L'inquinamento ha raggiunto i gameti:
tumori anche sotto l'anno di età.
A Parma invece si discute se
l'inceneritore sia una risorsa.
Incompetenza abissale o occhiolino al
camino dei profitti?
di Rosanna Magnano
Di fronte ai dati sul rallentamento in
Italia della crescita dei tumori infantili, documentato dal Rapporto
Airtum 2012, epidemiologi e medici si interrogano. Sulla effettiva
significatività delle rilevazioni e sul rischio che seguendo l'onda
di un incauto ottimismo scenda un'ulteriore coltre di nebbia su un
fenomeno che è stato invece in continua crescita per almeno 20 anni
in tutta Europa, con l'Italia in evidenza per i dati peggiori, tra i
partner Ue. E soprattutto sui legami tra tumori infantili (e altre
patologie cronico-degenerative in aumento) e inquinamento ambientale.
A fare il punto la V Giornata in memoria di Lorenzo Tomatis,
organizzata a Roma dall'Iss e dall'Associazione medici per
l'ambiente-Isde Italia.
Il ruolo dell'inquinamento ambientale.
«Uno degli studi più completi e autorevoli, condotti dalla Iarc
sulla base di 63 registri oncologici di 19 Paesi europei, per un
totale di 130mila tumori - sottolinea il pediatra Ernesto Burgio,
presidente del Comitato scientifico Isde - ha documentato una
crescita di oltre l'1% annuo dei tumori infantili, ma soprattutto un
aumento significativo, del 2% l'anno, per i tumori sotto l'anno di
età. Il che significa che il cancro del bambino è nato nel feto,
nell'embrione o addirittura nei gameti. A dire questo per la prima
volta nel mondo è stato Tomatis. Gli oncologi pediatrici sono
assolutamente convinti dell'aumento dei casi, perché li vedono
quotidianamente in crescita continua. Ora c'è stata questa bella
monografia dell'Airtum, che in qualche modo, a mio parere, dando
rilievo a dati troppo recenti e poco significativi per quanto
riguarda la quantità, rileva dati più rassicuranti per l'Italia
negli ultimi anni. Ma stiamo parlando di pochi registri, in un Paese
in cui c'è stato il maggior aumento assoluto di casi di tumori
infantili. Secondo lo studio Iarc, siamo quelli che vanno peggio, con
170 nuovi casi ogni anno (per milione di bambini), a fronte di una
media di 140 per gli altri Paesi. A questo punto, il problema
diventa: come possiamo spiegarcelo? Secondo Tomatis, questa nuova
branca della genetica, l'epigenetica, spiega in qualche misura una
serie di passaggi: questa parte del genoma più flessibile,
soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, è influenzata
dall'ambiente e dall'inquinamento, dall'esposizione materna e fetale
ad agenti che possono passare dalla placenta fino al feto,
condizionandone il programma genomico, ossia il modo in cui il Dna si
esprime lungo tutto il corso della vita. Secondo alcuni, questo
meccanismo può spiegare l'aumento delle malattie del neurosviluppo,
come l'autismo, o delle malattie metaboliche e secondo noi anche dei
tumori infantili. La nota positiva è che le trasformazioni
dell'epigenoma sono reversibili. Quindi basta individuare quali sono
le esposizioni a rischio, della ragazza in età fertile e della madre
in gravidanza, e si può fare molto». In una parola «prevenzione
primaria». «Qualcuno deve spiegare alle madri che il benzene è
leucenogeno - conclude Burgio - che non deve esporsi al particolato
fine, che non deve mangiare troppo tonno in scatola. Insomma anche
nelle zone più inquinate, la madre può e deve proteggersi».
La prevenzione mancata.
Una proposta concreta arriva
dall'epidemiologo Benedetto Terracini, già professore di
Epidemiologia dei tumori all'Università di Torino: «L'Isde dovrebbe
impegnarsi prioritariamente per impedire l'esposizione di embrioni e
bambini a quelle circostanze di rischio che sicuramente causano
malattie non neoplastiche. Si otterrebbe anche il risultato di
proteggere embrioni e bambini da alcune circostanze di rischio per le
quali si ritiene che probabilmente o possibilmente causano malattie
tumorali, comprese quelle per le quali l'evidenza non supera la
soglia di una discutibile congettura». Rispetto ai dati
sull'incidenza dei tumori infantili in Italia, l'epidemiologo pone un
quesito: «I cambiamenti degli andamenti temporali dell'incidenza dei
tumori infantili in Italia sono sufficientemente preoccupanti per
essere portati all'attenzione delle autorità di salute pubblica per
la considerazione di qualche forma di intervento preventivo?».
Il latte materno.
Una spia del livello di contaminazione
ambientale e punto dolente della prevenzione è rappresentato dal
latte materno. Il latte umano può essere considerato infatti un
indicatore "ideale" per valutare l'esposizione delle
popolazioni a inquinanti ambientali come le diossine e i Pcb che,
essendo sostanze lipofile e bioaccumulabili, si concentrano in
particolare nella componente grassa delle matrici biologiche. Secondo
i dati presentati dall'oncologa Patrizia Gentilini, si può stimare
che un neonato alimentato con circa un litro di latte materno al
giorno contenente il 4% di grassi, assuma, invece di 2 pg/Kg/giorno
di diossine (identificati dalla Ue) o di 0,7 pg/Kg/giorno (seconda
l'Epa): 40 pg/kg in Norvegia o Finlandia; 80 pg/kg a Montale o Forlì
in prossimità di inceneritori di rifiuti; da 100 a 320 pg/kg (in
media 200 pg/kg) a Taranto, grazie alle emissioni dello stabilimento
siderurgico e ben 1.200 pg/kg a Brescia (in prossimità del polo
chimico Caffaro).
Disuguaglianze.
Se è vero che l'inquinamento diffuso
colpisce tutta la popolazione, a prescindere dal reddito. È vero
tuttavia che la disparità di accesso alle cure determina esiti
differenti anche nel caso dei tumori infantili. Nei Paesi a basso
reddito, infatti, il numero assoluto dei tumori è in rapida
crescita, c'è un forte divario tra incidenza e mortalità, le
diagnosi sono tardive, la sopravvivenza è bassa e molti tumori hanno
origine infettiva. «L'80% dei pazienti africani - spiega Paolo
Vineis (Imperial College London) - non hanno accesso alla
radioterapia. E nei Paesi a basso reddito mancano almeno 7.000
macchine per la radioterapia».
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