L’incontro svoltosi il 23 marzo circa il confronto sui rischi dell’incenerimento dei rifiuti si presta a molteplici considerazioni, in questa nota ci si vuole soffermare sulle affermazioni rassicuranti circa gli esiti riproduttivi forniti dalla dott.ssa Paola Angelini, dipendente del Servizio Sanità Pubblica della Regione Emilia-Romagna, che ha presentato i dati e i risultati di una tranche del Progetto Moniter.
“Circa l´indagine epidemiologica sulla popolazione, sono stati presentati i primi risultati che riguardano la natalità nelle vicinanze di tutti gli otto inceneritori di rifiuti urbani nel periodo 2003-2006.
I risultati si riferiscono a quasi 10.000 nati da donne residenti durante la gravidanza nelle aree di ricaduta delle emissioni. Gli esiti indagati consentono un confronto con i nati nell´intero territorio regionale e con i risultati di indagini analoghe disponibili nella letteratura scientifica: rapporto tra maschi e femmine alla nascita, gemellarità, nati pretermine, piccoli per età gestazionale, basso peso nei nati a termine. I dati osservati non presentano differenze significative rispetto ai dati attesi secondo la media regionale per nessuno dei livelli di esposizione. Tuttavia, effettuando confronti interni al gruppo fra livelli di esposizione crescenti, si evidenzia un modesto effetto sulle nascite pretermine, pur essendo il numero complessivo riscontrato (599) inferiore a quello statisticamente atteso (637); il rischio di nascita pretermine presenta un aumento passando dalle zone meno esposte a quelle più esposte alle emissioni degli inceneritori.”
Desta sconcerto il fatto che si svolga un’indagine epidemiologica sulla natalità nella quale si analizzano solo i nati. Non i concepimenti, ma solo i fortunati che sono sopravvissuti, senza tener conto degli aborti. Di quelli spontanei e di quelli terapeutici per gravissime patologie del nascituro. Per inciso nulla è stato detto circa i nati da fecondazione assistita quasi che l’impossibilità al concepire naturalmente non avesse nulla a che fare con l’inquinamento ambientale.
Il fatto di aver indagato solo la natalità e non tutti gli effetti avversi sul prodotto del concepimento, quindi l’aver trascurato tanto gli aborti spontanei, che quelli terapeutici per gravi patologie del nascituro e le malformazioni fetali in genere, appare un limite grave di una indagine che è costata ben tre milioni di euro di denaro pubblico.
Non si capisce neanche se, tra i nati, sono state indagate le malformazioni, in particolare quelle urogenitali, che la letteratura anche recentissima associa all'esposizione ad inquinanti tipici degli inceneritori, quali le diossine: tra gli effetti riportati nella presentazione, infatti, le malformazioni alla nascita, non vengono citate.
Va segnalato che lo studio francese di S. Cordier “Maternal resisidence near municipal waste incinerators and the risk of urinary tract birth defects” Occup. Environ Med 2010 67:493-499, ha confermato tali rischi e l’indagine è stata condotto per un raggio di 10 km e per 21 impianti, nel Moniter per 8 inceneritori e per un raggio di soli 4 km.
Oltretutto dai dati dello studio Enhance Health, effettuato in un area di 3,5 km attorno ai due impianti di incenerimento esistenti a Forlì nel quartiere di Coriano, emerge un aumento statisticamente significativo del 44% di abortività spontanea nel livello di esposizione submassimale, che è anche quello più densamente popolato: un dato che avrebbe dovuto far riflettere ed indurre a farne specifico oggetto di indagine nello studio Moniter, nato, per l'appunto, sull'onda delle reazioni suscitate dalla diffusione dei risultati di Enhance Health.
Si può aggiungere che, indipendentemente dall'esito indagato, è metodologicamente scorretto il confronto tra una popolazione esposta ed un'altra popolazione che include al suo interno quella oggetto di indagine: i confronti andrebbero fatti tra la popolazione esposta ed una popolazione non esposta, includendo la popolazione esposta all'interno del gruppo di controllo, il confronto avviene con una popolazione anch'essa esposta.
