giovedì 10 novembre 2011

La Food Valley minacciata

Molteplici voci, per dire che la food valley è gravemente minacciata.
Sulla Gazzetta di Parma Carlo Andrea Sartori, vicepresidente di Asser, associazione regionale dei suinicultori, ha affermato che le aziende con meno di 10 capi chiudono, perché gli allevatori sono anziani e non c'è ricambio in famiglia. Le aziende con più di 100 capi chiudono perché più capi vuol dire più costi a prezzi di vendita invariati.
Come mai, invece, crescono le aziende con un numero di capi tra 10 e 100?



Sono più agevolate nello smaltimento o meno sottoposte a controlli?
Non esiste un disciplinare sulle cosce che imponga la loro produzione locale, vietando l'importazione?
Non esiste alcuna tracciabilità?
Le cosce di prosciutto vengono infatti ormai in gran parte importate dalla Romania: numerosi sono gli allevamenti suini che hanno chiuso perché troppo costosi gli impianti richiesti per lo smaltimento delle deiezioni.
Gli stessi allevamenti bovini, tutti rigorosamente industriali, stanno gravemente intasando di ammoniaca le falde e i suoli in pianura, quando non addirittura inquinando bellamente i torrenti in
cui scaricano senza regole, come lungo l'Enza, il Cedra etc.

“La svolta negativa in zootecnia, afferma il dott. Cunial, è avvenuta alla fine degli anni 70 quando sono nati i mangimifici che riconvertono spesso rifiuti (vedi oli esausti e diossina nelle galline) in alimenti zootecnici, slegando completamente la produzione animale dal suolo agricolo, che prima era necessario per l'alimentazione degli animali e per lo spargimento delle deiezioni. Inoltre l'inquinamento è divenuto altissimo passando dal letame al liquame: un'autentica bomba ecologica per le falde, perché contiene azoto altamente solubile (nitrico nitroso ed ammoniacale).
Il letame maturo ha tutto l'azoto in forma organica e quindi non solubile in acqua, inoltre ha un odore caratteristico non sgradevole, ma la politica soprattutto europea ha spinto verso la
direzione sbagliata, inoltre posso testimoniare che si controllano le cose formali e non si vuole intervenire sull'inquinamento reale. I nitrati che si trovano nelle acque e nell'acquedotto di Parma arrivano soprattutto dalle zone collinari ed appenniniche, che alimentano le reti acquedottistiche.
Mi è capitato di trovare negli acquedotti anche valori 6 volte superiori alla norma, ma se chiedi i dati ti danno dei valori medi periodici. Per il prosciutto servirebbe il censimento dei capi, così che si scoprirebbe che i suini italiani sono meno della metà!
Altro che trifoglio, l'importazione di balle di fieno da qualsiasi parte è ormai la norma e per ovviare al disciplinare del parmigiano per quanto riguarda gli ettari in rapporto al numero di capi in stalla, pare si ricorra all'affitto senza il governo dei tagli, solo per essere formalmente in regola.
Tali allevamenti industriali stanno colonizzando anche la montagna, risalendo le valli fino ai crinali. Infatti dai dati del censimento bovino del 2010 risulta che le aziende con numero di capi tra 100 e 500 sono in crescita e ne sono a conferma le stalle sorte tra Selvanizza e Monchio, tra Selvanizza e Rigoso e tra Neviano e Lagrimone.
Come potranno suoli, torrenti e falde sempre più inquinati sostenere un processo industriale che sembra non porsi limiti di quantità di prodotto, mirando solo ad una speculazione forsennata e improvvida? Come ci si può basare solo su una tracciabilità igienica formale per produrre
un alimentare che si pretende di elevata qualità e non soprattutto sull'eccellenza dei sapori che solo la qualità artigianale delle lavorazioni può garantire, insieme alla sostenibilità del tutto per
l'integrità del territorio?
E' una affermazione di Mutti, dell'omonima azienda produttrice di conserve di pomodoro.
Una strada potrebbe essere quella dei biodigestori anaerobici, per produrre metano dalle deiezioni e di quelli aerobici per produrre compost, fertilizzante naturale.
Il comune di Montechiarugolo aveva accennato ad un progetto in tal senso, ma pareva dimensionato sullo smaltimento dell'intero comprensorio che dalla città andava fino a Neviano, con gli ovvi problemi di traffico e sostenibilità.
In ogni caso non se ne è più saputo niente.
Da un produttore di prosciutto, cui è stato proposto, si è saputo che un sacco di aziende si sono buttate sulle rinnovabili per specularci, producendo energia elettrica e incamerando incentivi dalla combustione di olio di colza, importato da chissà dove.
Se fosse una cosa diffusa sarebbe un'ulteriore fattore di inquinamento della food valley.

Giuliano Serioli

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