di Alessandro Graziadei
Il cadavere radioattivo
della centrale nucleare di Fukushima Daiichi ha registrato il 19
luglio l’ennesima perdita di vapore da una piscina di stoccaggio di
dispositivi e apparecchiature rimossi dal reattore prima che fosse
danneggiato dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo 2011.
Il nuovo problema è stato
scoperto grazie ad una telecamera di sorveglianza e un portavoce
della Tokyo Electric Power (Tepco), che gestisce la centrale, ha
ammesso la scorsa settimana che “Il vapore è stato visto in tutto
il quinto piano dell’edificio del reattore 3 galleggiare in sottili
scie nell’aria, ma non come una grande colonna di vapore che sgorga
verso l’alto. Non crediamo, quindi, sia in atto una situazione di
emergenza, anche se stiamo ancora indagando su cosa l’abbia
causato”. Secondo la Tepco il vapore potrebbe essere stato prodotto
da una forte pioggia che ha investito l’edificio del reattore 3, ma
la compagnia energetica nipponica ha assicurato che gli strumenti di
misurazione della radioattività non hanno mostrato cambiamenti
nell’edificio disastrato.
Per Greenpeace “La Tepco
ed il Governo stanno cercando di minimizzare l’ennesima situazione
tragica di una struttura e di un territorio che probabilmente non
potranno essere riportati alla normalità nemmeno entro i 40 anni
previsti dal cronoprogramma di smantellamento e bonifica della
centrale nucleare, tanto che solo nelle ultime settimane i lavori
sono stati funestati da una ulteriore serie di fughe di acqua
contaminata ed addirittura da un blackout che ha lasciato le piscine
di raffreddamento senza corrente per più di un giorno”.
La settimana scorsa la
Nuclear Regulation Authority (Nra) giapponese ha detto che
probabilmente dai reattori di Fukushima filtrano sostanze altamente
radioattive nell’Oceano Pacifico ed ha espresso forte
preoccupazione per il fatto che la Tepco, che non sia riuscita ad
identificare la fonte e la causa degli alti livelli di radiazioni
nelle acque sotterranee.
Dello stesso avviso è
Greenpeace che il 10 luglio ha reso noti i risultati di 25
campionamenti di frutti di mare effettuati in 5 porti dell’area, 8
dei quali mostrano come la contaminazione radioattività arrivi anche
a 55 chilometri dalla centrale.
La pesca è stata interdetta
nella Prefettura di Fukushima e consentita solo a scopo scientifico e
di campionamento. Il futuro dei pescatori locali è quanto mai
incerto e per Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace
Italia “Purtroppo la contaminazione delle falde acquifere è solo
un altro esempio di come il disastro sia lontano dall’essere stato
contenuto. Se l’industria nucleare giapponese non è chiaramente in
grado di gestire le conseguenze del disastro di Fukushima - ha
concluso Onufrio - l’unica misura preventiva reale per evitare di
trovarci in futuro in simili circostanze è quella che prevede
l’abbandono del nucleare e il passaggio rapido alle fonti
rinnovabili”.
Di fatto dopo la recente
morte per cancro all’esofago di Masao Yoshida, l’ex capo della
centrale nucleare, che rimase al suo posto e decise di contravvenire
agli ordini usando acqua di mare per raffreddare i reattori
danneggiati dal sisma, la Tepco (che si è affrettata a smentire ogni
collegamento tra il cancro di Yoshida e l’incidente di
Fukushima...) ha dovuto ammettere che le concentrazioni nell’area
di Cesio 134 sono salite da 9 mila a 11 mila Bq/l e quelle di Cesio
137 da 18 a 22 mila Bq/l e che i campioni di acqua e terreno
prelevati presso l’impianto nelle ultime settimane mostrano livelli
sempre più elevati di altri isotopi pericolosi come il trizio e lo
stronzio-90 confermando i sospetti di Greenpeace secondo la quale
“l’aumento della radioattività attorno a Fukushima non si ferma
e nuovi campionamenti rendono la fotografia dell’area e del mare
ancora più allarmante”.
Il capo di gabinetto
giapponese Yoshihide Suga ha annunciato martedì che il Governo
chiederà alla Tepco “Di fare un lavoro rapido e sicuro per evitare
ulteriori perdite di acque contaminate da radiazioni in mare”.
