Tra inceneritori, biogas e pesticidi
A Parma si accende l'inceneritore e di
fronte alle amare considerazioni di Grillo i consorzi del Prosciutto
di Parma Doc e del Parmigiano Reggiano Doc non trovano di meglio che
prendersela con "l'allarmismo senza dati scientifici"
di Michele Corti
Invece di opporsi all'inceneritore di
Parma e alla proliferazione dei mini inceneritori a biomasse, le
corazzate del Made in Italy e della Parmesan Food Valley se la
prendono con chi denuncia l'incoerenza di politiche della "tipicità"
che, dentro la loro logica industriale, convivono a braccetto con
altri business. A partire da quello dei rifiuti che, perversamente
connesso a quello energetico, non accenna certo a declinare e a
lasciare il passo a strategie di riciclo della materia e di riduzione
di sprechi e inutili imballaggi.
Aumentano i camini nella Pianura
Padana. Centinaia e centinaia di centrali a biomasse dove si brucia
di tutto: biogas, syngas, legna, cereali, pollina, paglia. Anno dopo
anno aumenta anche (attestata dall'ISPRA) la contaminazione delle
acque con pesticidi. L'aria contaminata non fa male solo alla salute
umana (e animale) ma anche alla salute delle piante e - ancora una
volta - alla salute di animali e esseri umani che consumano
direttamente o indirettamente i prodotti agricoli esposti alla
contaminazione atmosferica.
L'amara considerazione che non c'è
alcuna "area naturale incontaminata" non deve indurre a
ritenere che non si debba contrastare le fonti di emissioni locali.
Innanzitutto perché contribuiscono all'inquinamento globale, in
secondo luogo perché esse sono tali da aumentare in modo molto più
elevato irischi per la salute di chi ha la sfortuna di abitare in
aree particolarmente inquinate.
La Pianura Padana, penalizzata dallo
schermo delle Alpi che riduce notevolmente la circolazione dell'aria,
è già un'area a rischio. Causa la concentrazione del particolato
sottile = PM 2,5 (una delle componenti della scarsa qualità
dell'aria) si perdono nelle zone più compromesse dai 2 ai 3 anni di
vita.
Il caso Parma
Il caso dell'inceneritore di Parma ha
destato grande interesse perché a Parma c'è un sindaco del M5S che
si era impegnato per impedire l'accensione dell'impianto, ma anche
perché a Parma hanno sede l'agenzia europea per la sicurezza
alimentare (EFSA), alcune multinazionali alimentari (Barilla,
Parmalat), le più importanti manifestazioni fieristiche italiane sul
tema dell'alimentazione, due delle più importanti Dop nazionali: il
Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano.
L'opposizione alla realizzazione e poi
all'accensione dell'inceneritore di Parma aveva assunto anche il
valore di una lotta emblematica, con manifestazioni che avevano visto
la partecipazione di comitati e associazioni provenienti da molte
parti d'Italia. Rappresentava la speranza che la stagione degli
inceneritori fosse finita per sempre. Ma la speculazione sui CIP6,
gli incentivi per la produzione di energia elettrica da rifiuti
(assimilati ad una fonte rinnovabile) ha rappresentato una spinta
troppo forte perché possa dirsi chiuso (come in molti altri paesi)
il capitolo inceneritori (che producono enormi quantità di ceneri
anche se li si chiama "termoutilizzatori" o, ancora più
spudoratamente, "termovalorizzatori").
