di Antonietta Gatti*
La Stampa
Purché brucino, gli inceneritori
accolgono rifiuti di ogni tipo, urbani o industriali che siano. Chi
ha qualche pur vaga cognizione scientifica sa che la combustione non
elimina i rifiuti, però ne riduce il volume apparente trasformandoli
in qualcosa d’altro. Questo lo dice una legge della Fisica che, per
quanto ci si provi, nessun politico può abrogare, ed agire in deroga
equivale ad agire o da sciocco o da criminale. Il Principio di
Conservazione della Massa di Lavoisier (1786) recita che “all’interno
di un sistema chiuso, in una reazione chimica la massa dei reagenti è
esattamente uguale alla massa dei prodotti.” Questo significa che
il fuoco non distrugge affatto il rifiuto ma la temperatura di
combustione ne ossida le sostanze che lo compongono e, semplificando
un po’ il concetto, fa cambiare aspetto a molti composti.
Per chiarire meglio il concetto, se si
mettono 100 kg di rifiuti, 100 kg sarà la somma dei composti che
risultano da quella combustione suddivisi in ceneri, polveri e gas.
Per essere aderenti alla realtà, però, ciò che risulta alla fine
di un incenerimento risulta superiore al peso del rifiuto trattato,
dal momento che la combustione pretende l’ingresso di ossigeno nel
processo, e l’ossigeno ha una massa. Poi, per diverse ragioni, nel
processo industriale che avviene in un inceneritore si devono
aggiungere diverse sostanze: metano, carbone, soda, calce, ecc. Il
risultato è che la massa di ciò che esce è un po’ più che
doppia di ciò che si sarebbe gradito “far sparire”. Ricordo che
in un impianto d’incenerimento buona parte della struttura è
dedicata alla filtrazione di ciò che viene aerosolizzato, ma i
risultati di quella filtrazione sono molto lontani dall’essere
soddisfacenti.
Ora, non pochi cittadini che vivono
attorno ad un inceneritore si sono raccolti in associazioni per
rivendicare il loro diritto ad avere un’aria pulita e, soprattutto,
per rivendicare il diritto alla salute. Sì perché da Nord a Sud
tutti lamentano un aumento di patologie che i gestori degli
inceneritori ed i soci della multiutility del caso, tradizionalmente
i politici, negano con tutte le loro forze. La scusa è sempre quella
offerta dagli studi epidemiologici confezionati da “scienziati”
che non hanno evidenziato nulla. Peccato che questi studi siano
sponsorizzati proprio da chi ha interesse a mostrare risultati non
proprio obiettivi e che nella quasi totalità dei casi gli studi
siano condotti in maniera a dir poco opinabile. I dati che escono da
quegli studi sono prodotti secondo regole apparentemente
scientifiche, ma con una scientificità applicata ad arte in modo da
non far risultare niente di anomalo, di preoccupante, soprattutto di
fastidioso per chi quegli studi ha commissionato.
Basti vedere come sono scelti i
territori da investigare, come le patologie, come i tempi
d’incubazione. Il che equivale a mettere la testa sotto la sabbia
o, per essere in tema con ciò che esce dagli impianti, equivale a
nascondere la polvere sotto il tappeto. Di fatto questi personaggi
pensano che siamo tutti imbecilli ed ignoranti. Però costoro non
hanno fatto i conti con la popolazione che si ammala e che, toccata
sul vivo, piano piano si accorge di essere presa in giro e comincia,
nella più riduttiva delle ipotesi, a porsi delle domande. Il passo
seguente e certo meno riduttivo è la ribellione.
Un esempio di presa per i fondelli si
sta attuando a casa mia, intorno a Modena. In risposta a ripetute
richieste dei cittadini è partita l’idea di un nuovo monitoraggio
della popolazione attorno all’inceneritore, un impianto che prima è
stato duplicato, poi triplicato, poi, a ridosso di Ferragosto di
quest’anno, è diventato per incanto inceneritore nazionale, vale a
dire che può – potenza ed efficienza della burocrazia agostana -
bruciare rifiuti di tutta Italia, per tossici che siano. Certo un bel
primato e certo un altro fiume di quattrini nelle tasche di qualcuno.
