Intervista
al Dott. Celestino Piazza
di Marco Niro
Ormai le evidenze abbondano
e i principi di precauzione e prevenzione dovrebbero suggerire la
messa al bando degli inceneritori. Di quelli vecchi come di quelli
nuovi. Parla il dott. Celestino Panizza, medico per l’ambiente di
Brescia, dove opera l’inceneritore più grande d’Europa.
La ricerca di un medico
capace di esprimersi in modo autorevole e deciso sul danno sanitario
degli inceneritori mi porta fuori provincia, a Brescia,
essenzialmente per due motivi. Da una parte, perché in Trentino, a
parte qualche eccezione rappresentata da medici-amministratori (il
sindaco di Centa San Nicolò dottor Roberto Cappelletti e l’assessore
all’ambiente di Lavis dottor Lorenzo Lorenzoni), i medici trentini
finora non hanno trovato di meglio che prendere atto della volontà
di costruire l’inceneritore (è accaduto nell’estate 2008, vedi
QT 16/2008). Dall’altra parte, perché dire Brescia, parlando di
inceneritori, significa riferirsi all’ambito di osservazione più
importante, perché a Brescia opera dal 1996 l’inceneritore più
grande d’Europa, un mostro che brucia 800.000 tonnellate l’anno
di rifiuti.
A Brescia, quindi, vado a
incontrare il dottor Celestino Panizza. Medico specializzato in
Medicina del lavoro presso l’Università di Pavia e Statistica
medica ed epidemiologia presso l’Università di Pavia, il dottor
Panizza lavora come medico del lavoro all’Asl di Brescia.
Membro dell’Associazione
Medici per l’Ambiente, da tempo mette a disposizione le proprie
competenze professionali per fornire sostegno alle organizzazioni
impegnate nella lotta all’inquinamento e nella difesa della salute.
Dottor Panizza, dell’impatto
sanitario degli inceneritori si parla poco e male, e il pubblico è
impossibilitato ad orientarsi, tra un Veronesi che dice in prima
serata televisiva che l’impatto sanitario degli inceneritori è
pari a zero ed evidenze che dimostrano ben altro.
Il caso di Veronesi è
emblematico. La propaganda inceneritorista ha utilizzato un medico di
fama, che ha competenze relative alla cura dei tumori, e non alla
loro prevenzione, per far passare il concetto che l’inceneritore
non è rischioso. Il meccanismo usato da chi con gli inceneritori fa
i soldi è sempre quello: comprare le università e i centri di
ricerca, finanziandoli, affinché essi, al termine dei vari studi
epidemiologici, pronuncino la frase magica: ‘il dato non è
conclusivo’. Ovvero, non si nega che gli impatti sanitari possano
esserci, ma si enfatizza l’incertezza epidemiologica, affermando
che le evidenze non permettono di legare con certezza quegli impatti
all’incenerimento. È stato fatto per anni anche dagli studi,
prezzolati dall’industria del tabacco, sui danni da fumo di
sigaretta: ‘non c’è evidenza che provochi il cancro’, si
continuava a ripetere.
Non esistono quindi studi
epidemiologici che permettano con certezza di rilevare gli impatti
sanitari degli inceneritori?
Non ho detto questo. Decine
e decine di studi, condotti per indagare le ricadute delle emissioni
inquinanti degli inceneritori sulla salute delle popolazioni
residenti intorno ad essi, hanno evidenziato numerosi effetti avversi
alla salute dell’uomo, sia tumorali che non.
Ce ne può indicare
qualcuno?
Certamente. Tra i più
recenti, possiamo ricordarne quattro. Lo studio effettuato nel 2007
in provincia di Venezia dal Registro Tumori dell’Istituto
Oncologico Veneto è la più convincente dimostrazione esistente in
letteratura di un aumento di rischio di cancro associato alla
residenza vicino a inceneritori: esso evidenzia come il rischio
aumenti di 3,3 volte fra i soggetti con più lungo periodo e più
alto livello di esposizione. Sempre nel 2007, lo studio “Enhance
Health Report”, finanziato dalla Comunità Europea e condotto per
l’Italia nel comune di Forlì, dove operano due inceneritori, ha
portato a evidenze significative rispetto al sesso femminile: in
particolare si è registrato un aumento della mortalità tra il +17%
e il +54% per tutti i tumori, proporzionale all’aumento
dell’esposizione; e questa stima appare particolarmente drammatica
perché si basa su un ampio numero di casi - 358 decessi per cancro
tra le donne esposte e 166 tra le non esposte - osservati solo nel
periodo 1990-2003 e solo tra le donne residenti per almeno 5 anni
nell’area inquinata. Nel 2008, poi, uno studio francese condotto
dall’Institut de Veille Sanitarie ha rilevato un aumento di tumori
di tutte le sedi nelle donne e, in entrambi i sessi, dei linfomi
maligni, dei tumori del fegato e dei sarcomi dei tessuti molli. Da
ricordare infine il 4° Rapporto della società Britannica di
Medicina Ecologica, anch’esso del 2008, che nelle molte e
documentate considerazioni ricorda come nei pressi degli inceneritori
si riscontrino tassi più elevati di difetti alla nascita e di tumori
negli adulti e nei bambini.
Una situazione allarmante. E
a Brescia avete evidenze dell’impatto sanitario dell’inceneritore
più grande d’Europa?
Il Registro Tumori segnala
in provincia di Brescia un tasso d’incidenza tumorale tra i più
alti del Nord Italia, ma non c’è modo di imputare all’inceneritore
questa circostanza. Di studi epidemiologici sull’esposizione alle
emissioni dell’inceneritore bresciano non ce ne sono, e del resto
sarebbero inutili.
