le obsolete caldaie a legna private così inquinanti. Intento meritorio, si dirà.
La cosa, però, richiederà molti altri soldi per creare le infrastrutture di collegamento che percorrano tutto il paese. Soldi non solo del comune, ma anche dei singoli privati che si collegheranno.
In sostanza si tratterebbe, poi, di buttare per aria tutto l’abitato, con scavi e posa dei tubi.
Ne vale la pena?
Non sarebbe meglio creare un fondo comunale per incentivare la sostituzione delle caldaie dei privati con quelle più moderne che abbattono i fumi ? Incentivi che si sommerebbero ai normali incentivi statali già esistenti per tale rinnovo? Oggi il costo di una moderna caldaia a pellet si aggira sui 5 mila euro. Le caldaie per 100 case costerebbero 500 mila euro, che sommate alle caldaie per i già detti impianti comunali darebbero proprio i 600 mila euro previsti per la centrale.
Cosa c'entra la sostenibilità con le centrali a biomasse?
Creare impianti industriali che brucino legna è antieconomico, accelera l’immissione di CO2 nell’atmosfera, accresce il taglio dei boschi a detrimento della loro rinnovabilità e della loro funzione fondamentale di polmone ossigenante e ancor più a detrimento della loro funzione di traino dell’economia turistica a fianco dei parchi.
I parchi non debbono essere delle isole di verde in una montagna soggetta a tagli indiscriminati ed alla speculazione. Al contrario devono fare da traino per una rivalutazione del valore del bosco per la montagna, indispensabile alla sua economia e per impedire il degrado dei suoli e l’accrescersi delle frane.
La nostra provincia, insieme a quella di Lucca, è la più franosa d’Europa.
Qualcosa vorrà dire.
Giuliano Serioli
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 30 ottobre 2010
-554 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+152 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
Sono le considerazioni di Federico Valerio, uno dei maggiori esperti di chimica ambientale in Italia.
In base agli incentivi rappresentati dai certificati verdi si è andata formando una bolla finanziaria inquinante sulle biomasse, che sta spingendo a dismisura questo tipo di impianti a tutto discapito delle fonti davvero pulite di energia rinnovabile, quali il fotovoltaico, il mini eolico e il mini idroelettrico, distorcendo così il mercato.
“In Italia si parla molto di filiera corta, ma pochi sanno cosa sia concretamente. La biomassa è un prodotto che se viene industrializzato perde la sua rinnovabilità. Va distribuito sul territorio presso tante aziende agricole supportate da infrastrutture da filiera. Filiera corta riporta ad un aspetto commerciale che comunque è l’unico che permetta di poter realizzare impianti a biomassa con un project financing che non superi i 10 anni di ammortamento del capitale iniziale e senza sostegni pubblici”.
E' il pensiero dell'ambientalista Berbera van de Vate, olandese residente in Italia.
Sono questi i punti partenza dai quali sviluppare un corretto ragionamento sulle centrali a biomasse, così di moda oggi, così sconosciute nei loro reali effetti sull'ambiente.
Le piante, come ogni vegetale, crescendo incorporano carbonio che rilasciano nell’aria una volta finito il loro ciclo vitale. La somma finale di tale processo del carbonio è zero.
Ma i “contabili” hanno dimenticato due cose fondamentali per l’effetto serra: il tempo e la massa.
Il tempo di rilascio di CO2 da parte delle piante morte è di decenni, se non di secoli, mentre la loro combustione industriale accelera enormemente tale processo di emissione. Le piante, inoltre, muoiono una alla volta e separatamente nel territorio, a differenza della loro combustione industriale, massiva, continuata e concentrata in uno stesso identico posto.
Con l'incenerimento industriale delle biomasse, le zero emissioni ce le sogniamo: il principio astratto deve fare i conti con il concreto delle enormi quantità di CO2 emesse tutte in una volta.
Viene quindi l'argomento della sostenibilità di tali pratiche.