Tuttavia nonostante la situazione ancora critica la Tepco, con
l’appoggio del Partito liberaldemocratico del primo ministro Shinzo
Abe (appena riconfermato dalle urne), non ha trovato di meglio che
annunciare la richiesta del consenso locale per presentare una
domanda al Governo centrale e riavviare 2 dei suoi reattori nucleari
in una centrale elettrica nella prefettura di Niigata, sul Mar del
Giappone.
Il presidente della Tepco
Naomi Hirose ha già visitato la città di Kashiwazaki ed il
villaggio di Kariwa dove si trovano i reattori, per spiegare alle
assemblee elettive locali che “le nuove misure di sicurezza
supplementari sono in linea con i nuovi standard di sicurezza che il
governo ha introdotto”.
Secondo la Tepco la diga di
15 metri di altezza diga costruita attorno ai due reattori “è in
grado di proteggerli da onde di tsunami alte più di 6 metri” e che
le loro indagine sul posto “non ha evidenziato alcuna prova che la
faglia sismica sotto le centrali si sia mossa negli ultimi 200 mila
anni”.
Ma se il nuovo vento
nuclearista che soffia sull’isola del Sol Levante era stato già
annunciato, stupisce di più, secondo alcune indiscrezioni raccolte e
pubblicate sul quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung, che la
Commissione europea intende incentivare la costruzione di nuove
centrali nucleari.
Il giornale è venuto in
possesso di un documento elaborato dal Commissario europeo alla
Concorrenza, Joaquin Almunia, che prevede che i governi nazionali
possano in futuro contribuire al finanziamento di nuovi impianti
nucleari, visto che l’estensione della produzione di energia
nucleare è un obiettivo dell’Ue.
Nel documento in bozza è
riportato esplicitamente che “per la costruzione e l’esercizio di
una centrale nucleare possono essere messi a disposizione contributi
finanziari statali”. Evidentemente quanto sta avvenendo in questi
giorni in Giappone e le incertezze sugli esiti degli stress test
voluti dalla stessa Commissione europea dopo il disastro di
Fukushima, non hanno scalfito le intenzioni di Almunia.
Ovviamente le reazioni alla
notizia sono state molto diverse: favorevoli al documento sono Gran
Bretagna, Lituania, Repubblica Ceca e Polonia, mentre, dopo il
disastro nucleare di Fukushima, una parte dell’Unione ha mantenuto
forti perplessità sull’ipotesi nucleare.
Noi italiani abbiamo votato
in massa per mantenere il Paese fuori dal nucleare; la Svizzera e la
Spagna hanno vietato la costruzione di nuovi reattori; il Belgio sta
pensando di eliminare gradualmente le sue centrali nucleari, forse
già dal 2015; la Francia, spesso considerata un modello nucleare
commerciale per il mondo, oggi è bloccata in un dibattito nazionale
su una almeno parziale uscita dalla fase nucleare; mentre la Germania
ha definitivamente chiuso otto dei suoi reattori e si è impegnata a
chiudere i rimanenti entro il 2022.
“I piani per il nucleare
di Bruxelles mettono a rischio la politica tedesca dell’Ambiente -
ha dichiarato il portavoce di Greenpeace Europa, Mark Breddy - poiché
dopo l’uscita dal nucleare la Germania potrebbe trovarsi circondata
da centrali nucleari e rimanere aggrappata alla sola energia
rinnovabile”. Così anche se ad oggi la competenza sulla politica
nucleare europea è principalmente degli Stati membri, è necessario,
“per avere una politica energetica comune sostenibile, occorre
quindi togliere ogni opacità dalla roadmap energetica evitando di
puntare sul rilancio del nucleare che è in antitesi, a nostro
avviso, sotto vari punti di vista (ambientale, economico, sociale),
con i punti cardine delle energie rinnovabili e della efficienza
energetica” ha concluso Breddy.
Associazione
Gestione
Corretta
Rifiuti
e
Risorse
di
Parma
-
GCR
Parma,
28 luglio 2013
L'inceneritore
di
Parma
avrebbe
dovuto
accendersi
448
giorni
fa
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