Salendo
in auto per le nostre valli ci si accorge della rovina delle strade.
Si
pensa che la causa sia il dissesto idrogeologico, le frane che hanno
colpito la nostra montagna, le piogge della primavera, ma non è solo
tutto questo.
Più
si prosegue e più è chiaro che le strade sono letteralmente
sfondate.
Il
piano stradale in molti punti presenta conche e avvallamenti che solo
un traffico costante di mezzi pesanti può provocare.
Si
sale ancora e ai lati delle strade slarghi e piazzole colmi di legna
tagliata.
In
certi punti le cataste di legna contornano ininterrottamente la
strada.
Si
alzano gli occhi al bosco e si vedono grandi buchi nel verde, su
pendenze che sconsiglierebbero un taglio così massivo, che lascia
praticamente denudati i terreni, in balia del dilavamento delle
acque, quando giungeranno le piogge.
E'
questo il paesaggio attuale della nostra montagna, boschi come
groviere e strade sfondate dai camion, che portano via la legna dei
tagli.
Qualche
amministratore sostiene le tesi dei tagliatori.
“L'abbandono
dei boschi è palese e non è positivo. Lo denunciano i roghi estivi,
che spesso derivano proprio da autocombustione degli arbusti
abbandonati nel sottobosco. Una politica delle comunità montane che
possa permettere la nascita di qualche centrale a biomassa che
permetta la produzione di elettricità e di teleriscaldamento non
farebbe male e permetterebbe di monitorare e tenere puliti i boschi,
garantendo la giusta turnazione delle piante, la pulizia del
sottobosco ed in ultimo ma non meno importante garantire lavoro a
territori che continuano a spopolarsi a causa di mancanza di lavoro”.
Si
potrebbe rispondere che i roghi estivi per autocombustione accertati
in Italia si possono contare sulle dita di una mano, il restante è
dato da incendi dolosi dettati da interessi vari e in più
dall'incuria di chi opera pulizie del sottobosco con il fuoco che gli
sfugge.
Ma
sollevare il problema degli incendi boschivi nel nostro Appennino è
solo un pretesto, come del resto parlare di pulizia del bosco.
Discorsi
che servono solo a far passare la speculazione dei tagli senza alcuna
limitazione e a far accettare centrali a cippato di legna nei borghi.
Quasi
mai le condizioni di rinnovabilità vengono valutate e rispettate.
Si
ha l'impressione che ci stiamo letteralmente mangiando i nostri
boschi.
Se
il prelievo sarà folle come per altri combustibili a chi ci segue
lasceremo una copia dell'isola di Pasqua.
Sarebbe
utile leggere i regolamenti forestali dove si possono leggere i tempi
per le turnazioni del taglio della legna nelle zone montuose. Sono
tempi lunghi e lunghissimi rapportati alle aspettative del taglio
economico.
Questo
permette a chiunque di rendersi conto quanto sia importante la
sostenibilità di un prelievo regolamentato e non dettato dalla
speculazione.
Invece
oggi è la speculazione sulla legna da ardere che la fa da padrona.
Senza
un piano di tagli programmati che rispetti la rinnovabilità dei
boschi, la proprietà privata e una legge che non pone alcun vincolo,
se non quello dei 6 ettari massimi contigui tagliabili, porteranno al
disastro il nostro Appennino.
Una
montagna non solo sempre meno abitata e senza un'economia, ma
spelacchiata al punto che non si potrà nemmeno più ipotizzare una
ripresa del turismo.
Vi
è l’opinione diffusa che le caldaie a cippato possano essere
alimentate anche solo con cippato proveniente da scarti di potatura
urbana, di potatura ripariale o con le ramaglie abbandonate nei
boschi dai tagli economici.
Occorre
precisare che ciò non sia vero: le ramaglie in generale e quindi
anche gli scarti di potatura urbana composti per lo più da rami e
rametti di piccole dimensioni formano un cippato troppo ricco di
corteccia, che produrrebbe nelle caldaie problemi di combustione e
più ancora la produzione di un quantitativo di ceneri troppo
elevato.
Per
questi motivi le ramaglie possono comparire nel cippato solo in
percentuali non superiori al 30% rispetto alla frazione di cippato
composto da tronchi e parti legnose di maggiori dimensioni.
Più
ceneri significa anche emissioni in aria delle stesse proporzioni:
ossidi di azoto, particolato, ossidi di metalli pesanti e diossina e
malfunzionamento della combustione stessa, perché il cippato di
corteccia è più umido e provoca un minor rendimento della centrale.
Il
sistema più utilizzato per la depurazione fumi di una centrale a
cippato è il ciclone o multiclone. che funziona in questo modo: il
gas di scarico viene fatto passare in un condotto conico in cui, per
effetto
della forza centrifuga sviluppata da aria forzata, si ha il deposito
delle particelle sulle pareti del ciclone e per la forza di gravità
queste precipitano sul fondo dove in seguito vengono raccolte.
Queste
ceneri, a differenza di quelle sotto brace grossolane, sono ceneri
polverose e contengono in maggior quantità metalli pesanti nocivi
(piombo, zinco e cadmio).
In
uscita, il gas che va al camino risulta ancora inquinato da
particelle di piccole dimensioni che il sistema non riesce a
separare.
Le
emissioni con elevate quantità di polveri sottili sono il principale
problema dei biocombustibili solidi, delle biomasse legnose in
particolare.
Un
recente studio, condotto con i criteri di analisi dei cicli di vita
(LCA) ha stimato che, in un impianto di teleriscaldamento, il
passaggio dal gas naturale al gas prodotto dalla combustione e
gassificazione del cippato di legna aumenterebbe di 6,2 volte
l’impatto di inquinanti con significativi effetti sulla salute.
Anche
l'economia del taglio di legna non porta vantaggio alla montagna.
Ogni
ettaro sottoposto a taglio raso o con novellame ha prodotto
quest'anno circa 13.000 euro.
Mille
euro al proprietario del bosco, che può essere un anziano del posto
ma nei due terzi dei casi è una persona che sta in città ed ha la
seconda casa con terreno.
Cinquemila
euro vanno a chi taglia, che può essere un boscaiolo o uno del posto
ma anche uno coi soldi che fa tagliare in nero da altri.
Per
chi taglia ci sono da considerare però le spese per materiali,
trattore e altri mezzi meccanici.
Il
rimanente va a grossisti della pedemontana che rivendono la legna al
minuto.
Più
o meno, il 75% del denaro proveniente dai tagli non resta in
montagna, va in pianura, in città o altrove. Va anche alle ditte che
producono mezzi meccanici e di taglio.
Senza
un progetto di tagli programmato, la nostra montagna sarà
spelacchiata dalla speculazione, preda del dissesto idrogeologico e
sempre più povera e abbandonata.
Giuliano
Serioli
Rete
Ambiente Parma
27
agosto 2013
comitato
pro
valparma
-
comitato
ecologicamente
-
comitato
rubbiano
per
la
vita
-
comitato
cave
all’amianto
no
grazie
-
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gestione
corretta
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– no
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–
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l'informazione
ambientale
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san
secondo
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vaestano
per
il
territorio