L’uso di legno da ardere per produrre calore per usi domestici e industriali è da considerarsi sostenibile solo se i pellet o il cippato non derivano direttamente da legna vergine prodotta dal taglio dei boschi, ma da scarti di lavorazione di biomasse primarie: segherie, falegnamerie, lavorazioni di prodotti agricoli con scarti (olive, nocciole), e solo nel raggio di pochi chilometri dall’impianto.
Nessun imprenditore serio, pur disponendo di biomasse, realizzerebbe una centrale termoelettrica con quelle, perché le biomasse sono un combustibile povero, con un potere calorifico troppo basso per renderlo conveniente. Il loro uso diventa appetibile solo attraverso gli incentivi statali, i certificati verdi, la tassa del 7% applicata alle nostre bollette energetiche.
In tal modo il mercato dell’energia viene scombussolato e drogato e si comprende il motivo perché della forsennata rincorsa alle centrali a biomasse di sindaci e amministratori.
Per essere realmente economica, infatti, una centrale termoelettrica, da dati tecnici e di mercato, non può avere una potenza inferiore a 20 megawatt.
Un impianto di tal misura ha bisogno di 100 mila tonnellate annue di biomassa (5 mila tonnellate annue per ogni MW prodotto), impossibili da reperire in loco. Più probabilmente la sua gran parte proviene dai tagli e dai disboscamenti dell’Amazzonia o di altre foreste tropicali, materiale che viene poi trasportato a grandi distanze per essere impiegato come combustibile.
Un impianto con queste caratteristiche è quello di Dobbiaco in val Pusteria (25 MW), che permette il teleriscaldamento domestico e industriale di due cittadine: Dobbiaco e San Candido.
L’industria del legno in tutto l’Alto Adige è fiorente ma certamente non è in grado di produrre scarti e segatura per quell’impianto, e per tanti altri di pari potenza presenti nella regione. Sono gli abitanti stessi a dire che la gran parte della biomassa viene dall’Olanda.
A sua volta quel piccolo stato non ha certo una grande forestazione, ha però il più grande porto europeo, Rotterdam, in cui arrivano navi cariche di legname da ogni parte del globo.
In Alto Adige sono furbi. Eliminano il riscaldamento a gasolio abbattendo l’inquinamento, forniscono un servizio centralizzato alla collettività ad un costo accettabile, non disboscano minimamente le loro stupende pinete, indispensabili al loro fiorente turismo.
Come realizzano tutto ciò? Usando i soldi delle bollette energetiche di noi tutti (certificati verdi) per comprare pezzi di foresta Amazzonica da bruciare.
Proprio bravi! Alla faccia degli accordi di Kyoto e della sostenibilità.
Ci sono impianti assolutamente uguali, se non peggiori, anche in Calabria e Puglia, che si riforniscono alla stessa maniera tramite i porti di Crotone e di Taranto.
Il concetto di rinnovabilità.
La comunità europea, a differenza del nostro paese, ha sospeso gli incentivi alle coltivazioni per la produzione di biodiesel. Se la rinnovabilità delle coltivazioni fogliacee non è in discussione, lo è molto la sottrazione di terreni utili alla produzioni di alimenti che la speculazione legata all’energia induce.
Si tratta di vaste estensioni sottratte a coltivi di qualità e destinate a monoculture quali la soia e la colza, da cui ricavare oli da bruciare nelle centrali a biomasse recuperando incentivi regionali e certificati verdi e l’accesso a finanziamenti europei. Grandi estensioni destinate a pioppeti, il cui ciclo di rinnovabilità è maggiore (circa 2-3 anni), ma ugualmente appetibile.
Ma la rinnovabilità che più ci interessa è quella delle piante, dei nostri boschi.