Ma la salute prima di tutto e, allora,
via al monitoraggio. Al centro dell’attenzione dei controllori ci
saranno le urine e le unghie dei piedi di chi abita in zona
inceneritore, certi di accontentare così i cittadini e altrettanto
certi di cancellare i loro timori. A questo punto i casi sono due: o
chi ha proposto quella roba ci prende per dei cretini o, in
alternativa, chi ha proposto quella roba è un incompetente.
Personalmente propendo per la seconda
ipotesi, e lo faccio per i motivi che elenco. Da un camino
d’inceneritore escono gas e polveri ai quali gli abitanti della
zona sono per forza di cose esposti. Le polveri sono tutte dannose,
ma lo sono più o meno a seconda della loro morfologia, della loro
dimensione e della loro composizione chimica. Purtroppo i gestori
dell’inceneritore non analizzano mai in modo esauriente i rifiuti
bruciati né ciò che esce a falò fatto, limitandosi a “controllare”
i pochissimi parametri di legge e trascurandone migliaia d’altri,
perché migliaia, nella più prudente delle ipotesi, nei fatti sono.
Meno che mai i controlli si spingono a caratterizzare le polveri per
forma e composizione, fermandosi, nella migliore delle ipotesi, a
stabilire quante ce ne sono, non per numero ma grossolanamente per
massa, con un diametro uguale o inferiore a 10 micron e quante sotto
i 2 micron e mezzo. Quanto alle ricadute, si tracciano dei cerchi
concentrici con raggi diversi, in barba al comportamento reale delle
polveri che, giusto per semplificare, si spostano secondo la
direzione del vento. Comunque sia, chi è esposto agli effluenti
dell’inceneritore respirandoli e, magari, ingerendoli con la frutta
e la verdura su cui quella roba ricade, lo è per tutti i giorni
dell’anno con un effetto che è quello della goccia che scava la
pietra.
Da poco più di un mese lo IARC, l’ente
dell’OMS che valuta le sostanze cancerogene, ha reso pubblico un
rapporto con cui informa che le polveri sono ufficialmente un
cancerogeno di Classe I, la categoria dove stanno le sostanze più
aggressive. Tradotto in pratica, l’esposizione, ancor di più se
continua, può determinare l’insorgere di forme di cancro.
È poi noto dalla letteratura medica
che, restando alle polveri, la frazione dimensionale sotto il micron
ha il potere di superare la barriera polmonare e di finire nel
sangue. Da qui è conseguente poter raggiungere tutti gli organi
interni ed essere captate anche selettivamente per affinità chimica
dai diversi tessuti. L’accumulo può far scatenare una reattività
biologica del tessuto o dell’organo innescando, quindi, una
patologia. In letteratura non è descritto nessun meccanismo di
eliminazione di queste polveri e, quindi, è fantasia pura pensare di
trovarle nelle urine come vorrebbero farci credere. Il pensare, poi,
di ritrovarle nelle unghie dei piedi è una specie di beffarda
fantabiologia. A giudicare da questo parrebbe che gli “scienziati”
cooptati per il monitoraggio che hanno partorito questa pensata non
conoscano nemmeno la differenza fra atomo, ione, molecola, composto
chimico e particella. Senza entrare in particolari che risulterebbero
pedanti, basti sapere che le particelle non vanno né nelle urine né
nelle unghie. Ma nelle urine e nelle unghie non va nemmeno una
miriade d’inquinanti che l’inceneritore produce con generosità,
le diossine in primis. Dunque, se urine e unghie sono i testimoni,
non ci sono preoccupazioni e, chissà, forse sapremo in via ufficiale
che, come già certificò qualcuno, dall’inceneritore esce aria più
pulita di quella che è entrata.
Il risultato sarà il solito: questi
signori avranno speso un bel po’ di quattrini di Pantalone per
poter raccontare che non c’è nessuna evidenza di correlazione fra
l’incenerimento e le patologie cancerose della popolazione. Tutte
le altre patologie da inquinamento non sono nemmeno contemplate e,
almeno, non ci sarà bisogno di raccontare altre frottole. Intanto
noi saremo di nuovo cornuti e mazziati, però, almeno, avremo la
soddisfazione di aver ingrassato ancora qualche conto in banca.
* fisico e bioingegnere, Gatti è un
International Fellow della Unione delle Società dei Biomateriali e
di Ingegneria. Ha coordinato Progetti Europei e Nazionali di
Nanotossicologia, di Nanopatologia e di Nanoecotossicologia e si
occupa dell’impatto di polveri submicroniche sulla salute umana,
animale e quella del mondo vegetale.
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