venerdì 6 settembre 2013

La Food Valley padana

Tra inceneritori, biogas e pesticidi

A Parma si accende l'inceneritore e di fronte alle amare considerazioni di Grillo i consorzi del Prosciutto di Parma Doc e del Parmigiano Reggiano Doc non trovano di meglio che prendersela con "l'allarmismo senza dati scientifici"

di Michele Corti
Invece di opporsi all'inceneritore di Parma e alla proliferazione dei mini inceneritori a biomasse, le corazzate del Made in Italy e della Parmesan Food Valley se la prendono con chi denuncia l'incoerenza di politiche della "tipicità" che, dentro la loro logica industriale, convivono a braccetto con altri business. A partire da quello dei rifiuti che, perversamente connesso a quello energetico, non accenna certo a declinare e a lasciare il passo a strategie di riciclo della materia e di riduzione di sprechi e inutili imballaggi.


Aumentano i camini nella Pianura Padana. Centinaia e centinaia di centrali a biomasse dove si brucia di tutto: biogas, syngas, legna, cereali, pollina, paglia. Anno dopo anno aumenta anche (attestata dall'ISPRA) la contaminazione delle acque con pesticidi. L'aria contaminata non fa male solo alla salute umana (e animale) ma anche alla salute delle piante e - ancora una volta - alla salute di animali e esseri umani che consumano direttamente o indirettamente i prodotti agricoli esposti alla contaminazione atmosferica.
L'amara considerazione che non c'è alcuna "area naturale incontaminata" non deve indurre a ritenere che non si debba contrastare le fonti di emissioni locali. Innanzitutto perché contribuiscono all'inquinamento globale, in secondo luogo perché esse sono tali da aumentare in modo molto più elevato irischi per la salute di chi ha la sfortuna di abitare in aree particolarmente inquinate.
La Pianura Padana, penalizzata dallo schermo delle Alpi che riduce notevolmente la circolazione dell'aria, è già un'area a rischio. Causa la concentrazione del particolato sottile = PM 2,5 (una delle componenti della scarsa qualità dell'aria) si perdono nelle zone più compromesse dai 2 ai 3 anni di vita.
Il caso Parma
Il caso dell'inceneritore di Parma ha destato grande interesse perché a Parma c'è un sindaco del M5S che si era impegnato per impedire l'accensione dell'impianto, ma anche perché a Parma hanno sede l'agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), alcune multinazionali alimentari (Barilla, Parmalat), le più importanti manifestazioni fieristiche italiane sul tema dell'alimentazione, due delle più importanti Dop nazionali: il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano.
L'opposizione alla realizzazione e poi all'accensione dell'inceneritore di Parma aveva assunto anche il valore di una lotta emblematica, con manifestazioni che avevano visto la partecipazione di comitati e associazioni provenienti da molte parti d'Italia. Rappresentava la speranza che la stagione degli inceneritori fosse finita per sempre. Ma la speculazione sui CIP6, gli incentivi per la produzione di energia elettrica da rifiuti (assimilati ad una fonte rinnovabile) ha rappresentato una spinta troppo forte perché possa dirsi chiuso (come in molti altri paesi) il capitolo inceneritori (che producono enormi quantità di ceneri anche se li si chiama "termoutilizzatori" o, ancora più spudoratamente, "termovalorizzatori").
L'importante è non "macchiare il Made in Italy"
Beppe Grillo ha fatto amaramente notare come il nuovo "gioiello" dell'inceneritorismo si erga nel bel mezzo della tanto decantata Food Valley italiana e che, con molte probabilità, qualche impatto negativo sull'immagine di prodotti quali il Prosciutto di Parma Dop o il Parmigiano reggiano Dop non ci potrà non essere. Politici e addetti ai lavori possono raccontare quello che vogliono al pubblico italiano pesantemente manipolato in fatto di rischi alimentari e per la salute in genere. Ad americani e giapponesi, però, è più difficile contargliela su e l'associazione inceneritore-diossina-prosciutto-Parmigiano verrà . Non avesse mai osato "profanare" i "gioielli del Made in Italy alimentare". La Nunzia di Girolamo, giovane ministra (non si sa per quanto) all'agricoltura attacca: "Affermazioni gravissime e prive di ogni fondamento". "Grillo è un incosciente, le sue affermazioni sulla Food Valley e su due dei principali prodotti del Made in Italy come il Parmigiano reggiano e il Prosciutto di Parma sono gravissime". Lesa maesta alimentare. Rincara la dose il presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, secondo il quale quello di Grillo è "terrorismo nei confronti dei consumatori, originato da affermazioni gratuite legate alla politica e prive di qualsiasi fondamento scientifico". E ancora:
Decine di migliaia di operatori economici e di lavoratori, così come milioni di consumatori meritano ben altro rispetto, così come lo merita un'eccellenza agroalimentare come il Parmigiano Reggiano; a nessuno sono dunque permesse basse strumentalizzazioni come quella che, in nome di una contesa politica, ha messo in atto Beppe Grillo con dichiarazioni della cui gravità è chiamato a risponde.