La rinnovabilità di una quercia o di un faggio è di 20 anni minimo, ma più ragionevolmente di 30. Se un “piccolo” impianto da 1 MW che brucia cippato di legna vergine ne ha bisogno di 25.000 quintali annui, questi corrispondono a 50 mila quintali di ramaglie e di tronchi.
Il doppio del cippato, perché contengono molta più umidità che la cippatura deve eliminare prima di arrivare alla combustione. Questi 50 mila quintali corrispondono ad un bosco di 50 ettari, cioè ad un appezzamento di 1 km per 1/2 km.
La centrale che vorrebbero costruire a Nacca di Vaestano, comune di Palanzano, da quanto dichiarato dalla ditta, dovrebbe appunto bruciare 50 mila quintali di “ramaglie” all’anno.
Calcolando la rinnovabilità dei boschi avrebbe bisogno di 1000-1500 ha di bosco in vent’anni, cioè di un tratto di 10-15 km di lunghezza per 1 km di altezza.
In pratica, per esemplificare, tutto il tratto di pendio boscoso tra Vaestano e Rigoso perderebbe il suo manto arboreo attuale.
Così sarebbe per la zona della val Parma tra Corniglio e Bosco se venisse costruita la centrale proposta per Bosco. Ma così sarebbe per tante altre valli, perché gli altri sindaci non sarebbero certo da meno, ingordi come sono di certificati verdi e di finanziamenti europei.
Il capitolo delle emissioni nocive
Bruciare legna provoca non solo emissioni di CO2 ma anche di sostanze inquinanti e nocive: CO, NOx, PM10, PM5, PM1, benzopirene, diossine e ossidi di metalli pesanti.
Uno studio dell’Arpa di Trento ha quantificato che l’emissione di monossido di carbonio e degli ossidi di azoto da combustione di legna è venti volte maggiore di quella da combustione di GPL.
Ma la cosa più pericolosa in assoluto, come sostiene Stefano Montanari, è che dalla combustione non svanisce nulla. I gas prodotti, una volta a contatto dell’aria, si combinano in mille diversi modi del tutto imprevedibili e forse ancora più nocivi.
Insomma, ogni bruciatore industriale di legna emette diossina. L’impianto, poi, ha bisogno di una consistente quantità di acqua di lavaggio che fatalmente tornerà in falda, inquinandola.
Da subito però inquinerà i nostri torrenti, già ridotti davvero a poca cosa per le troppe captazioni.
Il caso di Monchio
La centrale in costruzione a Monchio delle Corti, cui nessuno fa cenno, è un rebus.
Dai documenti del progetto si evince che la potenza installata è uguale alle altre : 928 Kw ( in pratica 1 Mw).
Tutti i sindaci si attengono al piano provinciale sulle biomasse che non prevede specifiche autorizzazioni dall’alto per al di sotto di questa potenza.
Come dire che per l’ente provincia la sostenibilità di impianti di quella taglia è accettabile di fatto.
L’impianto di Monchio non è un co-generatore, produce solo calore per il teleriscaldamento di 5 stabili: la palestra, la scuola, la casa protetta per anziani, alloggi per anziani e la sede della forestale. Sarebbero bastate cinque caldaie a cippato, con relativi filtri, una per ogni stabile, per un totale di circa 300 Kw.
Sarebbero costate senz’altro meno dell’impianto in costruzione. Un’ottima caldaia a cippato da 35 Kw, con abbattimento dei fumi, costa 15.000 euro. Per la palestra magari una da 150 Kw (33 mila euro). Costo complessivo 100 mila euro, senza contare gli incentivi statali per il rinnovo degli impianti e l’abbattimento dei fumi.
I costi della centrale prevista non sono elevati, 600 mila euro, di cui 300 mila di finanziamento europeo a fondo perduto e gli altri trecentomila presi in prestito dalla cassa depositi e prestiti dello stato ad un tasso agevolato del 3,50%.
Niente di male si dirà. Ma perché spenderne 600 mila invece di 100 mila?
