martedì 18 giugno 2013

Ilva, impareggiabile caleidoscopio di una piaga nazionale

Stefano Palmisano

Ma qual è il livello di criminosità oltre il quale un reato (contro l’incolumità pubblica, contro la salute e la vita di migliaia di persone, per esser più precisi) smette di esser tale per diventare una questione “di interesse strategico nazionale”?



Da quale momento un soggetto che commette uno, dieci, cento delitti (contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica, contro la personalità dei minori… sempre reati seria, roba di classe, non bagattelle da venditore di cd tarocchi) cessa, nella indefettibile vulgata (ha la stessa radice di “volgare”) nazionale, di esser un imputato pluricondannato in sede di merito (fino in appello) per diventare “il Presidente” (di cosa?), “il leader di uno delle principali forze politiche del paese”, “il titolare della golden share del governo”….?
Quando e chi (il perché possiamo desumerlo anche da noi) ha deciso di far passare un personaggio politico dichiarato, con sentenza passata in giudicato, autore del reato di associazione per delinquere di natura sostanzialmente mafiosa fino al 1980 (non “di tipo mafioso” solo perché all’epoca del commesso reato non esisteva questo specifico illecito introdotto solo nel 1982) per un illuminato statista, nonché brillante intellettuale?
E, soprattutto, in che occasione precisa e da parte di chi (per il perché vale lo stesso discorso accennato sopra) si è deciso di marchiare chiunque si permetta di ricordare queste elementari verità, storiche e cronachistiche, con il bollo di pubblica infamia di “divisivo”, “antipolitico”, “antinazionale” ecc….?
Questi oziosi interrogativi evocano questioni che in questa nazione costituiscono ataviche piaghe su un corpo sociale e politico che, evidentemente, ha la stessa capacità di farle rimarginare di quante ne abbia quello di un diabetico terminale.
La vicenda Ilva, in questo senso, rimane un impareggiabile caleidoscopio delle più archetipiche figure dello spirito pubblico nazionale.
A partire da quelle appartenenti alle cosiddette “classi dirigenti.”
La Cassazione, confermando pienamente quanto sancito dal Tribunale del Riesame di Taranto in merito agli arresti dei padroni e dirigenti dell’Ilva per i delitti di disastro ambientale, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, avvelenamento di sostanze alimentari ed altre simili amenità, denuncia “la pervicacia e la spregiudicatezza dimostrata da R.E. e dal C., ma anche da R.N., succeduto alla presidenza del consiglio di amministrazione in continuità con il padre, che hanno dato prova, nei rispettivi ruoli, di perseverare nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della gravissima offensività per la comunità (tarantina) e per i lavoratori delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali e ad onta del susseguirsi di pronunzie amministrative e giudiziali che avevano già evidenziato il grave problema ambientale creato dalle immissioni dell'industria”.
Chi si nasconde dietro quelle iniziali lo si lascia immaginare a chi legge

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