È bello vedere con quanta foga Alai attacca: i "legami con la politica" lui che della materia se ne deve intendere benino, visto che gli aiuti di stato non sono mai mancati al Consorzio. Basti ricordare le 100 mila forme gentilmente acquistate dal Ministero ai tempi di Zaia per destinare il "prezioso formaggio" ad "aiuti agli indigenti". Giusto un regalino della politica - fornito solo ai consorzi più grossi - per sostenere un mercato depresso per colpa loro (sovraproduzione). Il presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma si è più sobriamente limitato a dichiarare il proprio ''dispiacere nel prendere atto che le discussioni politiche coinvolgano inopportunamente e vadano a ledere un prodotto come il Prosciutto di Parma''. Anche la CGIL e la Cia non hanno mancato di stracciarsi le vesti e di vituperare Grillo.
Non solo diossina
Grillo ha evocato la diossina (e, implicitamente, le numerose molecole diossino-simili) che si producono durante le combustioni in presenza di cloro (che nei rifiuti non manca essendo presente in varie sostanze plastiche). La diossina è prodotta in misura ridotta alle alte temperature degli inceneritori "moderni" ma c'è pur sempre un gradiente di temperatura mano a mano che i fumi si allontanano e quindi una certa quantità si forma sempre. Il richiamo alla diossina evoca Seveso e, in effetti, un composto organico clorurato dei più temibili, persistente nell'ambiente, veicolato dalle sostanze grasse, con tossicità elevatissima. Ma il problema degli inceneritori (e delle tante attività che implicano combustioni) non è solo e principalmente quello delle diossine. Gli inceneritori nella fantasia popolare "distruggono" i rifiuti, ma in realtà non è così.
Gli inceneritoristi (termovalorizzatoristi, biomassisti, biogassisti, pyrogassisti) fingono di dimenticare che la chimica ha scoperto dai tempi di Lavoisier (quelli della ghigliottina rivoluzionaria di cui rimase anch'egli vittima), la legge di conservazione della massa che enuncia: "In una reazione chimica, la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti", o, nelle parole di Lavoisier "nulla si perde, nulla si crea, ma tutto si trasforma". Questa legge, quindi, afferma che la materia non può essere creata dal nulla né distrutta, ma solo modificata. Le combustioni trasformano la materia in peggio. Sembra che la facciano sparire per magia perché le ceneri, prive di acqua, occupano un volume ridotto, e perché buona parte della materia se ne va letteralmente... in fumo. Ma nel fumo c'è una massa notevole di composti organici e inorganici e di particelle di varie dimensioni. Attraverso le combustioni si producono e/o si diffondono sostanze cancerogene e geno-tossiche quali metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), furani, policlorobifenili, molecole diossino-simili e particolato fine e ultrafine. Un pessimo affare per l'ambiente e la salute. Un ottimo affare per i combustionisti.
Un problema di materiali ingombranti e a rischio igienico si sposta a problema di materiali invisibili ma altamente tossici, invasivi, persistenti. Il guaio è che questi materiali, queste molecole si infiltrano in ogni poro della biosfera, sino dentro le cellule animali, sin dentro le strutture subcellulari. E sono, in alcuni casi molto persistenti, in altri casi praticamente ... eterni. È il caso delle nanoparticelle studiate da Stefano Montanari e dalla moglie Antonietta Gatti, due scienziati che sono trattati quasi fossero degli stregoni perché indagano su realtà (le nanopatologie indotte dalle nanoparticelle) molto fastidiose per un sistema economico-sociale che delle combustioni ha fatto la sua droga scoprendo che produrre energia con la combustione consente di ottenere alti profitti.
Grillo, nelle sue considerazioni sull'inceneritore di Parma si è limitato alla "diossina". Forse a causa di una incresciosa vicenda riguardante un microscopio elettronico, acquistato con i fondi raccolti durante gli interventi di Montanari agli spettacoli di Grillo e destinato al laboratorio di Modena di Montanari per ricerche sulle nanoparticelle, ma che finì - la vicenda è di difficile decifrazione - all'Università di Urbino e poi all'ARPAM, Grillo non parla di nanoparticelle. Ma le micro e le nano particelle rappresentano un aspetto importante (insieme alle "sorelle" un po' più grandicelle) del problema combustioni (indipendentemente dalle questioni tra Grillo e Montanari.
Purtroppo tanta meno diossina esce dai camini tanto più si formano micro e nanoparticelle. Per ottenere elevate temperature, necessarie per evitare la formazione di diossina, i "termovalorizzatori” devono funzionare ad alta temperatura e, per questo, hanno bisogno di quei materiali che possiedono un’alta capacità calorifica, vale a dire proprio le plastiche, la carta e il legno che potrebbero e dovrebbero essere oggetto di riciclaggio. Inutile dire che negli inceneritori vanno persi anche metalli (rame, ferro, alluminio). Sul piano economico i "termovalorizzatori" sono quindi un disastro: la resa in energia elettrica dei rifiuti è del 25% (le centrali turbogas hanno un'efficienza del 55%), si perdono molti materiali preziosi ricicliclabili e si mandano in atmosfera una grande quantità di micro e nanoparticelle.
Il mito della filtrazione e le nanoparticelle