L'importante è non "macchiare il
Made in Italy"
Beppe Grillo ha fatto amaramente notare
come il nuovo "gioiello" dell'inceneritorismo si erga nel
bel mezzo della tanto decantata Food Valley italiana e che, con molte
probabilità, qualche impatto negativo sull'immagine di prodotti
quali il Prosciutto di Parma Dop o il Parmigiano reggiano Dop non ci
potrà non essere. Politici e addetti ai lavori possono raccontare
quello che vogliono al pubblico italiano pesantemente manipolato in
fatto di rischi alimentari e per la salute in genere. Ad americani e
giapponesi, però, è più difficile contargliela su e l'associazione
inceneritore-diossina-prosciutto-Parmigiano verrà . Non avesse mai
osato "profanare" i "gioielli del Made in Italy
alimentare". La Nunzia di Girolamo, giovane ministra (non si sa
per quanto) all'agricoltura attacca: "Affermazioni gravissime e
prive di ogni fondamento". "Grillo è un incosciente, le
sue affermazioni sulla Food Valley e su due dei principali prodotti
del Made in Italy come il Parmigiano reggiano e il Prosciutto di
Parma sono gravissime". Lesa maesta alimentare. Rincara la dose
il presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai,
secondo il quale quello di Grillo è "terrorismo nei confronti
dei consumatori, originato da affermazioni gratuite legate alla
politica e prive di qualsiasi fondamento scientifico". E ancora:
Decine di migliaia di operatori
economici e di lavoratori, così come milioni di consumatori meritano
ben altro rispetto, così come lo merita un'eccellenza agroalimentare
come il Parmigiano Reggiano; a nessuno sono dunque permesse basse
strumentalizzazioni come quella che, in nome di una contesa politica,
ha messo in atto Beppe Grillo con dichiarazioni della cui gravità è
chiamato a risponde.
È bello vedere con quanta foga Alai
attacca: i "legami con la politica" lui che della materia
se ne deve intendere benino, visto che gli aiuti di stato non sono
mai mancati al Consorzio. Basti ricordare le 100 mila forme
gentilmente acquistate dal Ministero ai tempi di Zaia per destinare
il "prezioso formaggio" ad "aiuti agli indigenti".
Giusto un regalino della politica - fornito solo ai consorzi più
grossi - per sostenere un mercato depresso per colpa loro
(sovraproduzione). Il presidente del Consorzio del Prosciutto di
Parma si è più sobriamente limitato a dichiarare il proprio
''dispiacere nel prendere atto che le discussioni politiche
coinvolgano inopportunamente e vadano a ledere un prodotto come il
Prosciutto di Parma''. Anche la CGIL e la Cia non hanno mancato di
stracciarsi le vesti e di vituperare Grillo.
Non solo diossina
Grillo ha evocato la diossina (e,
implicitamente, le numerose molecole diossino-simili) che si
producono durante le combustioni in presenza di cloro (che nei
rifiuti non manca essendo presente in varie sostanze plastiche). La
diossina è prodotta in misura ridotta alle alte temperature degli
inceneritori "moderni" ma c'è pur sempre un gradiente di
temperatura mano a mano che i fumi si allontanano e quindi una certa
quantità si forma sempre. Il richiamo alla diossina evoca Seveso e,
in effetti, un composto organico clorurato dei più temibili,
persistente nell'ambiente, veicolato dalle sostanze grasse, con
tossicità elevatissima. Ma il problema degli inceneritori (e delle
tante attività che implicano combustioni) non è solo e
principalmente quello delle diossine. Gli inceneritori nella fantasia
popolare "distruggono" i rifiuti, ma in realtà non è
così.
Gli inceneritoristi
(termovalorizzatoristi, biomassisti, biogassisti, pyrogassisti)
fingono di dimenticare che la chimica ha scoperto dai tempi di
Lavoisier (quelli della ghigliottina rivoluzionaria di cui rimase
anch'egli vittima), la legge di conservazione della massa che
enuncia: "In una reazione chimica, la somma delle masse dei
reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti", o,
nelle parole di Lavoisier "nulla si perde, nulla si crea, ma
tutto si trasforma". Questa legge, quindi, afferma che la
materia non può essere creata dal nulla né distrutta, ma solo
modificata. Le combustioni trasformano la materia in peggio. Sembra
che la facciano sparire per magia perché le ceneri, prive di acqua,
occupano un volume ridotto, e perché buona parte della materia se ne
va letteralmente... in fumo. Ma nel fumo c'è una massa notevole di
composti organici e inorganici e di particelle di varie dimensioni.
Attraverso le combustioni si producono e/o si diffondono sostanze
cancerogene e geno-tossiche quali metalli pesanti, idrocarburi
policiclici aromatici (IPA), furani, policlorobifenili, molecole
diossino-simili e particolato fine e ultrafine. Un pessimo affare per
l'ambiente e la salute. Un ottimo affare per i combustionisti.