Forse per incassare i fondi europei e potersene far vanto con gli elettori. Ma più probabilmente con l’intento, in seguito, di collegarsi col teleriscaldamento alle case della gente ed eliminare le obsolete caldaie a legna private così inquinanti. Intento meritorio, si dirà.
La cosa, però, richiederà molti altri soldi per creare le infrastrutture di collegamento che percorrano tutto il paese. Soldi non solo del comune, ma anche dei singoli privati che si collegheranno.
In sostanza si tratterebbe, poi, di buttare per aria tutto l’abitato, con scavi e posa dei tubi.
Ne vale la pena?
Non sarebbe meglio creare un fondo comunale per incentivare la sostituzione delle caldaie dei privati con quelle più moderne che abbattono i fumi ? Incentivi che si sommerebbero ai normali incentivi statali già esistenti per tale rinnovo? Oggi il costo di una moderna caldaia a pellet si aggira sui 5 mila euro. Le caldaie per 100 case costerebbero 500 mila euro, che sommate alle caldaie per i già detti impianti comunali darebbero proprio i 600 mila euro previsti per la centrale.
Cosa c'entra la sostenibilità con le centrali a biomasse?
Creare impianti industriali che brucino legna è antieconomico, accelera l’immissione di CO2 nell’atmosfera, accresce il taglio dei boschi a detrimento della loro rinnovabilità e della loro funzione fondamentale di polmone ossigenante e ancor più a detrimento della loro funzione di traino dell’economia turistica a fianco dei parchi.
I parchi non debbono essere delle isole di verde in una montagna soggetta a tagli indiscriminati ed alla speculazione. Al contrario devono fare da traino per una rivalutazione del valore del bosco per la montagna, indispensabile alla sua economia e per impedire il degrado dei suoli e l’accrescersi delle frane.
La nostra provincia, insieme a quella di Lucca, è la più franosa d’Europa.
Qualcosa vorrà dire.
Giuliano Serioli
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 30 ottobre 2010
-554 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+152 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
Acqua da sprecare, orecchie da tirare
Strada che vai spreco che trovi. Abbiamo appena pochi giorni fa reso nota una dispersione “voluta” di acqua potabile, con destinazione tombino, ed ecco che ce ne viene segnalata un'altra, addirittura di proporzioni maggiori.
Siamo sempre in via Lazio, a Parma, e nella foto allegata c'è il “pallottoliere” che ci racconta lo spreco, metro cubo per metro cubo.
Questa volta il getto d'acqua pulita è veramente imponente, 170 metri cubi al giorno, il consumo medio di una famiglia per un anno, e ogni giorno che passa se ne aggiunge una nuova allo spreco di acqua, alimentando le classifiche negative di Parma sul fronte ambientale.
Il contagiri recita 13744 metri cubi, quindi fino a ieri le famiglie che potevano essere servite dal rubinetto fantasma sono 86 e se continua così a Natale saranno 150.
Quante situazioni come queste saranno presenti nella nostra città?
Come vengono gestite, quali provvedimenti vengono presi, come è possibile che per giorni, per settimane, per mesi queste anomalie non vengano sanate?
Come si fa a invitare, sollecitare, formare i cittadini al risparmio di un bene prezioso come l'acqua, per poi essere così distratti in casa propria e buttare nella spazzatura cotanta ricchezza?
Quale credibilità possiamo spendere con queste credenziali?
Nel 2025 la Terra ospiterà circa 8 miliardi di persone, un popolo sconfinato che avrà bisogno di molta acqua, per lo meno il 20 per cento in più rispetto a oggi. Soprattutto per poter soddisfare la richiesta di cibo, visto che in agricoltura si utilizza il 70-80% dell'acqua a disposizione, quando l'industria “brucia” solo il 15%; il resto viene impiegato per usi civili. L'acqua è abbondante sul pianeta, ma già oggi con 6,5 miliardi di uomini, soprattutto là dove vi è la maggiore concentrazione di popolazione, inizia a scarseggiare.