I sistemi di filtrazione degli inceneritori di ultima generazione consentono di abbattere le emissioni in atmosfera di alcuni inquinanti che però si ritrovano nelle ceneri. Spiega Montanari (Inceneritori e nanotatologie, ARPAT news 10 maggio 2006 n. 086-2006):

(...) nel processo d’incenerimento occorre aggiungere all’immondizia calce viva e una rilevante quantità d’acqua, da una tonnellata di rifiuti bruciata escono una tonnellata di fumi, da 280 a 300 kg di ceneri solide, 30 kg di ceneri volanti (la cui tossicità è enorme), 650 kg di acqua sporca (da depurare) e 25 kg di gesso. Il che significa il doppio di quanto si è inteso “smaltire”, con l’aggravante di avere trasformato il tutto in un prodotto altamente patogenico.

Al di là di quello che ci ritroviamo nelle ceneri (che vanno smaltite nelle discariche, mai chiuse quindi finché ci saranno inceneritori) e nell'acqua utilizzata per i trattamenti, quello che tutt'oggi esce dai camini per essere liberamente immesso nell'atmosfera è sempre molto preoccupante, però ha un vantaggio per gli inceneritoristi: non pesa. Tutt'oggi non esiste alcun tipo di filtro industriale capace di bloccare il particolato da 2,5 micron e ben difficilmente anche in futuro sarà possibile arrivare a filtrare le particelle da 1,0 micron. Montanari fa, però, rilevare:

