di Antonio Crispino
Corriere della Sera on line
http://www.corriere.it/inchieste/oro-nero-che-italia-rende-poveri/66d3009e-d108-11e2-9e97-ce3c0eeec8bb.shtml
La Basilicata è la regione
più povera d'Italia: dati Istat 2010. La Basilicata ha una
percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale: dati
dell'Associazione Italiana Registro Tumori.
In Basilicata le aziende
agricole si sono dimezzate nell'arco di 10 anni: dati Confederazione
Italiana Agricoltori. La Basilicata ha un tasso di disoccupazione
costantemente in crescita: dati Cgil
«Nella sola Val d'Agri
(dove è più intensa l'attività dei petrolieri) ci sono 8 mila
persone tra disoccupati e inoccupati». La Basilicata ha oltre 400
siti contaminati dalle attività estrattive: dati della Commissione
Bicamerale sul Ciclo dei rifiuti. La Basilicata è ricca di petrolio:
dati Eni.
CHI DENUNCIA VA IN GALERA-
In Basilicata si sta tentando di salvare l'ambiente da un presunto
inquinamento provocato dai pozzi petroliferi. Per questo si va in
galera. Ne sa qualcosa Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia
Provinciale di Potenza che per aver segnalato una massiccia presenza
di idrocarburi nelle acque del lago del Pertusillo, a due passi dal
Centro Oli Eni a Viggiano, è stato sospeso dal servizio, dalla paga
e dai pubblici uffici per due mesi, sottoposto a un processo e
spostato a guardare le statue in un museo.
Non è andata meglio al
giornalista e coordinatore dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti
che ha pubblicato la notizia dell'inquinamento. I carabinieri gli
hanno perquisito casa da cima a fondo. Pochi mesi dopo, in quel lago
sono morti centinaia di pesci.
IL TIRA E MOLLA - Di pozzi
nella sola Val d'Agri ce ne sono 39, alcuni a pochi metri da una
scuola materna o addirittura uno che sovrasta un municipio. Ma quello
a cui si assiste è un imbarazzante tira e molla tra chi dice che è
tutto a posto e chi invece sventola dati da far rabbrividire.
«Abbiamo trovato 6458 mg/l di idrocarburi in quel lago che porta
acqua potabile nei rubinetti di Puglia e Basilicata - denuncia Albina
Colella, geologa e sedimentologa dell'Università degli Studi della
Basilicata -. Su undici campioni di sedimenti, ben sette avevano
presenza di idrocarburi superiori al limite di riferimento».
Il responsabile del
distretto Meridionale dell'Eni, Ruggero Gheller, smentisce qualsiasi
collegamento con le attività estrattive: «I nostri impianti sono
chiusi, non c'è alcun rilascio di sostanze all'esterno ma
soprattutto ogni pozzo è stato costruito dopo autorizzazioni della
Regione e sottoposto a rigidissimi controlli da parte dell'Arpab».
Tutto vero. Le strumentazioni non hanno mai rilevato niente di
importante. Ma come si è svolto il sistema di controlli in questi
anni, ce lo spiega bene il nuovo presidente dell'Arpab, Raffaele
Vita, in un fuorionda. A lui hanno affidato la patata bollente
dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente dopo
un'escalation di arresti. «Qui era come al catasto. Sono entrate
persone che facevano tutto un altro mestiere e all'improvviso si sono
trovati ad affrontare il tema del petrolio. Li ho trovati a scaricare
i film dai computer, ho dovuto mettere le protezioni. Eravamo una
massa di improvvisati. E la politica faceva tutt'altro che mettere la
barra dritta».
25 ANNI DI ESTRAZIONI - Non
è un caso che un certa rete di monitoraggio sia stata attivata solo
dal 2011 (per stessa ammissione dell'Eni) mentre il petrolio in
Basilicata si estrae da circa 25 anni (risalgono al 1981 le prime
ricerche di petrolio in Val d'Agri con il pozzo Costa Molina 1). Anni
in cui sono passati sotto silenzio tutta una serie di incidenti e
anomalie. Che per l'Eni, però, non si chiamano incidenti ma eventi,
cose che possono capitare. «Come la fuoriuscita di migliaia di litri
di greggio in un bacino naturale per la raccolta di acque piovane il
17 marzo 2002; la nebulizzazzione di 500 litri di greggio il 06
giugno del 2002; l'immissione in aria di ingenti quantitativi di gas
inquinanti il 4 ottobre del 2002» ricorda Bolognetti. Oppure la
«misteriosa» intossicazione da idrogeno solforato di 20 operai di
un'azienda che si trova proprio di fronte il Centro Oli, per i quali
fu necessario contattare il centro anti veleni di Pavia.