Un uso corretto di questa risorsa sarà quindi indispensabile per tentare di darci un futuro in cui tutti possiamo “bere”.
Un uso corretto che non sembra albergare nei comportamenti del nostro gestore.
Che si merita una bella tirata d'orecchie.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 27 ottobre 2010
-557 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+149 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
Siamo sempre in via Lazio, a Parma, e nella foto allegata c'è il “pallottoliere” che ci racconta lo spreco, metro cubo per metro cubo.
Questa volta il getto d'acqua pulita è veramente imponente, 170 metri cubi al giorno, il consumo medio di una famiglia per un anno, e ogni giorno che passa se ne aggiunge una nuova allo spreco di acqua, alimentando le classifiche negative di Parma sul fronte ambientale.
Il contagiri recita 13744 metri cubi, quindi fino a ieri le famiglie che potevano essere servite dal rubinetto fantasma sono 86 e se continua così a Natale saranno 150.
Quante situazioni come queste saranno presenti nella nostra città?
Come vengono gestite, quali provvedimenti vengono presi, come è possibile che per giorni, per settimane, per mesi queste anomalie non vengano sanate?
Come si fa a invitare, sollecitare, formare i cittadini al risparmio di un bene prezioso come l'acqua, per poi essere così distratti in casa propria e buttare nella spazzatura cotanta ricchezza?
Quale credibilità possiamo spendere con queste credenziali?
Nel 2025 la Terra ospiterà circa 8 miliardi di persone, un popolo sconfinato che avrà bisogno di molta acqua, per lo meno il 20 per cento in più rispetto a oggi. Soprattutto per poter soddisfare la richiesta di cibo, visto che in agricoltura si utilizza il 70-80% dell'acqua a disposizione, quando l'industria “brucia” solo il 15%; il resto viene impiegato per usi civili. L'acqua è abbondante sul pianeta, ma già oggi con 6,5 miliardi di uomini, soprattutto là dove vi è la maggiore concentrazione di popolazione, inizia a scarseggiare.
Un uso corretto di questa risorsa sarà quindi indispensabile per tentare di darci un futuro in cui tutti possiamo “bere”.
Un uso corretto che non sembra albergare nei comportamenti del nostro gestore.
Che si merita una bella tirata d'orecchie.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 27 ottobre 2010
-557 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+149 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
martedì 26 ottobre 2010
Primi in classifica
Nel totale silenzio dei media Parma svetta finalmente in una classifica: quella della peggiore qualità dell'aria dell'Emilia Romagna. Il dato fa riferimento alla concentrazione nell'aria delle famigerate Pm 10, il particulate matter, termine generico con il quale si definisce un mix di particelle solide e liquide che si trovano in sospensione nell’aria e in questo caso della dimensione inferiore a 10 micron.
Gli studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra le concentrazioni di polveri in aria e la manifestazione di malattie croniche alle vie respiratorie, in particolare asma, bronchiti, enfisemi. A livello di effetti indiretti inoltre il particolato agisce da veicolo per sostanze ad elevata tossicità, quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici. Gli ultimissimi studi sulla qualità dell'aria hanno riportato la diretta correlazione tra aumento delle concentrazioni di Pm 10 e l'asma, allargando così il campo di azione di questi inquinanti.
Il dato record di Parma è stato registrato dall'Arpa il 24 ottobre e assomma a 105 microgrammi di Pm 10 per metro cubo di aria. Teniamo conto che la normativa prevede come soglia massima di concentrazione 50 microgrammi, quindi siamo riusciti a doppiare il dato limite, dopo averlo superato per 4 giorni di fila.
Abbiamo raddoppiato la quantità di inquinanti che la legge considera dannosa per la salute.
Ma questa constatazione non pare abbia fatto scattare alcun provvedimento da parte delle autorità, forse ormai abituate a respirare un composto che solo lontanamente assomiglia all'aria come noi la pensiamo. Nessun blocco del traffico, nessun appello, nessun allarme.