In che senso?
Nel senso che l’inceneritore
di Brescia si trova in città, tra innumerevoli altre fonti che
emettono sostanze inquinanti: voler rilevare l’impatto
dell’inceneritore sarebbe quindi come voler individuare l’onda
più alta in un mare in tempesta. Tuttavia, due fatti del recente
passato ci permettono di identificare nell’inceneritore di Brescia
un pericoloso produttore di diossine, sostanze tra le più dannose
per la salute.
Ovvero?
Nel 2007 l’Istituto
Superiore di Sanità ha misurato le diossine del tipo PCDD-F presenti
nell’aria di Brescia per condurre la valutazione del rischio nel
contesto delle indagini sul sito inquinato di rilevanza nazionale
Brescia-Caffaro. L’indagine è stata condotta nel mese di agosto,
quando sono ridotte le condizioni di traffico e le principali fonti
d’immissione industriali, eccetto l’inceneritore, che funziona
regolarmente anche in quel mese e insiste nella zona oggetto dello
studio. Ebbene, il confronto con altre misurazioni, condotte negli
ultimi anni in diverse località nella stagione estiva, mostra
chiaramente come le concentrazioni di diossine nell’aria di Brescia
siano le maggiori, con quantitativi almeno tripli.
E l’altro fatto?
Nel 2008 la Centrale del
Latte di Brescia ha riscontrato presenza di diossine del tipo
TCDD-F-PCB nel latte proveniente da sette aziende agricole ubicate
nel territorio a sud di Brescia, proprio nei pressi
dell’inceneritore. Il latte rifiutato dalla Centrale del Latte
aveva tossicità equivalente ben oltre i limiti di soglia: tra i 6,5
e gli 8 picogrammi di diossine per grammo di grasso, mentre
l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda per l’uomo il
limite di un picogrammo per chilo di peso corporeo al giorno. Vale a
questo punto la pena di ricordare che le diossine sono
bioaccumulabili, ovvero si accumulano all’interno di un organismo
in concentrazioni crescenti man mano che si sale di livello nella
catena alimentare. È questo il motivo per cui è verosimile che il
latte delle mucche alimentate con foraggio raccolto nel terreno
soggetto a ricaduta dell’inceneritore sia risultato contaminato da
tali sostanze.
Quello che lei riferisce
dovrebbe indurre a fermare qualunque progetto di costruzione di un
inceneritore. Ma già immaginiamo che chi vuole incenerire abbia la
risposta pronta: “Questi dati si riferiscono agli inceneritori di
vecchia generazione, noi costruiremo inceneritori di nuova...”
Vengono a dirci che i
livelli delle emissioni dei nuovi impianti, che adottano le
cosiddette “migliori tecnologie disponibili”, sarebbero di molto
contenuti rispetto ai vecchi. Tralasciando che le migliori
tecnologie, valutate dalla stessa industria secondo criteri di
economicità, hanno già dimostrato di non presentare sufficienti
garanzie sul versante dei sistemi di abbattimento, resta in ogni caso
da tener presente che le concentrazioni delle emissioni ottenute
applicando le migliori tecnologie sono allineate con i valori limite
stabiliti dalle normative, i quali purtroppo non garantiscono di per
sé la salute: basti pensare che il limite alla diossina stabilito
dall’Unione Europea è mille volte superiore a quello stabilito
dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense. E poi
va ricordato un punto fondamentale: in realtà i controlli sulle
emissioni sono oggi alquanto problematici.
Per quale motivo?
Da un lato, perché essi
sono sostanzialmente eseguiti in regime di autocontrollo dagli stessi
gestori degli impianti, dall’altro perché sono in effetti
inadeguati a monitorare le effettive quantità emesse. Uno studio
recente ha rilevato che in fase di accensione (quando non è
monitorato), un inceneritore produce in media, nell’arco di un
periodo di 48 ore, il 60% delle emissioni annuali totali di diossine
prodotte quando è a regime. Anche durante lo spegnimento e il
periodo di messa in servizio degli inceneritori (altri momenti in cui
le emissioni non vengono controllate), si possono produrre livelli
molto più elevati di diossine. E non si pensi che spegnimenti e
accensioni siano rari: a Brescia la manutenzione li richiede un paio
di volte l’anno.
Insomma, par di capire che
ci sono ragioni per diffidare anche degli inceneritori di nuova
generazione.
La limitata disponibilità
di dati scientifici e di evidenze epidemiologiche sull’impatto
sanitario dei moderni impianti non coincide con una mancanza di
evidenza: il principio di precauzione induce ad attenersi a linee di
maggiore prudenza. Di contro, le evidenze tossicologiche e
sperimentali ormai assodate, e relative ad inquinanti oggettivamente
emessi, come le diossine, non consentono certo deroghe all’obbligo
della prevenzione. La storia del confronto tra vecchi e nuovi
inceneritori ricorda quanto afferma l’autorevole epidemiologa Devra
Davis nel libro “La storia segreta della guerra al cancro”, a
proposito delle sigarette: quando la marea di informazioni sui
pericoli del tabacco cominciò a montare, le industrie cambiarono
musica, diffondendo l’idea che forse le sigarette vecchie erano
pericolose, ma quelle nuove, col filtro, sarebbero state gustose e
salubri.
Associazione
Gestione
Corretta
Rifiuti
e
Risorse
di
Parma
-
GCR
Parma,
5 settembre 2013
L'inceneritore
di
Parma
è stato acceso
8
giorni
fa
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