Un problema di materiali ingombranti e
a rischio igienico si sposta a problema di materiali invisibili ma
altamente tossici, invasivi, persistenti. Il guaio è che questi
materiali, queste molecole si infiltrano in ogni poro della biosfera,
sino dentro le cellule animali, sin dentro le strutture subcellulari.
E sono, in alcuni casi molto persistenti, in altri casi praticamente
... eterni. È il caso delle nanoparticelle studiate da Stefano
Montanari e dalla moglie Antonietta Gatti, due scienziati che sono
trattati quasi fossero degli stregoni perché indagano su realtà (le
nanopatologie indotte dalle nanoparticelle) molto fastidiose per un
sistema economico-sociale che delle combustioni ha fatto la sua droga
scoprendo che produrre energia con la combustione consente di
ottenere alti profitti.
Grillo, nelle sue considerazioni
sull'inceneritore di Parma si è limitato alla "diossina".
Forse a causa di una incresciosa vicenda riguardante un microscopio
elettronico, acquistato con i fondi raccolti durante gli interventi
di Montanari agli spettacoli di Grillo e destinato al laboratorio di
Modena di Montanari per ricerche sulle nanoparticelle, ma che finì -
la vicenda è di difficile decifrazione - all'Università di Urbino e
poi all'ARPAM, Grillo non parla di nanoparticelle. Ma le micro e le
nano particelle rappresentano un aspetto importante (insieme alle
"sorelle" un po' più grandicelle) del problema combustioni
(indipendentemente dalle questioni tra Grillo e Montanari.
Purtroppo tanta meno diossina esce dai
camini tanto più si formano micro e nanoparticelle. Per ottenere
elevate temperature, necessarie per evitare la formazione di
diossina, i "termovalorizzatori” devono funzionare ad alta
temperatura e, per questo, hanno bisogno di quei materiali che
possiedono un’alta capacità calorifica, vale a dire proprio le
plastiche, la carta e il legno che potrebbero e dovrebbero essere
oggetto di riciclaggio. Inutile dire che negli inceneritori vanno
persi anche metalli (rame, ferro, alluminio). Sul piano economico i
"termovalorizzatori" sono quindi un disastro: la resa in
energia elettrica dei rifiuti è del 25% (le centrali turbogas hanno
un'efficienza del 55%), si perdono molti materiali preziosi
ricicliclabili e si mandano in atmosfera una grande quantità di
micro e nanoparticelle.
Il mito della filtrazione e le
nanoparticelle
I sistemi di filtrazione degli
inceneritori di ultima generazione consentono di abbattere le
emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti che però si ritrovano
nelle ceneri. Spiega Montanari (Inceneritori e nanotatologie, ARPAT
news 10 maggio 2006 n. 086-2006):
(...) nel processo d’incenerimento
occorre aggiungere all’immondizia calce viva e una rilevante
quantità d’acqua, da una tonnellata di rifiuti bruciata escono una
tonnellata di fumi, da 280 a 300 kg di ceneri solide, 30 kg di ceneri
volanti (la cui tossicità è enorme), 650 kg di acqua sporca (da
depurare) e 25 kg di gesso. Il che significa il doppio di quanto si è
inteso “smaltire”, con l’aggravante di avere trasformato il
tutto in un prodotto altamente patogenico.
Al di là di quello che ci ritroviamo
nelle ceneri (che vanno smaltite nelle discariche, mai chiuse quindi
finché ci saranno inceneritori) e nell'acqua utilizzata per i
trattamenti, quello che tutt'oggi esce dai camini per essere
liberamente immesso nell'atmosfera è sempre molto preoccupante, però
ha un vantaggio per gli inceneritoristi: non pesa. Tutt'oggi non
esiste alcun tipo di filtro industriale capace di bloccare il
particolato da 2,5 micron e ben difficilmente anche in futuro sarà
possibile arrivare a filtrare le particelle da 1,0 micron. Montanari
fa, però, rilevare:
(...) dal punto di vista dei calcoli
che si fanno in base alle leggi vigenti, questo ha ben poca
importanza: il “termovalorizzatore” produce pochissimo PM10
(peraltro, la legge sugl’inceneritori prescrive ancora la ricerca
delle cosiddette polveri totali ed è, perciò, ancora più
arretrata) e la quantità enorme di altro particolato non rientra
nelle valutazioni. Ragion per cui, a norma di legge l’aria è
pulita. Ancora malauguratamente, tuttavia, l’organismo non si cura
delle leggi e le patologie da polveri sottili (le PM10 sono
tecnicamente polveri grossolane), un tempo ignorate ma ora sempre più
conosciute, sono in costante aumento. Tra queste, le malformazioni
fetali e i tumori infantili.