Siamo di fronte ad una situazione molto grave, dall'inizio dell'anno abbiamo superato i limiti per 39 giorni nel punto di rilievo della Cittadella, per 44 giorni in via Montelbello, quando i limiti di legge consentono in un anno superamenti per 35 giorni.
E naturalmente siamo solo a fine ottobre e ci aspettano due mesi come novembre e dicembre, che non faranno mancare il loro apporto negativo.
Non che Piacenza (90 µg/m3), Reggio (98 µg/m3), Modena (93 µg/m3), Bologna (97 µg/m3), siano messe meglio, anzi. Questa è la prova che il nostro territorio, quarta area più inquinata al mondo, ha una conformazione che non depone a favore di un ricambio dell'aria, ma anzi il suo clima umido schiaccia al suolo l'aria causando un ristagno degli inquinanti che dura a volte intere settimane.
Il particolare clima di casa nostra insomma ha fatto diventare la pianura padana il peggior ambiente in Europa, la scarsa ventilazione ha portato a far insaccare al suolo gli inquinanti che si spargono poi anche fuori dai centri urbani maggiormente abitati.
La scarsità di forestazione, a favore di una coltivazione intensa, ha fatto che si che la natura non potesse contrapporre alcuna difesa naturale, nel tentativo di controbattere con l'ossigeno degli alberi tutti questi veleni.
Ecco come siamo messi. Ma il nostro territorio ha scoperto la soluzione e la sta mettendo in atto. A Ugozzolo stanno costruendo un oggetto meraviglioso che ogni anno farà aumentare l'emissione di Pm 10 di 3 tonnellate e passa. Noi il Pm 10 lo misuriamo in microgrammi, finalmente con l'inceneritore non avremo bisogno della lente di ingrandimento.
Al Gran Premio della Pm 10 non avremo avversari.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 26 ottobre 2010
-558 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+148 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
Gli studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra le concentrazioni di polveri in aria e la manifestazione di malattie croniche alle vie respiratorie, in particolare asma, bronchiti, enfisemi. A livello di effetti indiretti inoltre il particolato agisce da veicolo per sostanze ad elevata tossicità, quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici. Gli ultimissimi studi sulla qualità dell'aria hanno riportato la diretta correlazione tra aumento delle concentrazioni di Pm 10 e l'asma, allargando così il campo di azione di questi inquinanti.
Il dato record di Parma è stato registrato dall'Arpa il 24 ottobre e assomma a 105 microgrammi di Pm 10 per metro cubo di aria. Teniamo conto che la normativa prevede come soglia massima di concentrazione 50 microgrammi, quindi siamo riusciti a doppiare il dato limite, dopo averlo superato per 4 giorni di fila.
Abbiamo raddoppiato la quantità di inquinanti che la legge considera dannosa per la salute.
Ma questa constatazione non pare abbia fatto scattare alcun provvedimento da parte delle autorità, forse ormai abituate a respirare un composto che solo lontanamente assomiglia all'aria come noi la pensiamo. Nessun blocco del traffico, nessun appello, nessun allarme.
Siamo di fronte ad una situazione molto grave, dall'inizio dell'anno abbiamo superato i limiti per 39 giorni nel punto di rilievo della Cittadella, per 44 giorni in via Montelbello, quando i limiti di legge consentono in un anno superamenti per 35 giorni.
E naturalmente siamo solo a fine ottobre e ci aspettano due mesi come novembre e dicembre, che non faranno mancare il loro apporto negativo.
Non che Piacenza (90 µg/m3), Reggio (98 µg/m3), Modena (93 µg/m3), Bologna (97 µg/m3), siano messe meglio, anzi. Questa è la prova che il nostro territorio, quarta area più inquinata al mondo, ha una conformazione che non depone a favore di un ricambio dell'aria, ma anzi il suo clima umido schiaccia al suolo l'aria causando un ristagno degli inquinanti che dura a volte intere settimane.
