giovedì 13 ottobre 2011

Inceneritore Fenice, arrestati i vertici Arpa

Arpa Basilicata nella bufera, metalli pesanti nella falda

Inceneritore che vai, disastro che trovi. Non c'è pace per questi impianti che, sulla carta, sono il meglio della tecnologia possibile, ma poi sul campo recano inimmaginabili disastri, spesso con la complicità delle autorità competenti.
Il caso dell'inceneritore Fenice è eclatante.
I dati sull'inquinamento da metalli pesanti provocato dall'inceneritore erano stati taroccati e nascosti. E sono state tante le quantità di sostanze tossiche che sono sfuggite ai controlli.


Vincenzo Sigillito e un primo piano dell'impianto di Melfi

L'accusa è quella di disastro ambientale e omissione di atti d'ufficio.
Così mercoledì sono andati agli arresti domiciliari l'ex direttore dell'Agenzia regionale per l'ambiente della Basilicata, Vincenzo Sigillito, titolare dal 2006 al 2010, e l'attuale coordinatore del dipartimento provinciale dell'ente ambientale regionale Bruno Bove.
Su richiesta del pubblico ministero Salvatore Colegga, il giudico per le indagini preliminari di Potenza, Tiziana Petrocelli, ha disposto il divieto di ricoprire cariche direttive per l'attuale e l'ex procuratore responsabile dell'impianto, Mirco Maritano e per Giovanni De Paoli.
L'impianto Fenice ha inquinato le falde acquifere almeno dal 2002, ma l'Arpab Basilicata non ha comunicato i dati sull'inquinamento ambientale agli enti pubblici lucani.
Dalle indagini emerge un quadro più volte denunciato dalle associazioni ambientaliste locali, ma che finora non era mai giunto a nulla. E' emerso che un pericoloso inquinamento della falda acquifera è stato prodotto da metalli pesanti e solventi organici, anche cancerogeni, che non era monitorato dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale, nonostante l'obbligo di inviare relazioni periodiche alla Regione, alla Provincia e alla Prefettura.
La presenza e la quantità di alcuni metalli pesanti, inoltre, non sarebbe mai stata verificata.
L'inesistente controllo ha causato così anche la mancata attivazione di tutte quelle procedure di salvaguardia del territorio, e delle persone, previste in queste situazioni.
I cittadini lucani ormai da 10 anni si trovano a convivere con questo gigantesco impianto di incenerimento di rifiuti tossico nocivi che era stato costruito da Fiat e poi venduto alla multinazionale francese Edf.
Nell'area di Melfi è attivo un impianto di produzione della prima industria italiana dell'automobile, ma anche un impianto di produzione di Barilla, il colosso della pasta made in Parma.
Le garanzie degli enti addetti alla salute pubblica sono in questo caso clamorosamente venute meno.
Ci si chiede come sia possibile che nonostante le ripetute denunce e segnalazioni dei cittadini e dei comitati di difesa del territorio, si sia continuato a negare l'evidenza, permettendo all'impianto di operare il costante avvelenamento del territorio, addirittura andando ad intaccare la falda acquifera da cui tutti prelevano per l'alimentazione.
Del resto affidare i controlli agli stessi gestori degli impianti, come è previsto anche per Parma, ci sembra una assurdità nei termini. Prova ne sia l'atteggiamento di Iren nei confronti della trasparenza: da 500 giorni il documento di pianificazione economico finanziaria dell'inceneritore di Parma manca all'appello

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

Parma, 13 ottobre 2011

-55 giorni alla sentenza nel merito del Tar di Parma sul cantiere dell'inceneritore
+500 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?

Da giugno 2011 anche a Parma il tetrapak (cartoni del latte, dei succhi di frutta...) può essere riciclato, mettendolo nel bidone giallo per la raccolta di vetro, plastica e barattolame.

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