Le nanoparticelle, prodotte da
combustioni ad alta temperatura, hanno la caratteristica di non
essere presenti in natura. Esse sono più piccole delle
microparticelle presenti nelle emissioni vulcaniche per fare un
esempio. Ciò significa che gli organismi viventi non hanno evoluto
delle difese per questi corpi "alieni". La conseguenza è
che entrano negli organismi, per rimanervi, annidate nelle più
microscopiche strutture cellulari e causare molte patologie, da
malattie cardiovascolari come ictus, infarto cardiaco e tromboembolia
polmonare a tante forme di cancro fino ad aborti e malformazioni
fetali e non poche malattie neurologiche. Inutile dire che quando
Montanari parla di queste nanopatologie lo fa avendo constatato
associazioni tra presenza di nanoparticelle e le patologie in causa.
Prodotti agroalimentari e fonti di
inquinamento da combustioni
Ma come arrivano le nanoparticelle
nell'organismo animale? Attraverso inalazione o ingerendo alimenti
contaminati dalle nanoparticelle. Queste, essendo molto leggere
restano a volte a lungo in aria prima di depositarsi e possono essere
trasportate a grandi distanze dalle fonti di emissione (a differenza
di altri inquinanti). Dove cadono è impossibile prevederlo. Ma una
volta che si depositano sugli alimenti non possono essere eliminate
in alcun modo. Né lavando, né cuocendo, né usando trattamenti
chimici. Chi si è scandalizzato per la denuncia di Grillo circa
l'incoerenza di mettere in funzione nuovi inceneritori nella Food
Valley dovrebbe riflettere su alcune vicende che hanno riguardato i
tanti inceneritori mascherati che a centinaia si vogliono realizzare
in Italia. Nel 2010 il progetto di una centrale a cippato della
potenza di 1MW el. in comune di Canale in provincia di Cuneo venne
sonoramente bocciato per i rischi che avrebbe comportato per i
pregiati vigneti della zona. Decisivo lo studio del Prof. Prof.
Giacomo Olivero, fitopatologo che metteva in guardia dalle
modificazioni al microclima, dai danni alle foglie legati all'aumento
della concentrazione di ozono nell'aria, dall'acidificazione del
terreno ma che chiamava anche in causa le emissioni di SO2, NOx,
ossidi e acidi di zolfo e di cloro COV (composti organici volatili)
ovvero formaldeide, policlorobifenili, diossine, furani, idrocarburi
policiclici aromatici, più polveri sottili e metalli pesanti
(cadmio, cromo, zinco) nonché la conseguente ricaduta sui vigneti e
contaminazione ambientale . Il fitopatologo si preoccupava anche del
prodotto finale per via delle conseguenze sul consumatore (non sulla
salute ma sulla sua propensione ad acquistare i vini). Scriveva il
fitopatologo nella relazione commissionata dal Consorzio per la
tutela del Barolo:
È necessario considerare che i
consumatori di prodotti nobili e pregiati, quali sono i grandi vini,
esigono una assoluta tutela della qualità: il rilievo della presenza
di tracce, benché minime, di sostanze nocive comporta l'esclusione
dal mercato: ogni turbativa dell'immagine del prodotto è foriera di
gravi conseguenze commerciali. Bisogna poi tenere ben presente che la
concorrenza nazionale ed internazionale molto sovente portata ad
utilizzare come arma commerciale la ricerca di tracce minime di
inquinanti nei prodotti, al fine di escludere dai mercati, rivali
altrimenti imbattibili. La scoperta di tracce, anche infinitesime, di
diossine o idrocarburi policiclici loro dati dei vini del Roero
sarebbe disastrosa
Queste argomentazioni vennero tenute in
conto e il progetto della centrale venne bocciato. Ma in questo caso
c'era da, dalla parte cel combustionismo. una delle tante "piccole"
centrali a biomasse, dall'altra - a difendersi da un inquinamento
aggiuntivo motivato solo dalla speculazione sugli incentivi sulle
"rinnovabili" un Consorzio importante e blasonato, al
centro delle relazioni economiche territoriali (e della produzione di
immagine verso l'esterno). Il Barolo, seguito da altri nobili vini
dell'area albese, è stato il primo vino a produrre una mappa
dettagliata dei cru e ad ancorare la qualità a una precisa origine,
ad una vigna collocata in una determinata particella catastale.