Il particolare clima di casa nostra insomma ha fatto diventare la pianura padana il peggior ambiente in Europa, la scarsa ventilazione ha portato a far insaccare al suolo gli inquinanti che si spargono poi anche fuori dai centri urbani maggiormente abitati.
La scarsità di forestazione, a favore di una coltivazione intensa, ha fatto che si che la natura non potesse contrapporre alcuna difesa naturale, nel tentativo di controbattere con l'ossigeno degli alberi tutti questi veleni.
Ecco come siamo messi. Ma il nostro territorio ha scoperto la soluzione e la sta mettendo in atto. A Ugozzolo stanno costruendo un oggetto meraviglioso che ogni anno farà aumentare l'emissione di Pm 10 di 3 tonnellate e passa. Noi il Pm 10 lo misuriamo in microgrammi, finalmente con l'inceneritore non avremo bisogno della lente di ingrandimento.
Al Gran Premio della Pm 10 non avremo avversari.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 26 ottobre 2010
-558 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+148 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
domenica 24 ottobre 2010
A bocca aperta
Non possiamo nascondere la sorpresa che ci ha colto ieri sera nell'aprire la cassetta della posta. Un bustone con l'indirizzo stampato e incollato con una etichetta e nessun indizio sul mittente.
Nell'aprirlo non senza una certa apprensione la sorpresa si è trasformata in una sensazione di solennità assolutamente inaspettata.
Perché la busta contiene il Piano Economico Finanziario, o quello che Iren ritiene esso sia, che da una prima veloce lettura assomiglia a qualche appunto e previsione di massima e sicuramente non è quel metodico foglio denso di cifre che una banca pretende prima di dare un finanziamento.
Non è certamente su questi scarni fogli che si può progettare una spesa di oltre 250 milioni di euro, per una holding che fattura oggi miliardi di euro e non si può permettere di scherzare sui conti.
Il primo foglio della anonima missiva, il timbro postale è quello di Bologna, la data quella di venerdì 22 ottobre, l'ora non la si capisce, rivela che lo stesso plico è stato indirizzato a una serie di testate locali e, altra ammissione, ci siamo un pochino inorgogliti di essere inseriti nei portatori di interesse che sono stati destinatari della lettera: Parmadaily, Gazzetta di Parma, Informazione di Parma, Polisquotidiano, Teleducato.
Ora che i fogli sono a nostra disposizione li caricheremo senz'altro sul sito in bella evidenza, per dare la possibilità a tutti i cittadini di avere maggiori informazioni su cosa sta preparando Iren a Ugozzolo.
Perché alcune chicche le possiamo già da ora raccontare.
Ad esempio i costi, che su questi fogli vengono indicati in 252 milioni di euro, una cifra distante anni luce dai 175 sbandierati nel progetto del Pai approvato dalle autorità.
Un'altra bugia che si smaschera da sola è quella delle tariffe.
Iren ha sempre sostenuto che le tariffe dei rifiuti sono superiori a quelle di Reggio e Piacenza per l'assenza a Parma di un inceneritore. E che le tariffe sarebbero scese, una volta costruito l'impianto, a quelle del 2008. Nel Pef invece c'è scritto che le tariffe applicata saranno quelle del 2009.
Consapevolmente hanno sostenuto una bugia. Una cosa assai grave, dal nostro punto di vista.
Ma c'è di più e di più grave.
Tra le pagine c'è anche scritto che il risparmio ottenuto non esportando rifiuti sarà colmato dalle spese per la costruzione dell'inceneritore.
Una affermazione enorme e grave. L'inceneritore doveva servire a calmierare le tariffe ed ora scopriamo che Iren era ben conscia del contrario.
