Stefano Palmisano
Ma qual è il livello di criminosità
oltre il quale un reato (contro l’incolumità pubblica, contro la
salute e la vita di migliaia di persone, per esser più precisi)
smette di esser tale per diventare una questione “di interesse
strategico nazionale”?
Da quale momento un soggetto che
commette uno, dieci, cento delitti (contro la pubblica
amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, contro
la fede pubblica, contro la personalità dei minori… sempre reati
seria, roba di classe, non bagattelle da venditore di cd tarocchi)
cessa, nella indefettibile vulgata (ha la stessa radice di “volgare”)
nazionale, di esser un imputato pluricondannato in sede di merito
(fino in appello) per diventare “il Presidente” (di cosa?), “il
leader di uno delle principali forze politiche del paese”, “il
titolare della golden share del governo”….?
Quando e chi (il perché possiamo
desumerlo anche da noi) ha deciso di far passare un personaggio
politico dichiarato, con sentenza passata in giudicato, autore del
reato di associazione per delinquere di natura sostanzialmente
mafiosa fino al 1980 (non “di tipo mafioso” solo perché
all’epoca del commesso reato non esisteva questo specifico illecito
introdotto solo nel 1982) per un illuminato statista, nonché
brillante intellettuale?
E, soprattutto, in che occasione
precisa e da parte di chi (per il perché vale lo stesso discorso
accennato sopra) si è deciso di marchiare chiunque si permetta di
ricordare queste elementari verità, storiche e cronachistiche, con
il bollo di pubblica infamia di “divisivo”, “antipolitico”,
“antinazionale” ecc….?
Questi oziosi interrogativi evocano
questioni che in questa nazione costituiscono ataviche piaghe su un
corpo sociale e politico che, evidentemente, ha la stessa capacità
di farle rimarginare di quante ne abbia quello di un diabetico
terminale.
La vicenda Ilva, in questo senso,
rimane un impareggiabile caleidoscopio delle più archetipiche figure
dello spirito pubblico nazionale.
A partire da quelle appartenenti alle
cosiddette “classi dirigenti.”
La Cassazione, confermando pienamente
quanto sancito dal Tribunale del Riesame di Taranto in merito agli
arresti dei padroni e dirigenti dell’Ilva per i delitti di disastro
ambientale, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche,
avvelenamento di sostanze alimentari ed altre simili amenità,
denuncia “la pervicacia e la spregiudicatezza dimostrata da R.E. e
dal C., ma anche da R.N., succeduto alla presidenza del consiglio di
amministrazione in continuità con il padre, che hanno dato prova,
nei rispettivi ruoli, di perseverare nelle condotte delittuose,
nonostante la consapevolezza della gravissima offensività per la
comunità (tarantina) e per i lavoratori delle condotte stesse e
delle loro conseguenze penali e ad onta del susseguirsi di pronunzie
amministrative e giudiziali che avevano già evidenziato il grave
problema ambientale creato dalle immissioni dell'industria”.
Chi si nasconde dietro quelle iniziali
lo si lascia immaginare a chi legge
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