Il rischio ha un suo peso politico
preciso e specifico nella società del rischio
Nel caso di Parma c'è di mezzo, dalla
parte combustionista, un grande e molto lucroso impianto che incassa
dai contributi sull'energia e dallo smaltimento. In definitiva, però,
c'è anche da ritenere che a differenza del Barolo, al Parmigiano
Reggiano e al Prosciutto di Parma (che usano soia OGM per alimentare
gli animali delle loro filiere) della difesa della qualità importi
meno. Dopotutto l'origine della materia prima è legata a suini di
varia identità genetica (per lo più ibridi) allevati in un'area che
comprende, cosa che non tutti i consumatori sanno e che è
preferibile lasciare nel vago, anche l'Abruzzo. Quanto al Parmigiano
Reggiano, nonostante le promesse e le ricerche finanziate dalla
Regione per attivare "filiere alternative di foraggere
proteiche", esso dipende sempre dalla soia OGM della quale si
sono liberate solo alcune marche. Poi, nonostante, le accuse a Grillo
di "tirare in ballo la politica", è palese che i consorzi
emiliani siano, molto di più di quello del Barolo, inseriti nel
sistema politico-economico territoriale (notoriamente molto
"organico" a un partito).
Un sistema che - coop rosse in testa -
sta promuovendo una grande proliferazione di camini. Solo le centrali
a biogas, a fine 2012, rappresentavano una potenza installata di 110
MW e la Regione si prefigge di raggiungere entro il 2013 la potenza
di 600 MW da biomasse complessivamente intese. La centrale di Finale
Emilia (nel modenese) che, almeno nelle intenzioni, doveva bruciare
(letteralmente) sorgo ha una potenza di 12,5 MW. Alla fine
l'incenaritore di Parma per quanto movimenti una montagna di
spazzatura ha una potenza di 19MW. Ben vengano quindi le polemiche
sull'inceneritore e la Food Valley ma va tenuto presente che
l''impatto dei nuovi camini biomassisti sulla qualità agroalimentare
è molto, molto più pesante.
Basta che non si sappia
La differenza tra una logica di food
industriale (ammantato fin che si vuole di tipicità) e quella di un
food realmente ancorato nel territorio e in una pluralità di aziende
di varie dimensioni, emerge subito di fronte al problema
dell'inquinamento ambientale.
Mentre i barolisti hanno stoppato le
centrali a biomasse legnose i franciacortini, aziende messe in piedi
da industriali del cemento o del tondino, se ne sono fregati della
centrale a biomasse legnose di Rodengo Saiano in Franciacorta. Sul
blog sgonfiailbiogas avevo a suo tempo sollevato il problema del
nesso poco simpatico tra le "bollicine migliori d'Italia" e
la centrale di Rodengo che ha avuto già incidenti ed è stata
fermata per malfunzionamenti. Per provocazione avevo inserito
l'immagine di un calice e di una bottiglia, che solo un occhio
attento poteva far risalire ad una determinata cantina di un comune
limitrofo. Il titolare mi contattò immediatamente e mi chiese subito
- sia pure gentilmente - di toglierla. Il suo ragionamento era più o
meno: "per noi è importante che non si associ la centrale ai
nostri vini; in cantina ci pensa la chimica a pulire il vino se per
caso c'è qualche inquinante". Anche le nanoparticelle?
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