Semplicemente il business che oggi fanno altri, accogliendo i rifiuti di Parma, lo si vuole trasferire sui bilanci della multiutility targata Torino e Genova, facendo pagare tutto, sul fronte economico e su quello sanitario, ai cittadini del nostro territorio.
Non c'è stato tempo di approfondire ulteriormente le carte e le prossime ore saranno sicuramente dedicate a questa operazione.
Ora ci sentiamo di domandare. Chi sapeva?
Se ci fosse un solo minimo sospetto che i nostri amministratori fossero al corrente di queste situazioni, hanno tradito non solo i loro elettori, ma l'intero consesso.
Va da sé che ci aspetteremmo in tal caso una presa di responsabilità.
E le dimissioni immediate.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 23 ottobre 2010
-560 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+146 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
Nell'aprirlo non senza una certa apprensione la sorpresa si è trasformata in una sensazione di solennità assolutamente inaspettata.
Perché la busta contiene il Piano Economico Finanziario, o quello che Iren ritiene esso sia, che da una prima veloce lettura assomiglia a qualche appunto e previsione di massima e sicuramente non è quel metodico foglio denso di cifre che una banca pretende prima di dare un finanziamento.
Non è certamente su questi scarni fogli che si può progettare una spesa di oltre 250 milioni di euro, per una holding che fattura oggi miliardi di euro e non si può permettere di scherzare sui conti.
Il primo foglio della anonima missiva, il timbro postale è quello di Bologna, la data quella di venerdì 22 ottobre, l'ora non la si capisce, rivela che lo stesso plico è stato indirizzato a una serie di testate locali e, altra ammissione, ci siamo un pochino inorgogliti di essere inseriti nei portatori di interesse che sono stati destinatari della lettera: Parmadaily, Gazzetta di Parma, Informazione di Parma, Polisquotidiano, Teleducato.
Ora che i fogli sono a nostra disposizione li caricheremo senz'altro sul sito in bella evidenza, per dare la possibilità a tutti i cittadini di avere maggiori informazioni su cosa sta preparando Iren a Ugozzolo.
Perché alcune chicche le possiamo già da ora raccontare.
Ad esempio i costi, che su questi fogli vengono indicati in 252 milioni di euro, una cifra distante anni luce dai 175 sbandierati nel progetto del Pai approvato dalle autorità.
Un'altra bugia che si smaschera da sola è quella delle tariffe.
Iren ha sempre sostenuto che le tariffe dei rifiuti sono superiori a quelle di Reggio e Piacenza per l'assenza a Parma di un inceneritore. E che le tariffe sarebbero scese, una volta costruito l'impianto, a quelle del 2008. Nel Pef invece c'è scritto che le tariffe applicata saranno quelle del 2009.
Consapevolmente hanno sostenuto una bugia. Una cosa assai grave, dal nostro punto di vista.
Ma c'è di più e di più grave.
Tra le pagine c'è anche scritto che il risparmio ottenuto non esportando rifiuti sarà colmato dalle spese per la costruzione dell'inceneritore.
Una affermazione enorme e grave. L'inceneritore doveva servire a calmierare le tariffe ed ora scopriamo che Iren era ben conscia del contrario.
Semplicemente il business che oggi fanno altri, accogliendo i rifiuti di Parma, lo si vuole trasferire sui bilanci della multiutility targata Torino e Genova, facendo pagare tutto, sul fronte economico e su quello sanitario, ai cittadini del nostro territorio.
Non c'è stato tempo di approfondire ulteriormente le carte e le prossime ore saranno sicuramente dedicate a questa operazione.
Ora ci sentiamo di domandare. Chi sapeva?
Se ci fosse un solo minimo sospetto che i nostri amministratori fossero al corrente di queste situazioni, hanno tradito non solo i loro elettori, ma l'intero consesso.
Va da sé che ci aspetteremmo in tal caso una presa di responsabilità.
E le dimissioni immediate.
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 23 ottobre 2010
-560 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+146 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
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