(...) dal punto di vista dei calcoli che si fanno in base alle leggi vigenti, questo ha ben poca importanza: il “termovalorizzatore” produce pochissimo PM10 (peraltro, la legge sugl’inceneritori prescrive ancora la ricerca delle cosiddette polveri totali ed è, perciò, ancora più arretrata) e la quantità enorme di altro particolato non rientra nelle valutazioni. Ragion per cui, a norma di legge l’aria è pulita. Ancora malauguratamente, tuttavia, l’organismo non si cura delle leggi e le patologie da polveri sottili (le PM10 sono tecnicamente polveri grossolane), un tempo ignorate ma ora sempre più conosciute, sono in costante aumento. Tra queste, le malformazioni fetali e i tumori infantili.

Le nanoparticelle, prodotte da combustioni ad alta temperatura, hanno la caratteristica di non essere presenti in natura. Esse sono più piccole delle microparticelle presenti nelle emissioni vulcaniche per fare un esempio. Ciò significa che gli organismi viventi non hanno evoluto delle difese per questi corpi "alieni". La conseguenza è che entrano negli organismi, per rimanervi, annidate nelle più microscopiche strutture cellulari e causare molte patologie, da malattie cardiovascolari come ictus, infarto cardiaco e tromboembolia polmonare a tante forme di cancro fino ad aborti e malformazioni fetali e non poche malattie neurologiche. Inutile dire che quando Montanari parla di queste nanopatologie lo fa avendo constatato associazioni tra presenza di nanoparticelle e le patologie in causa.

Prodotti agroalimentari e fonti di inquinamento da combustioni

Ma come arrivano le nanoparticelle nell'organismo animale? Attraverso inalazione o ingerendo alimenti contaminati dalle nanoparticelle. Queste, essendo molto leggere restano a volte a lungo in aria prima di depositarsi e possono essere trasportate a grandi distanze dalle fonti di emissione (a differenza di altri inquinanti). Dove cadono è impossibile prevederlo. Ma una volta che si depositano sugli alimenti non possono essere eliminate in alcun modo. Né lavando, né cuocendo, né usando trattamenti chimici. Chi si è scandalizzato per la denuncia di Grillo circa l'incoerenza di mettere in funzione nuovi inceneritori nella Food Valley dovrebbe riflettere su alcune vicende che hanno riguardato i tanti inceneritori mascherati che a centinaia si vogliono realizzare in Italia. Nel 2010 il progetto di una centrale a cippato della potenza di 1MW el. in comune di Canale in provincia di Cuneo venne sonoramente bocciato per i rischi che avrebbe comportato per i pregiati vigneti della zona. Decisivo lo studio del Prof. Prof. Giacomo Olivero, fitopatologo che metteva in guardia dalle modificazioni al microclima, dai danni alle foglie legati all'aumento della concentrazione di ozono nell'aria, dall'acidificazione del terreno ma che chiamava anche in causa le emissioni di SO2, NOx, ossidi e acidi di zolfo e di cloro COV (composti organici volatili) ovvero formaldeide, policlorobifenili, diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici, più polveri sottili e metalli pesanti (cadmio, cromo, zinco) nonché la conseguente ricaduta sui vigneti e contaminazione ambientale . Il fitopatologo si preoccupava anche del prodotto finale per via delle conseguenze sul consumatore (non sulla salute ma sulla sua propensione ad acquistare i vini). Scriveva il fitopatologo nella relazione commissionata dal Consorzio per la tutela del Barolo:

È necessario considerare che i consumatori di prodotti nobili e pregiati, quali sono i grandi vini, esigono una assoluta tutela della qualità: il rilievo della presenza di tracce, benché minime, di sostanze nocive comporta l'esclusione dal mercato: ogni turbativa dell'immagine del prodotto è foriera di gravi conseguenze commerciali. Bisogna poi tenere ben presente che la concorrenza nazionale ed internazionale molto sovente portata ad utilizzare come arma commerciale la ricerca di tracce minime di inquinanti nei prodotti, al fine di escludere dai mercati, rivali altrimenti imbattibili. La scoperta di tracce, anche infinitesime, di diossine o idrocarburi policiclici loro dati dei vini del Roero sarebbe disastrosa

