lunedì 20 giugno 2011

Burning is business

Il piano provinciale di gestione dei rifiuti di Parma prevede di trattare dal 2012 in avanti 20.000 tonnellate/anno di fanghi nell’inceneritore di Ugozzolo. Si tratta di fanghi provenienti dagli impianti di depurazione, che in qualche modo devono giustamente essere smaltiti, ma che a Parma si è deciso in modo apparentemente inspiegabile di bruciare, nell’ambito del progetto del Polo Ambientale Integrato.
Bruciare fango per ottenere energia per il teleriscaldamento.
Bruciare del fango.



Ai più mettere insieme queste due parole sembrerà un'assurdità, un autentico controsenso. Quando mai abbiamo pensato di prendere del fango per riscaldare le nostre case? O per fare una grigliata?
Che il fango abbia un bassissimo potere calorifico lo sanno anche i bambini, intriso com’è di acqua, e quindi ci riesce difficile capire perché sia ritenuto un combustibile molto utile all’impianto.
Per far sì che il fango possa essere trattato nell’inceneritore di Parma dovrà prima essere processato in un impianto di bioessicazione, al fine di ridurre il contenuto di acqua all’interno della massa. Anche dopo questo passaggio resta un mistero perché si preferisca bruciare materia che potrebbe essere tranquillamente utilizzata, ad esempio, per la produzione di biogas, tramite digestori anaerobici.
Il divieto di spandere i fanghi in agricoltura, spesso invocato dai convinti sostenitori dell'incenerimento, è in realtà stato definitivamente sconfessato da una recente sentenza del Tribunale Amministrativo della Lombardia che ha annullato la delibera regionale “D.G.R. n. 8/9953 del 29 luglio 2009, avente ad oggetto le Disposizioni per la sospensione dell’attività di spandimento in agricoltura dei fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue”.
Il Tar mette in evidenza che “non emergono dati di superamento dei limiti massimi di metalli pesanti previsti negli allegati IA (per i terreni) e IB (per i fanghi) al d.lgs. n. 99/92, emanato proprio in attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente”, sottolineando l’inesistenza del pericolo di contaminazione delle falde invocato dai sostenitori del fango bruciato.
Ma perché, direte voi, si insiste con accanimento nel perseguire una soluzione che sembra di dubbia efficacia, nella gestione di un impianto che deve produrre calore per energia termica?
Abbiamo fatto alcune considerazioni e siamo giunti alla conclusione che la scelta è fortemente guidata dal profitto economico ottenibile trattando appunto i fanghi nell’inceneritore.
Secondo stime di esperti termotecnici ed analizzando la legislazione in materia, si evince infatti che un impianto della taglia di quello di Ugozzolo beneficerà degli incentivi statali, i Certificati Verdi, per un valore di circa 7 milioni di euro, solo perché bruciare i fanghi da depurazione viene classificato come impiego di energia rinnovabile dalla legge italiana.
Un impianto che quindi sembra concepito in particolare per massimizzare il profitto e non per risolvere il problema dei rifiuti di Parma, utilizzando il teleriscaldamento solo per rientrare nei parametri di rendimento energetico, che appunto consentono poi di beneficiare di questi incentivi.
La direttiva europea 2008/98/CE stabilisce che un impianto di questo tipo è classificabile tra quelli a recupero energetico (cod. R1), quindi soggetto alla disciplina degli impianti di recupero energetico e non di smaltimento, solo se oltrepassa un valore di rendimento di 0,65.
Un impianto come quello di Parma, se non avesse il teleriscaldamento, (e quindi fosse posizionato lontano da luoghi abitati dove minore è la possibilità di impattare su ambiente e persone) avrebbe un indice di 0,57.
Quindi si ritroverebbe improvvisamente senza enormi guadagni.
Un impianto della taglia di quello di Parma, se non fosse sovvenzionato (e dunque drogato dagli incentivi statali), non sarebbe economicamente sostenibile ne vantaggioso.
Si stima che dei 20 milioni previsti di ricavi previsti ogni anno, ben 15 siano da asservire al comparto degli incentivi.
Se i ricavi fossero solo di 5 milioni ogni anno, nessuna azienda avrebbe investito 194 milioni di Euro per un progetto così poco remunerativo.
E’ chiaro ormai che nel soppesare il rapporto costi/benefici ci troviamo di fronte ad una gara persa in partenza, se ragioniamo con la sola ed esclusiva logica aziendale.
Ma i nostri amministratori, che invece dovrebbero soppesare anche altri aspetti e valori, oltre a quelli economici, come la pensano?
Come la pensano Vignali, Villani e Bernazzoli?
Lo bruciamo il fango o lo recuperiamo?

Parma, 20 giugno 2011

-321 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.

+385 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?

+63 giorni dal lancio di Boicottiren: http://tinyurl.com/boicottiren

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