La montagna sta morendo, i primi a dirlo sono i montanari stessi.
Tutti ne parlano, tutti temono che si avveri.
Chiunque prometta soldi, non importa per cosa, è ben accetto.
I tagli boschivi fanno assomigliare i pendii alla groviera.
Ma la realtà è peggio di ciò che appare perché molti hanno capito di dover tagliare nei retroversanti, lontano dalla visibilità delle strade.
L'agricoltura e l'allevamento tradizionali sono spariti. L'agricoltura industriale ha sbaragliato il campo. L'artigianato è ormai del tutto soppiantato dall'industria manifatturiera.
I famosi saperi e mestieri, di cui i politici si riempiono la bocca, rischiano di finire dimenticati definitivamente in qualche museo polveroso.
La montagna ha cominciato ad essere abbandonata da tempo e non si vede uno spiraglio di attività economica che tenga su i giovani, mentre la città appare loro con tutto il luccichio delle promesse di soldi, sesso e socialità.
Un funzionario della Provincia sostiene che “siamo seduti su un altro petrolio” e il mercato della legna da ardere ha risposto aumentando la domanda, complice la crisi economica e il prezzo dei carburanti.
In montagna, molti si sentono spinti a tagliare più legna possibile, come fossero consapevoli che si stanno dividendo le spoglie di un mondo destinato a sparire, nell'indifferenza delle amministrazioni.
Anzi, con amministratori pronti a giustificare ogni cosa, raccontando in giro che essendoci il doppio di boschi di quarant'anni fa si può arrivare a tagliare tutto ciò che è ricresciuto, recuperando, udite,
udite, la biodiversità dei prati di una volta.
Ci sarebbe da ridire, se non ci fosse da piangere.
Cosa dirà di ciò la Regione che afferma la rinnovabilità intoccabile e al 4% massimo del totale dei boschi?
Gli unici dati sul taglio dei boschi forniti da Provincia e Comunità Montana sono del 2010 e si riferiscono al quinquennio precedente. Fino al 2008 gli ettari richiesti al taglio erano più o meno gli stessi. Nel 2009, di botto, quasi raddoppiano: 2.000 ettari, corrispondenti a circa 200mila tonnellate.
Da allora più nessun dato esce dalle amministrazioni.
La percezione è che ogni anno vi sia un ulteriore incremento dei tagli.
Percezione confermata dai muri di legna tagliata ai lati delle strade, da interi versanti denudati e soggetti a futuro dissesto idrogeologico, dalla rabbia dei boscaioli per imprese di taglio che nascono da un giorno all'altro utilizzando manovalanza straniera in nero, dalle stesse voci allarmate di alcuni sindaci.
Confermata purtroppo anche dall'analisi dei dati nazionali degli stessi operatori del settore.
Da Annalisa Paniz, di AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali), viene la fotografia del settore che vede l’Italia prima nel mondo per importazione di legna da ardere e prima in Europa anche nella produzione e vendita delle stufe a pellet. “Le biomasse legnose consumate dagli italiani nel 2012 saranno vicine ai 20 milioni di tonnellate: per l’80% (16 milioni di tonnellate) costituite da legna da ardere e per il 9% da pellet (2 milioni)”.
“Si prevede che nel 2012 siano importati in Italia ben 3,3 milioni di tonnellate di legna da ardere”, dice la Coldiretti. La biomassa legnosa prelevabile annualmente, senza pregiudicare la
rinnovabilità, è stimata nel 4% del totale del ceduo presente nel nostro paese, 3.663.000 ettari circa, e pari a 14.620.000 tonnellate.
Conoscendo la stima dei consumi previsti per il 2012, circa 16.000.000 di tonnellate e quella della legna da ardere importata, 3.300.0000 tonnellate, si può arrivare facilmente alla stima della legna effettivamente tagliata, cioè 16.000.000 - 3.300.000 = 12.700.000 tonnellate di legna, pericolosamente vicina alla soglia di rinnovabilità (14,6 milioni).
Se però si aggiunge la previsione del pellet prodotto nel 2012, circa 800.000 tonnellate, si arriva a
13.500.000 tonnellate di legna tagliata, pari al 92% dell'interesse, oltre il quale vien meno la sostenibilità e si comincia ad intaccare la rinnovabilità.
Ma questi sono dati nazionali. Nella realtà ci sono regioni in cui si taglia di meno ed altre di più. L'Appennino Tosco-Emiliano è il fornitare più rigoglioso e vicino dell'enorme mercato della pianura
padana e delle centrali a cippato impiantate nelle Alpi.
Il dissesto delle strade di montagna, lo sfondamento in certi casi del manto d'asfalto per il via vai dei camion di legna, testimonia ampiamente quanto supposto: la rinnovabilità dei boschi del nostro
appennino è già stata intaccata.
La speculazione sulla legna e i tagli si fermeranno? Da soli no.
La green economy applicata alle biomasse si è sommata al mercato della legna da ardere, moltiplicando la domanda. Legna portata via coi camion per essere cippata e bruciata chissà dove o trasformata in pellet. Nel 2011 sono state vendute in Italia 200.000 stufe a pellet.
I tagli si sono moltiplicati al punto che l'offerta ha superato di gran lunga la domanda, portando il prezzo di vendita dagli 8 euro al quintale iniziali, agli attuali 5,5 euro.
E' pensabile che si tagli di meno per riequilibrare il prezzo di mercato?
No, sarà il contrario.
La gente che si è abituata a quella fonte di denaro non sarà disposta a rinunciarvi, men che meno con la crisi in atto. Anzi, taglierà di più per raggiungere lo stesso gruzzolo dell'anno precedente. D'altra parte il ribasso dei prezzi di mercato della legna non farà altro che renderla sempre più conveniente rispetto a quello dei carburanti fossili e più appetibile per un sempre più vasto bacino di utenti.
Una spirale senza fine che arriverà a consumare i nostri boschi.
Cui seguirà il dissesto idrogeologico diffuso, l'inquinamento delle acque e dell'aria.
La montagna, lasciata a se stessa e alla miopia dello sfruttamento delle sue risorse, diventerà terra di conquista.
Con lo sviluppo, poi, delle centrali termiche a cippato anche nella nostra provincia, della cogenerazione per produrre energia elettrica (Monchio) e delle aziende di taglio industriale della legna (Albareto e Neviano), le amministrazioni sembrano accettare il dettato della green economy: soldi in cambio di risorse.
Cosa può salvare la montagna?
L'uso delle rinnovabili senza intaccare le risorse può far rinascere i borghi.
Le innovazioni tecnologiche possono legarsi agli antichi mestieri, farli rivivere.
Il solare fotovoltaico e il solare termico uniti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico possono essere il volano di nuova occupazione e di autonomia energetica.
Possono costruire la base ricettiva adeguata per un turismo diverso da quello di massa.
Un turismo capace di far nascere la domanda di produzioni alimentari biologiche e artigianali di pregio. L'Alto Adige e il Trentino insegnano.
I fondi europei, quelli regionali e provinciali devono andare al risparmio energetico che vuol dire edilizia. Devono allargarsi alle produzioni alimentari di eccellenza ed alla ricezione turistica diffusa
dei borghi. Solo così la montagna non perderà i suoi giovani, anzi ne attirerà altri dalla città.
Il principio deve essere che l'economia non deve consumare le risorse ne il territorio.
Perché il territorio è tutto, rinunciandovi, rinunciamo alla sua salvaguardia, rinunciamo alla vita stessa.
Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma
16 ottobre 2012
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