Queste argomentazioni vennero tenute in conto e il progetto della centrale venne bocciato. Ma in questo caso c'era da, dalla parte cel combustionismo. una delle tante "piccole" centrali a biomasse, dall'altra - a difendersi da un inquinamento aggiuntivo motivato solo dalla speculazione sugli incentivi sulle "rinnovabili" un Consorzio importante e blasonato, al centro delle relazioni economiche territoriali (e della produzione di immagine verso l'esterno). Il Barolo, seguito da altri nobili vini dell'area albese, è stato il primo vino a produrre una mappa dettagliata dei cru e ad ancorare la qualità a una precisa origine, ad una vigna collocata in una determinata particella catastale.

Il rischio ha un suo peso politico preciso e specifico nella società del rischio
Nel caso di Parma c'è di mezzo, dalla parte combustionista, un grande e molto lucroso impianto che incassa dai contributi sull'energia e dallo smaltimento. In definitiva, però, c'è anche da ritenere che a differenza del Barolo, al Parmigiano Reggiano e al Prosciutto di Parma (che usano soia OGM per alimentare gli animali delle loro filiere) della difesa della qualità importi meno. Dopotutto l'origine della materia prima è legata a suini di varia identità genetica (per lo più ibridi) allevati in un'area che comprende, cosa che non tutti i consumatori sanno e che è preferibile lasciare nel vago, anche l'Abruzzo. Quanto al Parmigiano Reggiano, nonostante le promesse e le ricerche finanziate dalla Regione per attivare "filiere alternative di foraggere proteiche", esso dipende sempre dalla soia OGM della quale si sono liberate solo alcune marche. Poi, nonostante, le accuse a Grillo di "tirare in ballo la politica", è palese che i consorzi emiliani siano, molto di più di quello del Barolo, inseriti nel sistema politico-economico territoriale (notoriamente molto "organico" a un partito).
Un sistema che - coop rosse in testa - sta promuovendo una grande proliferazione di camini. Solo le centrali a biogas, a fine 2012, rappresentavano una potenza installata di 110 MW e la Regione si prefigge di raggiungere entro il 2013 la potenza di 600 MW da biomasse complessivamente intese. La centrale di Finale Emilia (nel modenese) che, almeno nelle intenzioni, doveva bruciare (letteralmente) sorgo ha una potenza di 12,5 MW. Alla fine l'incenaritore di Parma per quanto movimenti una montagna di spazzatura ha una potenza di 19MW. Ben vengano quindi le polemiche sull'inceneritore e la Food Valley ma va tenuto presente che l''impatto dei nuovi camini biomassisti sulla qualità agroalimentare è molto, molto più pesante.

Basta che non si sappia

La differenza tra una logica di food industriale (ammantato fin che si vuole di tipicità) e quella di un food realmente ancorato nel territorio e in una pluralità di aziende di varie dimensioni, emerge subito di fronte al problema dell'inquinamento ambientale.
Mentre i barolisti hanno stoppato le centrali a biomasse legnose i franciacortini, aziende messe in piedi da industriali del cemento o del tondino, se ne sono fregati della centrale a biomasse legnose di Rodengo Saiano in Franciacorta. Sul blog sgonfiailbiogas avevo a suo tempo sollevato il problema del nesso poco simpatico tra le "bollicine migliori d'Italia" e la centrale di Rodengo che ha avuto già incidenti ed è stata fermata per malfunzionamenti. Per provocazione avevo inserito l'immagine di un calice e di una bottiglia, che solo un occhio attento poteva far risalire ad una determinata cantina di un comune limitrofo. Il titolare mi contattò immediatamente e mi chiese subito - sia pure gentilmente - di toglierla. Il suo ragionamento era più o meno: "per noi è importante che non si associ la centrale ai nostri vini; in cantina ci pensa la chimica a pulire il vino se per caso c'è qualche inquinante". Anche le nanoparticelle?






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