Della popolazione dell'Emilia Romagna, poi, tutto si potrà dire meno che si tratti di una popolazione non esposta: la regione Emilia Romagna, infatti, non solo ha, su 9 province, 8 inceneritori per rifiuti solidi urbani (senza contare quelli per rifiuti speciali, industriali ed ospedalieri), ma ha anche, in aggiunta, diverse centrali termoelettriche, impianti petrolchimici, industrie ceramiche e numerosi altri impianti con rilevanti emissioni dovute a combustioni industriali: tutto questo, per di più, in un contesto ambientale che ostacola il ricambio delle masse d'aria e favorisce il ristagno degli inquinanti.
Non per nulla il satellite evidenzia che per gli NO2 siamo una delle 5 aree più inquinate del pianeta.
Pertanto non solo non c'è da stupirsi se i dati osservati non presentano differenze significative rispetto ai dati attesi, ma ci sarebbe anzi da stupirsi del contrario. Gli unici confronti da cui si può sperare di ottenere risultati sono quelli fatti tra diversi livelli di esposizione: ma, anche a questo proposito, dobbiamo notare che considerare un'area di soli 4 km attorno agli impianti appare molto limitativo e tale da determinare una sottostima niente affatto trascurabile del rischio.
Studi recenti che hanno messo in evidenza effetti significativi sulla salute di soggetti esposti alle emissioni di inceneritori hanno considerato territori ben più estesi, da 10 fino a 15 km, a seconda di quanto indicato dal modello di dispersione degli inquinanti utilizzato.
Il lavoro francese – già citato- che ha studiato le malformazioni urogenitali intorno a 21 inceneritori, ad esempio, ha esteso l'indagine fino a 10 km dagli impianti; quello dell'Institut de Veille Sanitaire, anch'esso effettuato in Francia, che ha indagato l'incidenza di diversi tipi di cancro intorno a 16 inceneritori, ha esteso la propria ricerca fino anche a distanze di 15 km. Lo studio caso-controllo della Zambon, che ha indagato il rischio di sarcoma per esposizione a diossine da emissioni di inceneritori in Veneto, ha considerato l'esposizione in ciascun punto di residenza dei soggetti esaminati come somma degli effetti prodotti da tutti gli impianti esistenti nel raggio di 50 km. Ciascuno degli studi citati ha potuto trovare effetti statisticamente significativi associati al livello di esposizione stimato.
Ciò dimostra che se si vogliono realmente ricercare le ricadute sanitarie, occorre impiegare metodi di indagine rigorosi ed adeguati all'obiettivo prefissato; con un budget di spesa quale quello messo in campo per lo studio Moniter, a carico, oltretutto, della collettività, potevano tranquillamente essere messe in campo metodologie di indagine ben più adeguate rispetto a quelle utilizzate: se non lo si è fatto, significa solo che si voleva evitare di trovare risultati tali da mettere in discussione le scelte operate dalla Regione - finanziatrice del progetto - in tema di gestione dei rifiuti.
Vogliamo infine segnalare che proprio in questi giorni sui giornali di Brescia è comparso un dato sconcertante: 60 nuove diagnosi di cancro fra bambini ed adolescenti con un aumento dell’8% rispetto all’anno precedente, possibile che neanche questi dati riescano a farci riflettere?
Dal momento che ormai anche i sassi hanno capito che si può assolutamente evitare di bruciare i rifiuti, come è possibile perseverare in scelte che non possono fare altro che peggiorare la qualità dell’ambiente in cui viviamo ed in cui – soprattutto- facciamo vivere i nostri figli?
Forse che cervelli e cuori umani possono essere ancor più duri dei sassi?
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 31 marzo 2011
-402 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+304 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
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