giovedì 9 agosto 2012

5 tesi fra montagna e città


Due forme di cultura opposte
La città e la montagna rappresentano due forme di cultura molto diverse tra loro, quasi opposte.
Nella prima elaborazioni concettuali astratte possono costituire la verità.
Nella seconda, al contrario, verità sono solo i dati di fatto e le astrazioni diventano chiacchiere inutili. Qualsiasi opinione può farsi teoria e far parte del sapere; di contro il sapere è tramandato solo oralmente ed è costituito dalle esperienze che si sono affermate con successo e quindi, per questo, divenute vere.
L'uomo di città è portato ad esprimere le proprie opinioni; il montanaro, come il servo della gleba dell'antichità, si trattiene dall'esporre ciò che pensa aspettando il momento giusto per farlo valere.
Il coraggio delle proprie opinioni da una parte, la propria ragione da imporre coi fatti, dall'altra.
Le due mentalità  sembrano inconciliabili.
La città padroneggia la tecnologia che ha soppiantato i mestieri e i saperi della montagna.
Dalla città arriva la speculazione che può decidere dei destini della montagna.



La montagna sta morendo
Tutti ne parlano, tutti temono che si avveri.
L'agricoltura e l'allevamento tradizionali sono spariti. L'agricoltura industriale ha sbaragliato il campo. L'artigianato è ormai del tutto soppiantato dall'industria manifatturiera.
I famosi saperi e mestieri, di cui i politici si riempiono la bocca, rischiano di finire dimenticati definitivamente in qualche museo polveroso.
La montagna è stata abbandonata da tempo, ma non si intravedono attività economiche che possano bloccare i giovani nelle terre alte, mentre la città appare loro con tutto il luccichio delle promesse  di soldi, sesso e socialità.
Qualcuno ha detto che "siamo seduti su un altro petrolio" e il mercato della legna da ardere ha risposto aumentando la domanda, complice la crisi economica e il prezzo dei carburanti.
In montagna, molti si sentono spinti a tagliare più legna possibile, come fossero consapevoli che si stanno dividendo le spoglie di qualcosa che presto non ci sarà più.
Nell'indifferenza delle amministrazioni. Anzi, con funzionari pronti a giustificare la cosa e a raccontare in giro che, essendoci il  doppio di boschi di quarant'anni fa, si può tagliare tutto ciò che è ricresciuto, recuperando la biodiversità dei prati di una volta.


Si fermeranno la speculazione sulla legna e i tagli?
Da soli no.
La green economy applicata alle biomasse si è sommata al mercato della legna da ardere, moltiplicando la domanda.  Legna portata via coi camion per essere cippata e bruciata chissà dove o trasformata in pellet. Nel 2011 sono state vendute in Italia 200 mila stufe a pellet.
I tagli si sono moltiplicati al punto che l'offerta ha superato di gran lunga la domanda, portando il prezzo di vendita dagli 8 euro al quintale iniziali, agli attuali 5,5 euro.
Pensate che si taglierà  di meno per riequilibrare il prezzo di mercato?
Semmai il contrario.
La gente che si è abituata a quella fonte di denaro non sarà disposta a rinunciarvi, men che meno con la crisi in atto. Anzi, taglierà di più per raggiungere lo stesso gruzzolo dell'anno precedente. D'altra parte il ribasso dei prezzi di mercato della legna non farà altro che renderla sempre più  conveniente rispetto a quello dei carburanti fossili e più appetibile per un  sempre più vasto bacino di utenti.
Una spirale senza fine che arriverà a consumare i nostri boschi.

Il riscaldamento globale colpirà duro in montagna
Molti montanari e gente di città appassionata di montagna cominciano ad intuire cosa succederà e a preoccuparsi seriamente.
Il cambiamento climatico arriverà  prima in montagna. Provocherà siccità nella fascia delle sorgenti, dove la neve per diversi mesi è necessaria alla loro ricarica.
La durata dell'innevamento si accorcia sempre più, è capricciosa: di giorno il calore del sole scioglie la neve, di notte l'altitudine la fa gelare, provocando vetroghiaccio, un fenomeno disastroso per le piante, spezzate dall'aumento di volume del ghiaccio riformato.
La fascia delle sorgenti è la zona delle faggete, bisognose di umidità e di acqua.
La loro traspirazione ributta fuori quella stessa umidità di cui hanno bisogno alimentando temporali, necessari a mantenere il microclima. Ma tali temporali estivi  in futuro, data la sempre maggior escursione termica, tenderanno a diventare burrasche, con enormi quantità d'acqua in poco tempo, come nelle Cinque Terre, o come in questi giorni in Alto Adige.
I versanti dei monti, denudati dal taglio spropositato, scenderanno a valle riempiendo i torrenti che, tracimando, travolgeranno ogni cosa. Le prime ad essere colpite saranno le strade.
L'acqua è ancora abbondante in montagna, ma viene rubata.
Enel, coi suoi bacini e condotte mai ristrutturati, perde il 50% dell'acqua captata e dà ai comuni montani solo elemosine.
Aziende di imbottigliamento come la Norda-Lynx, a Ponteceno, e tante altre, portano via l'acqua per pochi spiccioli.
La maggior parte dei comuni si vantano di aver dato in gestione i propri acquedotti ad Iren,
con la conseguenza che ora si trovano nell'impossibilità di turbinarli per ricavare elettricità
e rimpinguare le casse pubbliche.

Cosa può salvare la montagna?
La montagna, lasciata a se stessa e alla miopia dello sfruttamento delle sue risorse, diventerà terra di conquista. Non resterà a lungo disabitata, sarà ripopolata da gente dell'est, mercenari pagati in nero al soldo della speculazione.
L'ambientalismo ideologico, quello che dice sempre no a tutto, non ci interessa. Non è credibile e non ha un progetto per la montagna.
Ma l'uso sostenibile delle energie rinnovabili non è la stessa cosa della green economy. Con lo sviluppo delle centrali termiche a cippato, della cogenerazione per produrre energia elettrica e delle aziende di taglio industriale della legna, le amministrazioni sembrano accettare il suo dettato: soldi in cambio di risorse.
Ma l'uso delle rinnovabili senza intaccare le risorse può far rinascere i borghi.
Le innovazioni tecnologiche della città possono legarsi agli antichi mestieri, farli rivivere.
Il solare fotovoltaico e il solare termico uniti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico possono essere il volano di nuova occupazione e di autonomia energetica.
Possono costruire la base ricettiva adeguata per un turismo diverso da quello di massa.
Un turismo capace di far nascere la domanda di produzioni alimentari biologiche e artigianali di pregio. L'Alto Adige e il Trentino insegnano.
Il principio deve essere quello che il lavoro non deve consumare le risorse.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
9 agosto 2012

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