«Dovete chiedere a chi in
questi anni ha gestito il petrolio in Basilicata come hanno fatto a
dare certe autorizzazioni» inveisce il sindaco di Marsicovetere
Sergio Claudio Cantiani. E' un medico. Il suo municipio anziché
essere sovrastato dal classico campanile, si trova all'ombra di un
pozzo di petrolio. «Noi siamo contenti, tutto va bene e andrà
ancora meglio quando l'Eni ci pagherà le royalties che ci
consentiranno di far fronte ai mancati trasferimenti da parte dello
Stato. Per il resto siamo solo vittime delle gestioni precedenti».
Andando a vedere chi ha gestito la Basilicata in questi anni, si
trovano persone come Filippo Bubbico, presidente della Basilicata dal
2000 al 2005. Nominato tra i dieci saggi del presidente della
Repubblica e di recente premiato viceministro del governo Letta, è
stato indagato per abuso di ufficio, associazione a delinquere e
truffa aggravata e ne è sempre uscito incensurato. Oppure Vincenzo
Santochirico, l'assessore all'Ambiente che parlò di «maldestro
tentativo di allarmare la popolazione della Basilicata sostenendo che
l’acqua destinata ad uso potabile fosse inquinata», promosso prima
presidente del Consiglio regionale e poi a grande elettore del Capo
dello Stato.
LA STORIA DEL PETROLIO - Ma
per capire come è andata la storia del petrolio in Basilicata, basta
spulciare la cronaca giudiziaria recente. In quasi dieci anni sono
finiti in manette il direttore generale dell'Arpab, il coordinatore
provinciale dell'Ente regionale Ambiente, il vicepresidente, tre
assessori e un consigliere regionale. Altri otto consiglieri sono
stati destinatari di divieto di dimora, mentre sotto inchiesta sono
finiti due deputati lucani. E non c'è solo la politica. Nel 2002
sono stati arrestati un maggiore della Guardia di Finanza, un
generale dei servizi segreti (Sisde), imprenditori, banchieri,
finanzieri. Tutti al centro di inchieste con un unico comune
denominatore: il petrolio.
LA DIGA E L'INQUINAMENTO -
Al di là di quello che è il balletto dei numeri, siamo andati sulla
linea di sbarramento della diga del Pertusillo. A dieci metri di
distanza c'è l'impianto che porta queste acque a Bari, Brindisi,
Lecce e in parte della Basilicata. Le stesse acque vengono utilizzate
in agricoltura. In superficie galleggia un fitto manto marrone,
schiumoso e maleodorante. «Non è terreno - ribadisce il tenente Di
Bello - Sotto ci saranno almeno altri 60 mt di acqua». Lancia un
sasso. Fa fatica ad affondare. Si muove come in una melma, come se
fosse petrolio. C'è di tutto, dalle bottiglie di detersivo agli
pneumatici. «L'amalgama di tutto sono gli idrocarburi leggeri e i
densattivi provenienti dai depuratori che non funzionano».
Idrocarburi sono stati trovati anche nel miele delle api. Nessuno osa
dire da dove provengano. «Qui nessuno dice che c'è inquinamento. Se
vai alla regione ti dicono che è tutto a posto» commenta
sconfortata Giovanna Perruolo della Confederazione italiana
agricoltori.
Sta di fatto che sui mercati
agricoli nazionali i prodotti che vengono da questa parte della
Basilicata non li vogliono. «I fagioli di Sarconi erano il nostro
vanto, venivano richiesti anche all'estero. Oggi gli agricoltori sono
costretti a dire che vengono dalla Cina. Nessuno li vuole perché
sospettano la contaminazione». L'elenco delle conseguenze
dell'inquinamento è lungo. Parla di animali che non fanno più il
latte nelle vicinanze degli impianti petroliferi, vigneti secchi, uva
che cresce con una patina d'olio sui chicchi, terreni diventati
infruttiferi, pesci che muoiono in massa, pere dal marchio Dop che
non coltiva più nessuno. «Ormai ci arrivano solo richieste di
pensioni per masse tumorali, l'incidenza delle malattie è
altissima». L'Eni paga il 10% di royalties. Il 7% va a Regione ed
Enti locali. Il 3% serve a finanziare un bonus benzina di 180 euro
l'anno destinata a ogni automobilista della Basilicata. «Peccato che
qui il petrolio paradossalmente costa di più che in altre parti
d'Italia» rivela Costantino Solimando. Di professione fa la guardia
zoofila e appena può va fuori regione a fare benzina. «Il gasolio
lo pago 1,60, qui in Val D'Agri è a 1,80. Mi dica lei se non è una
presa in giro anche questa».
Antonio Crispino
Associazione
Gestione
Corretta
Rifiuti
e
Risorse
di
Parma
-
GCR
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