di
Andrea Monti
In diverse città fanno discutere
quelli attivi o che potrebbero nascere.
A Venezia un inceneritore ce l’hanno,
ma hanno scelto di chiuderlo. Possibile – dice il Comune – grazie
all’aumento della differenziata. Legambiente parla di «intervento
senza eguali», di una promessa politica mantenuta ma con effetti da
verificare. Se la cosa funziona, può essere la prova che questa
strada è percorribile anche altrove.
Cambio di rotta
«L’impianto di Fusina (località del
Comune di Venezia, ndr) è entrato in funzione nel 1998 - racconta
l’assessore all’Ambiente, Gianfranco Bettin - . Negli anni è
stato potenziato e reso più efficiente». Dal 2010 il sindaco è
Giorgio Orsoni, Pd. «Abbiamo deciso subito di chiudere
l’inceneritore – continua Bettin – . Siamo stati la prima
amministrazione della città a muoversi in questa direzione». Per
raggiungere l’obiettivo, dice, è stato necessario ridurre al
minimo i rifiuti portati in discarica. «Era l’unico modo per non
doverli far bruciare altrove».
Bettin spiega che la raccolta porta a
porta è stata raddoppiata, passando da tre a sei passaggi
settimanali. Poi sono stati introdotti cassonetti con una chiave
personalizzata per ogni cittadino e un’apertura molto stretta, che
costringe a separare la spazzatura più accuratamente. Risultati?
«Nella prima municipalità in cui li abbiamo piazzati la
differenziata ha superato il 78% nel giro di un anno. Nella seconda
siamo sopra il 70 per cento. Nella terza oltre il 60. L’ultima in
ordine di tempo è la più grande, Mestre centro, per cui finora
abbiamo solo dati parziali». La terraferma veneziana, che ha più di
200mila abitanti, sarebbe stabilmente tra il 60 e il 70 per cento.
«Un anno fa era poco sopra il 50. Il successo ci ha permesso
addirittura di anticipare la chiusura di Fusina».
La previsione è che l’impianto si
spenga del tutto entro fine gennaio. Le decine di persone che ci
lavorano dovrebbero restare dipendenti dell’azienda pubblica che lo
gestiva. Secondo il Comune le emissioni di anidride carbonica
scenderanno di circa 60mila tonnellate all’anno. «Questa scelta –
riprende l’assessore – ha comportato un investimento, ma contiamo
di recuperare, perché in prospettiva la differenziata fa
risparmiare. E poi su questo tema il calcolo economico non può
essere decisivo». Bettin pensa che una decisione simile potrebbe
esser presa ovunque, ma riconosce le difficoltà: «Negli ultimi 20
anni le politiche nazionali sono state fortemente orientate alla
costruzione dei ‘termovalorizzatori’, come vengono pudicamente
chiamati».
Dubbi e speranze.
Luigi Lazzaro, presidente di
Legambiente Veneto, ammette che l’amministrazione ha mantenuto una
promessa, ma è cauto sui prossimi mesi. «Secondo noi il Comune ha
fatto un passo un po’ lungo, anche se rispettabile. La
differenziata è aumentata in modo vertiginoso, però siamo ancora in
fase sperimentale. Mestre è diversa dai piccoli centri, e per ora
non abbiamo dati certi». Di cosa avete paura? «Se resta una quota
di rifiuti da bruciare, può finire in altri inceneritori. Serve un
livello di differenziata che tenda almeno al 70%: ancora non abbiamo
percentuali consolidate di questo tipo».
Lazzaro si augura che l’esempio
veneziano sia replicabile. «Se vogliamo che lo sia in tutta Italia
dobbiamo pensare a un ciclo virtuoso dei rifiuti, a riciclarli ma
anche a ridurli. Bisogna produrne meno e differenziarli meglio. Su
questo la politica latita a tutti i livelli: nazionale, regionale,
locale». Perché altri Comuni non dicono no agli inceneritori?
«Usare la spazzatura per produrre energia rende. Finché Roma
manterrà gli incentivi per chi lo fa, sarà difficile che le
amministrazioni scelgano strade diverse». E continueremo a
raccontare solo casi isolati.
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