Le aziende si sono da tempo accorte della crescente sensibilità dei consumatori verso l'ambiente e l'ecologia e, con grande prontezza, si sono organizzate di conseguenza.
Ci si poteva aspettare una risposta coerente: una maggiore attenzione del mercato verso l'ecologia porta a prodotti più ecologici.
Purtroppo spesso non è così e il cinismo svetta ancora una volta su altre prerogative.
In inglese questo fenomeno viene chiamato “greenwashing”, un termine che non ha un suo corrispondente italiano ma che, lo capisce bene anche un neofita della lingua anglosassone, significa proprio mettere in lavatrice qualcosa per renderlo più “verde” e presentabile ai consumatori, pur mantenendo caratteristiche che nulla hanno a che fare con lo spirito ecologista.
Greenwashing vuol dire quindi spacciare un prodotto o una attività di una azienda e di una impresa come ecologico, quando invece di ecologico non ha nulla.
Dedicare quindi maggiore tempo al “far apparire” un prodotto verde piuttosto che farlo davvero tale.
Oggi il verde pare sia un colore molto di moda, non solo negli equilibri politici italiani, ma anche e soprattutto come apripista al miglioramento delle vendite e dell'immagine di una azienda che però, spesso, rimane solo una immagine vuota di contenuti.
Tingersi verdi pare proprio come una mascherata di carnevale, quando lo scopo del gioco è proprio quello di apparire per quello che non si è.
Così uno studio di Greenbean, www.greenbean.it, agenzia specializzata nella sostenibilità, ha analizzato il fenomeno prendendo in considerazione 83 marchi che hanno nella loro politica di vendita campagne pubblicitarie orientate alla sostenibilità ambientale, prendendo in considerazione le azioni realizzate dal 2008 al 2010.
Su 83 casi, ben 53 erano esempi evidenti di greenwashing, facendo emergere che in realtà spesso queste campagne assomigliano molto ad una presa in giro dei consumatori.
Sono 3 le macro tendenze che le aziende utilizzano in questo nuovo e promettente filone del vendere fischi per fiaschi: delegare al consumatore la responsabilità di salvare il pianeta, proponendo il prodotto come utile strumento allo scopo; ricercare indulgenza auto glorificando la propria condotta; relegare il consumatore a un ruolo passivo, limitando, negando o minimizzando le informazioni proposte.
Anche nel panorama nostrano abbiamo vissuto da vicino un macro caso di greenwashing.
Proposto e sviluppato dalla multiutility Enia, ora Iren, che si è presentata per mesi all'opinione pubblica spacciando il progetto dell'inceneritore come una azione “verde”, di rispetto per l'ambiente ed anzi di recupero delle qualità ambientali del nostro territorio.
L'azione è stata condotta attraverso campagne stampa imponenti, con presentazioni allegate ai quotidiani, sciorinando dati e progetti che nel tempo hanno mostrato tutta la loro inconsistenza.
Il passaggio più eclatante è stato sicuramente quello del boschetto mangiapolveri, che doveva contribuire in modo consistente e decisivo a ridurre l'impatto delle emissioni del camino del nascente inceneritore, appunto “mangiando” le polveri irrorate in atmosfera.
La messa alla berlina del pastrocchio si è verificata durante una recente trasmissione televisiva, nel momento in cui è stato chiesto ad un ricercatore universitario di spiegare il principio attraverso il quale una foglia dovrebbe fagocitare questi inquinanti.
La non risposta, un silenzio accompagnato da un eloquente sorriso, ha come si dice congelato l'attimo, donando a tutti i telespettatori una perla di informazione, il bello della diretta si direbbe, una prova incancellabile della finzione, facendo evaporare in un attimo mesi, forse anni, di allenamento, preparazione, piani marketing, finemente studiati per... raccontarcela.
Fingersi verdi, tutto sommato, non è poi così semplice.
La sostenibilità è la capacità di un sistema di prosperare nel tempo e bruciare rifiuti non è certo considerato sostenibile, visto che la prosperità di un solo attore, in questo caso Iren, giunge a scapito di tutti gli altri 99, ambiente incluso.
Il video del boschetto mangiapolveri: http://tinyurl.com/mangiapolvere (da non perdere)
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 7 ottobre 2010
-577 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, NOI lo possiamo fermare!
+129 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore ci costerà molto di più di 180 milioni di euro?
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