domenica 8 luglio 2012

1,2,3 Alba


Per un dibattito sulle biomasse

Bruno Abati pone 3 interrogativi che permettono di spiegare, ancora una volta, quello che sta succedendo sul nostro appennino.

Che differenza c'è tra un gassificatore (quello che dovrebbe sorgere in località Nacca di Vaestano) e un inceneritore (Monchio, Palanzano, Borgotaro)?
Un inceneritore termico brucia cippato per scaldare l'acqua di un boiler, che tramite condotte d'acqua di andata e ritorno, distribuisce calore a case, palestra, scuola, casa protetta per anziani
(teleriscaldamento).



Può però essere anche usato per produrre elettricità.
Immettendo vapore in pressione in un motore endotermico, si produce lavoro che, tramite un albero motore collegato ad una turbina, la fa girare producendo elettricità. Questa doppia produzione, di calore ed elettricità, viene definita cogenerazione. Questo è il caso di Monchio, che d'ora in poi farà anche cogenerazione.
Un gassificatore brucia sempre cippato, ma a temperatura più bassa.
Si innesca in tal modo un processo, detto pirolitico, di scomposizione molecolare che origina un gas di sintesi (syngas) composto da idrogeno (H2) anidride carbonica (CO2) e metano (CH4).
Il syngas è molto sporco, pieno di polveri.
Deve essere depurato prima di poter essere utilizzato come combustibile per un motore endotermico che, tramite un albero motore, può far girare una turbina e produrre elettricità.
Una parte del  calore prodotto dal motore endotermico può essere usato anche per scaldare un boiler e produrre teleriscaldamento.  E' sempre cogenerazione, cioè produzione di due cose.
L'inceneritore a cippato produce emissioni depurate solo meccanicamente,  con un filtro a ciclone, e convogliate direttamente in aria tramite camino.

Le emissioni del gassificatore non sono dirette.  Il camino è in corrispondenza dei motori endotermici che usano il syngas come combustibile  per muovere le turbine e produrre elettricità.
Entrambi, bruciando cippato fresco ad elevata umidità, hanno scarso  rendimento, forti emissioni nocive e notevoli quantità di ceneri. Tali emissioni, oltre a metalli pesanti e ossido di azoto, contengono diossina perché qualsiasi sostanza vegetale o animale, se bruciata, produce idrocarburi ciclici aromatici che combinandosi col cloro libero nell'aria, anche solo quello della depurazione degli acquedotti, genera diossine.


Come mai nei tre inceneritori a biomassa si usa cippato di legna vergine anziché pellet, che rende di più?
Perché la filiera studiata e promossa a livello regionale è quella di favorire l'uso diretto del bosco come fonte di biomassa, promuovere cooperative di taglio apposite e creare un mercato del cippato a basso costo, che ancora non c'è. La filiera proposta dalla Bresso nel 2009 era  costituita da: diradamento industriale del bosco, finanziamento pubblico delle cooperative di taglio, centrali a cippato cofinanziate, produzione di elettricità.
Se una centrale come quella di Palanzano, costata 426.000 euro, la si fa andare a pellet, ci si deve chiedere se non era meglio comprare 5 stufe automatiche a pellet, una per ogni edificio comunale,  del costo complessivo di 90mila euro, detraibili al 55% in 10 anni dalle imposte.
In tal modo, con 50mila euro di spese conto capitale si sarebbe ottenuto un riscaldamento con meno emissioni,  delocalizzato, più efficiente e senza gli ulteriori costi di costruzione del teleriscaldamento (500 euro al metro).
Fare una centrale per bruciare pellet, infatti, non ha senso per gli alti costi fissi iniziali, per quelli del teleriscaldamento (a Monchio per 200 metri di teleriscaldamento hanno speso 100mila euro) e per l'elevato costo del pellet.

Vista la quantità di allevamenti zootecnici della nostra Provincia perché non si costruiscono centrali per convertire il letame in biogas e con questo ottenere energia elettrica e calore?
Questa è la proposta di Reteambiente: piccoli biodigestori anaerobici, di potenza tarata sulla capacità  delle stalle e  sulla quantità di animali allevati, che producano elettricità col biogas.
Sarebbero di aiuto agli agricoltori per smaltire in modo corretto il letame, abbattendo il suo contenuto di azoto.
La cogenerazione e gli incentivi ricavabili da essa costituirebbero un aiuto alla difficile situazione  economica dei piccoli agricoltori e un contributo alle spese per lo smaltimento corretto dell'azoto.     Ma la realtà  di tutta la  pianura padana è un'altra.
Un allevatore con una stalla di alcune centinaia di vacche può chiedere di impiantare un biodigestore da 999 Kw di potenza per smaltire letame e fare cogenerazione e, se  ha terra sufficiente, eventualmente affittata apposta, gli viene facilmente concesso, come è successo con quello di Corcagnano.
Quell'impianto produce biogas e tramite la sua combustione mille Kw all'ora di elettricità.
1.000 Kw/h x le 8000 ore in un anno, fanno 8 milioni di kw/h, che alla tariffa di 0,28 euro a kw/h fanno 2.230.000 euro di incentivi pubblici.
In più c'è la vendita dell'energia prodotta ad Enel: 8 milioni di Kw/h x 0,08 euro al Kw/h sono altri 640.000 euro, per un totale di circa 2,87 milioni di euro.
Per far funzionare un tale impianto occorrono circa 30mila tonnellate annue di materiale da biodigestare.
Una stalla di 200 vacche produce circa 4mila tonnellate annue di letame, le altre 26mila tonnellate le fanno arrivare da altrove e sono composte da farina di granoturco, panello di germe di granoturco, melasso di canna. In pratica mangimi vegetali per animali che contengono amidi al 39%, cellulosa al 6,5%, proteine al 12%.
Sulla confezione c'è scritto da utilizzare come miscela di nutrienti per microorganismi. Provengono dal cremonese, dove il 25% del terreno agricolo è affittato per produrre tali coltivi energetici.
Un impianto così costa tra 4 e 5 milioni, però fa incassare 2,87 milioni annui per 18 anni.
Tolti i costi dei materiali, della manutenzione e di ammortamento del leasing restano circa 900mila euro netti di guadagno annui. A tutti gli effetti non si tratta più di agricoltura, ma di processo industriale.
Dietro ogni allevatore ci può essere una finanziaria o  addirittura una banca o chi lo sa.
Di tali impianti  ne è pieno il cremonese. L'unico da 1 Mw attivo nel parmense è quello già citato  tra Corcagnano e Carignano, vicino alla Star. Ne vogliono fare uno a S. Michele in Tiorre e un altro a Nacca di Vaestano (Palanzano).
Ce n'è un'altro a Selvanizza. Anche lì c'è una stalla di 200 vacche e impianto da 250 Kw che ha bisogno di 5-6mila tonnellate di tali mangimi e che fa incassare 560mila euro all'anno.
Gli impianti per trattare il letame e ridurre il tenore di azoto nei campi, di fatto, non esistono o sono quella roba qui. Il digestato che esce da tali impianti a biogas, infatti, è solo diminuito di volume ma
contiene la stessa quantità di azoto iniziale. Per ridurre l'azoto fino al 70% sarebbe necessario anche un impianto SBR di denitrificazione, ma costa caro, andrebbe a rosicchiare quelle centinaia di migliaia di euro di utile netto.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
8 luglio 2012

www.reteambienteparma.org  -  info@reteambienteparma.org
comitato pro valparma - circolo valbaganza - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita -
comitato cave all’amianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorse – no cava le predelle –
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